Il rapporto pubblicato il 20 gennaio in Germania sui casi di pedofilia che si sono verificati nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga – e che accusa per sospetta copertura, tra gli altri, anche Joseph Ratzinger – non è certo il primo scandalo per abusi che vede coinvolta la Chiesa Cattolica. Dai primi anni 2000, infatti, l’istituzione clericale è stata oggetto di inchieste giornalistiche e giudiziarie che hanno svelato una realtà troppo a lungo celata dalle alte sfere ecclesiastiche.
Una delle prime e più importanti inchieste sull’insabbiamento da parte di vescovi e alti prelati di molestie e atti di pedofilia da parte del clero risale al 2001, quando il quotidiano The Boston Globe accusò il cardinale Bernard Francis Law di aver coperto molti casi di pedofilia avvenuti nelle parrocchie della sua diocesi. La Chiesa Cattolica fu quindi costretta a fronteggiare un problema che fino ad allora era riuscita a tenere nascosto, ma non lo fece certo nel migliore dei modi, se pensiamo che il cardinal Law fu sì rimosso dal suo incarico a Boston, ma venendo promosso e diventando arciprete a Roma in una delle quattro basiliche costantiniane, la chiesa di Santa Maria Maggiore, un luogo di enorme importanza simbolica per la cristianità cattolica. L’indagine del Boston Globe, però, ottenne il Premio Pulitzer e diede il via a numerose altre indagini su casi di abusi all’interno della Chiesa.
L’inchiesta di Monaco, rispetto alle inchieste fatte finora, contiene in sé alcune importanti novità: innanzitutto mette sotto accusa l’operato di un arcivescovo che fu poi a capo di tutta la Chiesa cattolica e in secondo luogo è un’indagine voluta dalla Chiesa stessa. Il rapporto, realizzato dallo studio legale tedesco Westphal Spilker Wastl, fa riferimento a un totale di 497 persone che subirono abusi sessuali nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga dal 1945 al 2019, un vero e proprio “bilancio dell’orrore” come l’hanno definito gli avvocati che hanno presentato l’inchiesta. Le vittime sono in maggioranza giovani maschi, ma fra di loro ci sono anche molte donne, perlopiù minorenni. Il 60% di essi, all’epoca dei fatti, aveva un’età compresa fra gli 8 e i 14 anni e i responsabili individuati sono 235, tra preti, diaconi, impiegati nel settore scolastico, insegnanti ed educatori. L’avvocata che ha portato avanti questa indagine ha confermato che questi violentatori hanno continuato a esercitare il loro ministero e i loro incarichi, grazie a un sistema di insabbiamento strutturato e attivo per tutelare l’istituzione ecclesiastica.
L’indagine coinvolge anche Joseph Ratzinger, in quanto, quando era arcivescovo di Monaco e Frisinga, non prese provvedimenti adeguati di fronte a quattro casi di preti pedofili che avevano abusato sessualmente di minori tra il 1977 e il 1982. Due di questi casi riguardarono sacerdoti che, nonostante fossero stati accusati di molestie sessuali, continuarono a mantenere il loro incarico proprio nel periodo in cui Ratzinger era arcivescovo e quindi fu grazie al suo benestare che questi non lasciarono il loro esercizio del ministero.
La reazione a queste accuse da parte degli ambienti più conservatori della Chiesa cattolica non si è fatta attendere. Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana per 16 anni (a partire dal 1991), ha detto che le accuse sono “assurde” e che mai Ratzinger avrebbe accettato di divenire pontefice “se la sua coscienza gli avesse rimproverato qualcosa”. Il movimento cattolico Comunione e Liberazione ha definito i dati del rapporto “accuse infamanti”. Il sito Vatican News ha poi ricordato come proprio Benedetto XVI fosse stato il primo pontefice a incontrare le vittime degli abusi e a mostrare una Chiesa “che si umilia nel chiedere perdono, che prova sgomento, rimorso, dolore, compassione e vicinanza”. Ma è anche vero che Ratzinger non poteva muoversi in altro modo: nei suoi anni di pontificato, dal 2005 al 2013, scoppiarono infatti scandali in Germania, Francia, Belgio, Irlanda, Malta e Australia, che il Capo della Chiesa non poteva certo ignorare, anche perché era cresciuta negli anni la consapevolezza, anche fra i credenti, che le accuse fossero reali e che per decenni la Chiesa avesse coperto gli abusi del clero.
Durante la compilazione del rapporto, Ratzinger aveva affermato di non sapere delle accuse contro un prete colpevole di abusi sessuali su minori e di non esser stato presente a una seduta, tenutasi il 15 gennaio 1980 nella quale si decise di accoglierlo all’interno della diocesi di Monaco. I legali estensori del rapporto avevano già giudicato però questa affermazione “poco credibile” e negli scorsi giorni il papa emerito ha ammesso di aver fornito agli investigatori informazioni false.
