Se non siete la soddisfatta metà di una coppia collaudata, è molto probabile che la vostra vita sessuale, con la pandemia, abbia subito qualche battuta d’arresto. Le occasioni di conoscersi, la fiducia da accordare e le modalità d’approccio sono tutti fattori che vanno incontro a continui aggiustamenti per adeguarsi a un momento storico in cui l’obbligo sanitario dell’isolamento si fronteggia continuamente con la necessità di combattere la solitudine. Ci sono però dei microcosmi di interazione sociale su cui l’emergenza sanitaria non ha quasi avuto effetto, forse perché già clandestini e fuori dai radar: tra questi c’è il mondo del chemsex. In Italia non se n’è parlato molto, per lo più con i toni morbosi e pressapochisti tipici della cronaca nera, in quelle occasioni in cui presunti incontri del genere sono finiti in modo tragico.
I chemsex sono feste private, organizzate in casa di qualcuno o in appartamenti affittati per l’occasione, in cui gruppi di persone – in Italia prevalentemente maschi gay – si incontrano per assumere droghe e avere rapporti sessuali. Tra le più consumate, come ci hanno spiegato i nostri intervistati, ci sono GHB, coca basata, crystal meth, mefedrone e PV (o MDPV), oltre al viagra, per contrastare gli effetti collaterali di queste sostanze.
L’abbinamento tra sesso, droghe e alcol non è certo una novità. Si tratta di una pratica antica che aveva luogo in molte culture diverse, adattandosi di volta in volta al contesto sociale. Oggi, ciascun chemsex ha le proprie caratteristiche, a seconda degli ospiti e del tipo di droghe che circolano, che possono essere più o meno forti a seconda del mood della festa. La maggior parte dei festini è organizzata in abitazioni private, messe a disposizione da qualcuno dei partecipanti, ma può succedere che uno spacciatore affitti un appartamento espressamente per l’occasione. Anche i frequentatori sono molto eterogenei tra loro, per età, professione, ceto ed etnia.
La costante è andare avanti a oltranza, magari per giorni, anche perché il consumo di certe sostanze fa sentire certamente più disinibiti ma rende anche più difficile raggiungere il soddisfacimento. Per alcuni habitué il chemsex è un’attività ricreativa senza particolari conseguenze: uno svago confinato al week end non molto diverso dal clubbing, dagli after e dalle feste private di altro genere. Per altri, invece, si crea una forma intensa di dipendenza.
Negli Stati Uniti, dove il fenomeno è più diffuso – e non riguarda soltanto la comunità gay – l’ente per la salute GMFA ha condotto un sondaggio, secondo il quale durante l’emergenza sanitaria ben il 48% di chi praticava abitualmente chemsex ha smesso, soprattutto a beneficio dell’alternativa virtuale via webcam. A Milano, però, la situazione sembra essere diversa e i ragazzi con cui ho parlato confermano tutti che la scena è rimasta pressoché uguale a prima del Covid-19. Le ragioni per cui è tanto difficile rinunciare a questo tipo di pratica sono diverse, prima fra tutte, come dicevamo, la dipendenza: da droghe, dal sesso o dalla combinazione di entrambi. Per T., 24 anni, praticare chemsex è stato soprattutto un modo di procurarsi sostanze in modo gratuito: “Io andavo per la base, stavo sempre vicino allo spacciatore e facevo tutto quello che mi diceva lui”, racconta, descrivendo una dialettica ricattatoria che può crearsi facilmente tra un ragazzo giovane e senza mezzi e chiunque voglia approfittarsi della sua dipendenza. Per G., 30 anni, la prima forma di dipendenza è stata invece quella dal sesso e dai siti di incontri, a cui, solo col tempo, si sono aggiunte le sostanze. “A 16 anni iniziai a saltare la scuola con il mio primo amico gay per andare a caccia di sesso occasionale tramite siti di incontri”, racconta G: “Nei successivi 8 anni ho continuato questa routine, che era un modo per lasciare andare le mie insicurezze. All’ennesimo match su un’app di incontri conobbi uno spacciatore di crack. Si presentò a casa mia con delle bottiglie di vetro collegate da tubi e mi disse di provare. Che mi avrebbe fatto arrapare. L’adrenalina andava alle stelle e il sesso era violento e durava tantissimo. Nel giro di pochi mesi ero già dipendente. Già dalla seconda volta lui ha iniziato a chiedermi soldi sia per la roba che per il sesso: era diventato un pacchetto completo di cui non riuscivo più a fare a meno. Ho avuto esperienze promiscue con altri uomini, con una donna, con gruppi. Non capivo più se lo facevo per la sostanza, per il sesso o per come mi dimenticavo di me stesso”. La combo di sesso e sostanze ha il preciso scopo di amplificare l’esperienza e infatti, racconta G: “Se da sobri il livello massimo di piacere è 10 con il chemsex arrivi a 1000, e dopo è un problema tornare indietro. Il sesso senza sostanze perde di interesse e si iniziano a cercare situazioni sempre più ignote, cariche di rischio e di eccitazione. E tutto ciò – questa perdita di controllo – rispondeva al mio bisogno di dimenticare i miei problemi, i miei traumi e le frustrazioni che avevo accumulato, soprattutto durante l’adolescenza”.
