Imporre una gravidanza o un aborto a una donna è violenza e si chiama coercizione riproduttiva - THE VISION

Durante la sua deposizione davanti a un giudice di Los Angeles per chiedere di porre fine alla tutela legale del padre a cui è sottoposta dal 2008, la popstar Britney Spears ha parlato delle privazioni e degli abusi subiti nell’ultimo decennio per la mancanza di libertà e autonomia personale. Tra questi, ha raccontato di non aver avuto il permesso di rimuovere la spirale intrauterina per poter avere altri figli come lei desiderava.

Quella subita dalla cantante è una forma di violenza chiamata “coercizione riproduttiva”, definita come quell’insieme di “comportamenti che interferiscono con l’autonomia decisionale di una donna a proposito della sua salute riproduttiva”. È un tipo di violenza invisibile, che agisce più a livello psicologico che fisico e che spesso si fa fatica a riconoscere come tale: spesso l’ingerenza sulla gravidanza o la contraccezione viene scambiata come una forma di eccessiva preoccupazione più che come una manipolazione che scavalca il consenso. Si tratta infatti di influenza e si può esercitare in molti modi, ad esempio obbligando una donna a portare a termine o a interrompere una gravidanza, vietandole o imponendole di utilizzare contraccettivi, ma anche esponendola consapevolmente al rischio di contrarre malattie sessualmente trasmesse. La coercizione può avvenire attraverso minacce di violenza fisica, ma anche attraverso ricatti, abusi emotivi o controlli ossessivi.

La coercizione riproduttiva è un tema abbastanza nuovo negli studi sulla violenza di genere e sulla salute femminile. Il primo studio sull’argomento che ha stabilito una relazione causale tra controllo della gravidanza e violenza domestica risale infatti soltanto al 2010. Le ricerche sulla sua incidenza sono state condotte in cliniche per la pianificazione familiare nel Nord della California, dove è risultato che rispettivamente il 19% e il 15% delle donne che avevano subito violenza fisica o sessuale dal partner riportavano anche gravidanze forzate e sabotaggi nell’uso dei contraccettivi. Secondo Karen Trister Grace e Jocelyn C. Anderson, che hanno fatto un’analisi di tutti gli studi disponibili sull’argomento, le modalità più diffuse in cui si manifesta la coercizione riproduttiva sono tre: la prima consiste nel fare pressione o minacciare la partner affinché rimanga incinta, ad esempio minacciando di porre fine alla relazione o di usare la violenza nel caso in cui non si voglia fare un figlio. La seconda riguarda il controllo della contraccezione, cioè rifiutare di indossare il preservativo durante i rapporti, praticare lo stealthing (rimuoverlo senza consenso) o impedire alla partner di prendere la pillola. La terza, infine, è l’obbligo o il divieto di aborto, attraverso minacce o imposizioni. 

Se queste forme di violenza si verificano soprattutto nella coppia o nel nucleo familiare, anche a opera di padri o fratelli maggiori, secondo il Guttmacher Institute – il più importante centro di studi al mondo sulla salute riproduttiva – c’è anche un aspetto sistemico da prendere in considerazione. In un articolo del 2012, l’Istituto ha evidenziato come le pratiche di coercizione possano avvenire anche per mano di Stati e governi. I casi di sterilizzazione forzata delle afroamericane negli Stati Uniti (in alcuni Stati avvenuti fino agli anni Ottanta) o delle donne indigene in Perù in una campagna avvenuta tra il 1996 e il 2000, sulla quale ora si sta svolgendo un importante processo contro l’ex presidente e il ministro della Salute del Paese, ne sono un esempio. Ma anche le campagne pro-nataliste, che mirano ad aumentare il numero di nuovi nati sottraendo alle donne il controllo sul proprio corpo sono una forma di coercizione riproduttiva: dal 1965 al 1989, il governo di Ceaușescu in Romania vietò l’aborto e ogni forma di contraccezione. Il divieto portò presto a una sovrappopolazione che causò gravi problemi sociali, oltre a tassi altissimi di mortalità durante il parto e al ricorso all’aborto illegale, con tutti i rischi che comporta alla salute delle donne.

