Il 5 luglio, all’aeroporto di Varsavia, l’arcivescovo polacco Henryk Franciszek Hoser sta tenendo un’omelia in cui cita di continuo il santuario di Medjugorje. Le parole di Hoser contano nella Chiesa: da marzo è “visitatore apostolico permanente” nominato da Papa Bergoglio a Medjugorje, il terzo luogo di pellegrinaggio della Cristianità, seppur non riconosciuto. Formalmente è ancora una semplice parrocchia, nonostante il richiamo di fedeli che porta in Bosnia Erzegovina ogni anno. Qui, dal 24 giugno 1981 sei veggenti avrebbero avuto apparizioni della Madonna.
La Chiesa non ha ancora preso una decisione definitiva, anche se nel frattempo la diocesi di riferimento, quella di Mostar, si è espressa senza giri di parole: “La posizione di questa Curia per tutto questo periodo è stata chiara e risoluta: non si tratta di vere apparizioni della Beata Vergine Maria,” ha detto il vescovo Ratko Peric. Su questo riconoscimento si gioca il futuro del luogo di culto, il cui fatturato si aggira ogni anno intorno agli 11 miliardi di euro (un dato che ritorna, sui media, almeno dal 2014).
Un luogo che non richiama solo attenzioni di ferventi cristiani. L’arcivescovo di Varsavia, Henryk Franciszek Hosner, non si è infatti ancora espresso in merito alle apparizioni, come ci si aspetterebbe da tempo. Ha invece parlato di mafia: “[A Medjugorje] da un lato incontriamo migliaia di giovani che utilizzano il sacramento della penitenza e della riconciliazione. Dall’altra però bisogna essere consapevoli che a causa del massiccio afflusso di pellegrini, in questo posto si sono infiltrate le mafie, tra cui quelle napoletane, pronte a fare profitti.” Le sue parole sono state pubblicate in Polonia dal settimanale cattolico Niedziela e trasmesse dalla Radio EM; in Italia, invece, dal blog di David Murgia, giornalista di TV2000 che spesso si è occupato di luoghi di pellegrinaggio. In particolare, spiega Murgia, l’arcivescovo ha fatto riferimento a una sorta di pizzo che si pagherebbe a Medjugorje. Chi siano le vittime non è stato esplicitato, ma a oggi risultano 700 italiani residenti, di cui almeno la metà con un’attività commerciale.
L’arcivescovo ha successivamente chiarito che le sue non sono rivelazioni, ma voci insistenti che ha deciso di riportare pubblicamente. Voci che dalla Campania, in particolare dalle colonne de Il Mattino, non vengono smentite. Anzi. Gli investigatori hanno più volte incontrato Medjugorje nelle loro inchieste, in particolare quelle svolte nel casertano e nel napoletano. Da un lato, la camorra ha interessi nel business della contraffazione: borse, occhiali da sole, scarpe e ogni tipo di vestiario che si trova sulle bancarelle che riempiono anche la stessa città balcanica. Secondo quanto riporta il Corriere del Mezzogiorno, il settore sarebbe in mano alla famiglia Zaza di San Giovanni e ai Mazzarella di Poggioreale e piazza Mercato, i quali trasporterebbero la merce attraverso un’unica rotta che dall’Italia arriva al porto di Dubrovnik e che una volta era legata ai traffici della droga e delle sigarette di contrabbando, sempre legati agli stessi clan. I casalesi, invece, si starebbero dedicando al riciclaggio di denaro sporco in attività edilizie.
Ma ce ne sono altre di vicende strane legate al turismo a Medjugorje. La prima riguarda Balkan Express, tour operator per cui il santuario mariano rappresentava la meta più venduta, che a dicembre 2017 si è dichiarato insolvente (l’anno prima comparivano a bilancio 20 milioni di fatturato). Questo vuoto ha creato soluzioni alternative, come gli autobus da Spalato o Dubrovnik, in cui si sarebbero infiltrate anche le organizzazioni criminali, come riportato dall’arcivescovo Hoser.