Anche chi non ricerca esplicitamente il rischio, se frequenta abitualmente i chemsex avrà un’asticella di tolleranza nei confronti del pericolo un po’ più alta della media, e non solo per quanto riguarda le malattie – “La perdita di controllo”, spiega G. “riguarda anche le precauzioni” – ma anche per il tipo di dinamiche che si possono creare. A volte si perde il senso del tempo, ci si dimentica di andare al lavoro e si mancano occasioni importanti. Un problema ricorrente riguarda il consenso, che in certi contesti diventa meno chiaro da determinare e quindi anche più facile da violare, tanto che diversi ragazzi raccontano di essersi svegliati mentre qualcuno stava abusando di loro. Una volta T. si è risvegliato da solo in strada: se n’erano andati tutti, ma gli avevano lasciato le chiavi di un’auto dentro la quale erano stati stipati tutti gli avanzi della festa. Allo smarrimento di T. si è così aggiunto il panico di essere scoperto con tutta quella spazzatura “compromettente”.
I fattori di rischio, soprattutto quelli legati alla salute, rappresentano un problema per molti all’interno della comunità LGBTQ+ e infatti esistono alternative al chemsex più sicure e controllate che però, durante la pandemia, hanno dovuto chiudere in modo pressoché totale. Le saune gay riproducono in parte la dinamica del chemsex ma offrono una situazione più protetta e rilassante, senza obbligo di partecipare e con le sostanze che vengono consumate solo (e ufficiosamente) negli spogliatoi. “Si entra con una tessera associativa”, spiega C: “perché quasi tutte le saune gay sono legate a circoli. L’ambiente è molto accogliente e diversificato: c’è la vasca idromassaggio, che è il posto perfetto per conoscere qualcuno, ci sono sale relax con bar e divanetti, ci sono le dark room, le stanze private, il bagno turco e la sauna. Una cosa molto importante è che negli spogliatoi sono messi a disposizione lubrificanti, preservativi e le informative su dove rivolgersi per fare i test. Ti senti molto più tutelato rispetto a un chemsex e a parte un po’ di discriminazione verbale, soprattutto verso le persone trans o straniere, ci si sente a proprio agio”.
Realtà come le saune gay o i chemsex rispondono a necessità che difficilmente possono essere soddisfatte dall’alternativa via webcam: esperienze sensoriali e di intimità (fisica ma perché no, anche emotiva) che rientrano nel solco della tradizione MSM (men who have sex with men) dell’incontro in luoghi non convenzionali, come i locali di cruising e i battuage, cioè luoghi dove socializzare e stare in intimità al riparo dal giudizio del benpensante medio. Luoghi per loro natura clandestini, avventurosi e marginali, al di fuori del recinto istituzionale e per questo importanti per ribadire la necessità per alcuni di una sessualità meno normata e più libera.
Nonostante mi abbia aiutata molto a capire le ragioni di chi, anche in piena pandemia, sente la necessità di ricercare determinate situazioni, G. ha fatto una scelta diversa. In questi mesi, a differenza di altri, ha intrapreso un percorso di psicoterapia e meditazione, ha cambiato numero di telefono e ha bloccato le app dei siti di incontri. Al momento è contento di come stanno andando le cose. Qualcun altro, come R. (29 anni), ha invece cominciato a frequentare i chemsex proprio in questo periodo, perché “il desiderio di incontro, di intimità fisica e di distrazione era più forte che mai, mentre le occasioni sociali ‘normali’ erano praticamente impossibili”. Smettere o cominciare sono scelte individuali, che non vanno interpretate come parabole morali. Se stigmatizzare il fenomeno e raccontarlo in toni scandalistici è inutile e dannoso lo è anche parlarne senza dare conto delle molte zone buie e dei potenziali rischi. Rompere il tabù rimane, al momento, la cosa più importante, dato che queste realtà esistono.