Il diritto di ogni persona di decidere autonomamente sulla propria salute riproduttiva è stato affermato tra i Principi stabiliti durante la Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo, organizzata dalle Nazioni Unite al Cairo nel 1994: “I programmi di salute riproduttiva devono fornire il più ampio ventaglio di servizi senza alcuna forma di coercizione. Tutte le coppie e gli individui hanno il diritto fondamentale di decidere liberamente e responsabilmente il numero e la distribuzione dei propri figli e avere l’informazione, l’educazione e i mezzi per farlo”. Tale principio rafforzava anche l’intenzione, nei programmi umanitari nei Paesi in via di sviluppo, di non intervenire eccessivamente sui temi riproduttivi come era stato fatto ad esempio negli anni Ottanta in Africa. 

Secondo il Guttmacher Institute, anche tutte le pratiche che impediscono l’aborto laddove esso è legale sono una forma di coercizione riproduttiva, dal momento che mettono le donne nella condizione di non avere scelta tra il portare avanti e l’interrompere una gravidanza. Si tratta di un tema complesso, dal momento che le leggi sull’aborto in tutto il mondo sono un compromesso tra la depenalizzazione della pratica e la condanna al suo utilizzo illecito. Anche la legge 194/78, che regola l’interruzione di gravidanza in Italia, segue questa impostazione: agli articoli 17, 18, 19 e 20 la legge punisce chi provoca l’aborto o il parto prematuro “per colpa” e “senza il consenso della donna”. In particolare, “si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno”. L’articolo 5 stabilisce invece che il padre del concepito può intervenire sull’aborto “ove la donna lo consenta”. 

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Per quanto riguarda invece la coercizione della gravidanza e il controllo della contraccezione, non esistono legislazioni specifiche, ma in alcuni casi i tribunali hanno riconosciuto una violenza sessuale. Nel 2018, un poliziotto tedesco di 36 anni è stato condannato per violenza sessuale per aver rimosso di nascosto il preservativo durante un rapporto sessuale. Lo scorso anno, la Corte d’Appello del Galles ha invece assolto dall’accusa di stupro un uomo che aveva mentito alla sua partner sull’aver avuto una vasectomia. L’uomo si trova comunque in prigione per aver commesso violenza su altre sette donne. Nel nostro Paese si è parlato molto della condanna a 24 anni di carcere – confermata lo scorso anno dalla Corte d’Assise d’Appello – a Valentino Talluto per aver consapevolmente infettato, con quella che la procuratrice generale Simonetta Matone definì “volontà pianificatrice”, 32 donne con il virus dell’Hiv. Talluto è stato condannato per lesioni gravissime. 

Le autorità vengono a sapere dei casi di coercizione riproduttiva quasi sempre nei consultori o nelle cliniche abortive: secondo un’indagine pubblicata sulla rivista BMJ Sexual and Reproductive Health, ne sarebbe vittima addirittura una donna su quattro di quelle che si presentano nelle cliniche di salute sessuale. Nel 2009, attraverso dei questionari anonimi somministrati alle donne che interrompevano la gravidanza all’ospedale di Trieste, è emerso che il 13% delle donne che subivano violenza fisica o psicologica erano rimaste incinte per volontà del partner e il 21,7% volevano interrompere la gravidanza nonostante il partner non volesse. Questi dati sottolineano non solo il ruolo cruciale che possono avere i consultori – sempre meno diffusi sul territorio – nell’individuare le situazioni di violenza domestica e di abuso, ma anche quanto la coercizione riproduttiva sia un fenomeno sommerso e sottovalutato. Se ne veniamo parzialmente a conoscenza solo quando si arriva a terminare una gravidanza indesiderata, dobbiamo chiederci quante donne la portino comunque a compimento e soprattutto quanti altri rapporti sessuali abbiano dovuto subire senza avere il pieno controllo del proprio corpo e della propria salute riproduttiva. Per questo è importante che si parli di coercizione riproduttiva e si sottolinei come anche questa sia una forma di violenza, più invisibile e sottile delle altre, ma non per questo meno importante.

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