Che Ratzinger sia responsabile o meno della copertura di preti pedofili non deve essere però l’unico focus della questione. Certo, fu lui l’arcivescovo di Monaco in una frazione del periodo temporale analizzato dall’inchiesta, in anni in cui si alternarono ben tre pontefici in Vaticano: Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. Se possiamo sospendere il giudizio su Papa Luciani che regnò solo 33 giorni, papa Montini e papa Wojtyla – il cui procedimenti di santificazione è peraltro stato messo recentemente in dubbio – non hanno molte scusanti per non aver agito contro la piaga della pedofilia, avendo governato su tutta la Cristianità cattolica rispettivamente 15 e 26 anni. Tralasciando il fuoco incrociato che l’ammissione del papa emerito ha aperto fra i suoi difensori e accusatori, occorre concentrarsi sull’altro dato importante di questa inchiesta: la sua commissione, che molto ci può dire su come il Vaticano si stia approcciando in modo diverso alla questione degli abusi sessuali.
Il rapporto realizzato dallo studio legale tedesco Westphal Spilker Wastl, infatti, è stato richiesto dalla Chiesa Cattolica tedesca stessa e in particolare dal cardinale Reinhard Marx, un cardinale progressista (se di progressismo si può parlare all’interno del cattolicesimo), che ora controlla la stessa diocesi che fu di Ratzinger. Marx è forse il porporato tedesco più vicino all’attuale Papa Bergoglio, a cui nei mesi scorsi aveva rassegnato le dimissioni, poi respinte, proprio perché credeva di aver agito troppo timidamente sulla questione degli abusi. In questa ricerca di verità, c’è da scorgere la volontà dell’attuale papa di non voler più subire gli scandali, ma di diventare promotore delle inchieste che li portino alla luce. Eppure, questa ricerca non sembra proprio interessare all’Italia, probabilmente a causa della CEI e dello scandalo che non sarebbe in grado di gestire, data la presunta entità della sua ampiezza, ben più tragica rispetto a quella di altri Paesi.
In Italia, infatti, la Chiesa cattolica non teme come altrove altri credi cristiani o altre religioni, vantando una presenza decisamente maggioritaria, e questo dato aumenta enormemente le probabilità che i casi siano più numerosi e forse più gravi rispetto ad altrove. Le diocesi in Germania sono solo 27, in Francia 98, 22 in Irlanda e 32 in Australia, ma in Italia sono ben 226 . Questa maggiore presenza fa supporre che i numeri celati finora siano decisamente più importanti di quelli emersi in altre nazioni cattoliche. Sebbene Papa Francesco abbia lasciato i singoli episcopati liberi di scegliere il modo che reputavano più idoneo nel combattere la piaga della pedofilia, appare infatti evidente, ogni anno di più, che l’assenza di indagini in Italia sia un tentativo della Chiesa di non fare i conti con il suo passato e il suo presente, nel territorio in cui è più radicata.
Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana, incaricato da Papa Francesco, ha dichiarato in un’intervista alla Stampa: “Nel mondo in ogni regione tra il 3 e il 5 per cento dei preti è un abusatore. Abbiamo dei criminali fra noi”. Per questo serve un’inchiesta anche in Italia, eppure pare che ne manchi il coraggio. Il cardinale Bassetti, Presidente dei vescovi italiani, al momento temporeggia ed evita di aprire un’inchiesta simile a quella di Monaco, ma il suo mandato scade a fine maggio di quest’anno. I nomi che circolano per il suo successore nell’ambiente ecclesiale sono quelli di Matteo Zuppi, cardinale di Bologna, Augusto Paolo Lojudice, cardinale di Siena, e quello dell’arcivescovo di Modena, Erio Castellucci. Tutti e tre sono di nomina bergogliana e negli anni hanno mostrato molta vicinanza alla sua linea pastorale.
Parte dell’episcopato italiano sembra aver compreso l’importanza di far ammenda, fronteggiando un segreto che ormai, seppur non nominato, è a conoscenza di tutti, e denunciando chi fino a oggi è stato protetto e allontanando coloro che hanno coperto questi crimini, altri temono, giustamente, che uno scandalo di portate imponenti possa allontanare i fedeli. Quindi è difficile escludere a priori un colpo di coda dell’area conservatrice che potrebbe portare alla CEI un nome a lei gradito. Occorre attendere questa nomina nella speranza che la Chiesa italiana trovi la stessa determinazione nell’affrontare gli abusi che mette nell’ostacolare progressi importanti per la società italiana come il ddl Zan o il referendum sull’eutanasia. In assenza di ciò, occorrerebbe che questa inchiesta fosse promossa da altre istituzioni, giornalistiche o giudiziarie, in modo da concedere alle vittime ciò che la Chiesa ha negato loro fino a oggi, ed evitare che questi abusi continuino ad essere perpetrati.