Il 2021 è stato un anno di altre catastrofi naturali. Le alluvioni dell’estate nel nord Europa hanno ucciso più di 180 persone in poche ore in Germania, spazzando via strade e abitazioni. In Sardegna migliaia di ettari di campagna sono andate distrutte negli incendi, in Grecia le fiamme hanno bruciato intere isole. Questo autunno, alla vigilia della Cop26 di Glasgow sul clima, nel Mediterraneo un ciclone con la potenza di un uragano si è abbattuto sulle coste della Sicilia. Gli eventi meteorologici estremi sono diventati fenomeni a cui abituarsi e da fronteggiare. Senza che nel frattempo dai leader del mondo siano arrivate intese incisive per compiere seriamente la transizione verde che la stessa Commissione europea (Ue) ha tracciato nel piano del Green deal, con l’obiettivo di ridurre del 55% già entro il 2030 le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 e raggiungere così il traguardo delle emissioni zero entro il 2050. Il tetto entro 1,5 gradi sul riscaldamento globale “per metà secolo” pattuito a ottobre al G20 sull’ambiente di Roma non vincola ancora gli Stati a impegni concreti né a scadenze temporali.
La Conferenza dell’Onu sul Clima di pochi giorni dopo in Scozia ha partorito una bozza ancor più annacquata, che non fissa neanche un’uscita dal carbone ma ne riduce solo l’impiego, ammettendo quindi i sussidi alle fonti fossili cosiddette “efficienti” che continueranno a rilasciare per decenni emissioni Co2 nell’aria. Di questo passo, l’energia pulita da fonti rinnovabili promessa anche negli slogan dei summit e chiesta con forza, senza deroghe, dalle nuove generazioni resterà una chimera. Tra i decisori globali, il negoziato sulla transizione ecologica viene ostacolato dagli interessi geopolitici e industriali, al punto che i piccoli passi in avanti fatti per tutelare l’ambiente non tengono in alcun modo il passo dei mutamenti climatici in atto. Eppure, l’invito ai governanti ad agire con misure nette e incontrovertibili per salvare il pianeta è un pressing che in questi mesi proviene anche dalle migliaia tra cittadini e gruppi della società civile chiamate a elaborare, dal basso, idee e raccomandazioni per la Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFoE).
Anche nelle assemblee di democrazia partecipativa dell’Ue prendono corpo le istanze dei Fridays for Future di Greta Thunberg. “Il nostro gruppo sul clima si sta concentrando su proposte per lo stop ai pesticidi e agli antibiotici e per un’agricoltura prevalentemente a chilometro zero, fatta di reti di piccoli e medi coltivatori, e di allevamenti non più intensivi”, racconta a The Vision Rossella Pellarin, tra i 200 cittadini del panel su salute e ambiente della CoFoE e loro ambasciatrice nelle assemblee plenarie a Strasburgo con eurodeputati, membri dei governi e dei parlamenti nazionali, della Commissione Ue e delle parti sociali. Per Rossella, 44 anni, friulana rilevatrice dell’Istat, “è essenziale rendere da subito consapevoli le nuove generazioni delle buone pratiche quotidiane. Perciò vogliamo raccomandare anche molta più istruzione scolastica sull’ambiente, e campagne di informazione tra la cittadinanza su stili di vita sostenibili. Chiederemo anche di ripetere consultazioni partecipative come questa, a livello nazionale e sui territori. Siamo un gruppo molto unito”, conclude, “ed è straordinario che a battersi per i giovani ci sia, nel mio gruppo, anche un decano come Celestino Addari, 85enne di Nuoro molto attivo nelle sessioni all’estero e online”.
Tra le circa 2300 idee sul clima sulla piattaforma digitale della CoFoE (di oltre 8mila tra autori e followers) le più sostenute sono quelle per tassare le emissioni Co2 e gli altri gas serra e potenziare le reti ferroviarie in Europa, sia per passeggeri sia per il trasporto di merci. Aumentare i treni e armonizzare i collegamenti su rotaia tra i 27 Stati interni, abbattendo le emissioni, è una richiesta che viene anche dagli imprenditori della Camera di commercio austriaca. Altre centinaia di cittadini suggeriscono un sistema di incentivi fiscali dell’Ue per spingere le rinnovabili, e di disincentivi sul fossile. Poi etichette sui prodotti con l’impronta delle Co2, e dazi sulle importazioni di merci e servizi che non rispettano i limiti Ue sulle emissioni. Stabilire un prezzo delle emissioni Co2 per le imprese (dalle 50 euro a tonnellata iniziali per arrivare a 100 euro a tonnellata nel 2025) e introdurre una border carbon tax sull’import nell’Ue e un carbon pricing sostenibile è anche la battaglia del movimento europeo di cittadini Eumans, lanciato da Marco Cappato, che oltre ad aver pubblicato la proposta sulla piattaforma della Conferenza Sul Futuro dell’Europa nei mesi scorsi aveva portato avanti anche con la campagna StopGlobalWarning.Eu, organizzata attraverso lo strumento partecipativo dell’iniziativa dei cittadini europei (Ice), raccogliendo oltre 62 mila adesioni, 100 delle quali da sindaci di città come Firenze, Roma e Dublino. Proprio nei giorni della COP26, la campagna di EUMANS è stata presentata il 9 novembre in un’audizione ufficiale al Parlamento europeo e trasformata in un appello per un carbon pricing globale, ottenendo una replica ufficiale dalla Commissione Europea e l’avvio di un processo interno alle Commissioni del Ambiente e Affari Internazionali del Parlamento Europeo.