C’è poi la storia di don Luciano Ciciarelli, sacerdote di 79 anni di Civitella Casanova, in provincia di Pescara. Il 2 agosto 2015 è scomparso nei boschi di Medjugorje: il prete era solito assentarsi per lunghi periodi di tempo e la tesi più accreditata è che si sia perso nei boschi, a seguito di un malore. Altri, come Il Mattino, accreditano invece la tesi del nipote, secondo cui sarebbe rimasto vittima di “racket dei suoli sacri”. Un confratello di Ciciarelli aveva infatti ottenuto un terreno edificabile dal valore di 800mila euro, sul quale avrebbe voluto costruire un ospizio. Una volontà espressa prima di morire e lasciata nel testamento, per la quale però Ciciarielli non sarebbe stato autorizzato a trattare. Secondo un dossier preparato dal nipote, lo zio avrebbe dovuto incontrare a Medjugorje una donna bosniaca: lei, a sua volta, avrebbe dovuto fare da tramite per incontrare avvocati locali in grado di fornire una consulenza su come muoversi per realizzare l’ospizio. L’appuntamento sarebbe stato proprio il 2 agosto 2015, il giorno della scomparsa. Nonostante il sacerdote non si sia mai presentato all’appuntamento, la donna non ha lanciato nessun allarme alle autorità competenti.
C’è poi Michele Barone, prete cugino di un omonimo ex-camorrista del clan degli Zagaria. A febbraio è stato arrestato con l’accusa di aver abusato e maltrattato almeno tre donne, tra cui una ragazzina di 13 anni. È lui il personaggio più rilevante, dal punto di vista criminale. Si dichiarava esorcista e sarebbe uno degli uomini che gestiva il business del pellegrinaggio religioso per conto della camorra, in particolare uno degli alberghi più lussuosi in cui venivano portate le comitive. La procura di Santa Maria Capua Vetere, titolare dell’inchiesta, secondo il quotidiano di Napoli Il Mattino starebbe anche indagando su frequenti viaggi in Bosnia Erzegovina delle mogli dei boss. Solo fervore religioso? No: per gli inquirenti si tratterebbe di incontri d’affari.
Il rapporto tra mafia e ritualità religiosa è ancestrale. Come ricorda il saggio Chiesa e mafie, pubblicato da Isaia Sales nell’Atlante delle mafie, anche le mafie hanno le loro ritualità, che si richiamano a quella religiosa. Ci sono uomini di Chiesa che hanno cercato di dividere religione e mafia (venendo anche ammazzati, come nel caso di don Diana), e altri che si sono messi a disposizione delle famiglie, durante la latitanza dei boss, oppure nel tentativo di scagionare alcuni affiliati. Il business religioso è da sempre veicolo di consenso e di prestigio sociale, uno strumento per dimostrare che l’organizzazione è dalla parte dei fedeli: per questo Medjugorje è tanto ambita.
Questi elementi rendono ancora più delicata la decisione della Chiesa in merito al riconoscimento delle apparizioni mariane in Bosnia. Tra il 2010 e il 2014 una commissione presieduta dal cardinale Ruini è stata chiamata a indagare sulle prime sette apparizioni. L’esito – reso pubblico a maggio 2017 – è di 13 voti favorevoli, uno contrario e uno sospensivo. Papa Francesco ha espresso la sua personale diffidenza nei confronti delle nuove apparizioni, mentre si è detto più possibilista, visto anche il precedente della commissione, su apparizioni più vecchie. Anche a questo si deve la lentezza di decisione su Medjugorje.
Al di là delle folle di pellegrini che si recano nella città bosniaca per pregare e per vivere un’esperienza che ritengono spirituale, resta il nodo di un sistema economico che si è creato attorno a eventi sovrannaturali, sulla cui natura mistica persino i teologi e i massimi esperti nutrono ancora dubbi. Questa loro prudenza, però, non ha rallentato la macchina del turismo, che per altro risulta una delle poche funzionanti in una zona che sostanzialmente è molto povera. La Chiesa ha cercato di rimediare in qualche modo, non riconoscendo i viaggi in cui si promette ai fedeli di vedere la Madonna, ma la carica mistica del luogo è inevitabilmente legata alla fede nelle apparizioni. L’intero sistema ad oggi si poggia sulle apparizioni a sei veggenti – Marija Pavlović Lunetti, Mirjana Dragičević Soldo, Ivanka Ivanković Elez, Vicka Ivanković, Ivan Dragičević e Jakov Čolo – per la maggior parte proprietari di strutture legate al turismo religioso oppure, come nel caso di Dragičević, residenti all’estero.
Dal punto di vista economico Medjugorje è territorio di un’oligarchia: a fare incassi sulla pelle dei fedeli e dei pellegrini ci sono sempre state poche persone, mentre nei dintorni permane una povertà diffusa. In questo sistema economico “chiuso”, la camorra avrebbe usato dei suoi finti uomini di Chiesa per accreditarsi come fornitore di servizi, sfruttando quei collegamenti e quelle rotte che una volta servivano a contrabbandare armi e sigarette.
Questa è la fede nell’ottica mafiosa: un veicolo di consenso e un moltiplicatore di affari.