“Le emissioni Co2 sono già tassate da Stati europei come la Svezia e la Francia, anche la Commissione europea prevede una Carbon border adjustment mechanism sull’import nel piano del Green deal”, ci spiega Cappato. “Ma perché sia accettata dall’opinione pubblica e possa incidere, la carbon tax deve essere compensata con misure sociali molto importanti per le fasce a basso reddito. E deve essere sostenibile anche per le imprese, deve essere cioè una tassa applicata in modo strutturale ma graduale, non estemporaneo come la plastic tax. A un prelievo sempre più consistente per l’ambiente deve corrispondere una riduzione di altre tasse”. Orientare le economie europee verso i target del Green deal, anche con incentivi e finanziamenti all’agricoltura e agli allevamenti biologici, sviluppare reti di trasporti pubblici elettrici e a idrogeno, e nel complesso finanziare la transizione verde dei comparti produttivi negli Stati membri con misure di welfare accompagnate alla riconversione è, nella sostanza, anche la domanda generale dei cittadini, delle parti sociali e delle associazioni che tra la primavera del 2021 e il 2022 partecipano alla Conferenza sul futuro dell’Europa.
Per Eleonora Evi, coportavoce di Europa verde e tra gli eurodeputati della delegazione della CoFoE che dibattono le raccomandazioni con i cittadini, occorre “creare un Recovery fund europeo riservato e strutturale per l’ambiente, in modo da dare una piattaforma stabile agli investimenti per la transizione energetica verso le rinnovabili. Così sarebbe superata anche la soglia del 37% dei fondi da destinare all’ambiente fissata dalla Commissione europea nei Piani nazionali di ripresa e resilienza del 2021”. “Di per sé già un buon risultato”, ci spiega Evi, “ma non una misura permanente. E che secondo il monitoraggio di osservatori come il Green recovery tracker non ci dà la garanzia che tutti gli investimenti dichiarati come green dai governi, e presi per buoni anche dalla Commissione europea, poi lo saranno veramente. Per l’Italia, per esempio, la quota del Pnrr valutata dal barometro come sicuramente positiva per l’ambiente è al 16%. La volontà espressa dai cittadini alla Conferenza sul futuro dell’Europa rappresenta quindi un sostegno importante per poter raggiungere gli obiettivi del Green deal, un traguardo che in questi anni non è scontato neanche in Europa”.
Due raccomandazioni sul clima sono già passate a larga maggioranza (l’85%) tra i 200 cittadini del panel sui diritti e sono discusse questo dicembre in assemblea plenaria. Il testo chiede di “promuovere un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente e del clima in Europa e nel mondo, tassando tutte le emissioni negative, i pesticidi, l’uso estremo di acqua” in base all’onere ambientale. I cittadini raccomandano inoltre “dazi doganali su tutti i prodotti agricoli importati” per “eliminare i vantaggi competitivi nei Paesi terzi senza gli stessi standard dell’Ue”. Di “tassare le emissioni causate dal trasporto di animali a lungo raggio”. Di “smettere di sovvenzionare la produzione agricola di massa, se non porta a una transizione verso un’agricoltura sostenibile”. E di “riorientare i sussidi per sostenere questa transizione”. Altre decine di raccomandazioni dal basso arriveranno dal panel sull’ambiente di gennaio.
Virginia Fiume, coordinatrice di Eumans, è convinta “dell’opportunità per i cittadini di prendere parte a iniziative di democrazia partecipativa come la Conferenza sul futuro dell’Europa, per portare avanti le loro istanze”. “Ci auguriamo che queste raccomandazioni, anche se non vincolanti, siano recepite dalla Commissione europea e che questa consultazione dell’Ue non resti un unicum ma sia ripetuta”, commenta a The Vision. “Noi intanto stiamo organizzando un congresso dei cittadini a Varsavia e raccogliamo firme in Italia per una legge che istituisca delle assemblee partecipative sul clima composte da cittadini estratti a sorte”.
Lo scorso anno oltre 2mila cittadini, e tra loro diversi personaggi pubblici, hanno preso parte alla campagna mediatica per l’ambiente del Parlamento europeo #vogliounpianetacosì. La domanda per rendere migliore la qualità della vita e dell’ambiente è alta. Ed è ormai un bisogno della collettività, tanto che gli appelli popolari vanno chiaramente nella direzione delle battaglie tradizionali dei movimenti ambientalisti. Finanziare le economie dell’Ue in chiave eco-sociale, in modo da sviluppare negli Stati membri reti decentrate e circolari di attività e servizi che abbattano gli sprechi e limitino i danni all’ambiente, è una richiesta condivisa dalla gran parte degli abitanti dell’Ue. Vincolare i finanziamenti europei alle politiche ecologiche è la via maestra per il successo del Green deal, la strada per trasformare la transizione verde nella svolta sperata dai cittadini, a tutela della loro salute e delle vite delle nuove generazioni.