Settembre 2018 è stato un mese epocale per la storia italiana: è stata infatti eliminata la povertà. Lo ha giurato il vicepremier e ministro del Lavoro Luigi di Maio al termine del consiglio dei ministri che ha trovato l’accordo sul Def. In realtà, i dati pubblicati a fine ottobre dall’Istat parlano di un aumento della disoccupazione, in particolare di quella giovanile. E sempre l’Istat ha sottolineato che dopo tre anni di espansione, il Pil, nel terzo trimestre del 2018, è rimasto fermo. Ma Di Maio non vuole sentire ragioni: come già succede con i dati sugli sbarchi e quelli sui crimini – in costante calo da più di un anno nonostante i toni allarmistici del governo – la statistica è ormai un’opinione e gli slogan contano più dei numeri.
La convinzione di Di Maio di aver abolito la povertà passa soprattutto dall’introduzione di quel reddito di cittadinanza che poi in realtà non è un reddito di cittadinanza e a cui verranno destinati 10 miliardi di euro. Non esiste ancora un testo definitivo, i dubbi sono più delle certezze, ma una serie di punti sembra già definita. Tra questi, il ruolo fondamentale che verrà ricoperto dai centri per l’impiego. In Italia ce ne sono 552, con un totale di circa 8mila dipendenti. Fino a oggi hanno svolto un lavoro marginale nella vita dei non occupati. Secondo un’analisi dell’Istat, nel 2017 sono state 1,91 milioni le persone che hanno contattato un centro per l’impiego: meno di un disoccupato su due (42,5%). Il ricorso ai centri è stato ritenuto utile dal 2,4% degli intervistati, vale a dire 45mila persone (Maurizio Del Conte di Anpal parla del 3%, una percentuale leggermente maggiore, ma comunque bassissima). In ogni caso, questi dati hanno portato Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, a sostenere di fronte al Senato che i centri per l’impiego svolgono un “Ruolo limitato nell’attività di ricerca di un’occupazione.”
Dal 2019, con l’introduzione del reddito di cittadinanza, la situazione potrebbe cambiare, e non in positivo. I centri per l’impiego diventeranno infatti protagonisti nella vita di milioni di persone, dal momento che l’iscrizione a essi diventerà un requisito necessario per ottenere i 780 euro mensili promessi dal M5S. Secondo Luigi Di Maio saranno 6,5 milioni le persone che troveranno lavoro in questo modo (anche se in altri casi ha parlato di 5 milioni, dimostrando già in partenza di non avere le idee molto chiare). Ma come è arrivato a tale numero? Come sottolinea Riccardo Saporiti su Il Sole24Ore, coloro che vivono sotto la soglia di povertà sono il 15,6% della popolazione italiana, vale a dire oltre 9 milioni di persone: un numero troppo alto rispetto alle dichiarazioni di Di Maio. I disoccupati sono invece circa 2,9 milioni, la metà di quelli indicati dal vicepremier: troppo pochi quindi. Si potrebbe dunque pensare che, a essi, Di Maio abbia aggiunto gli inattivi, stimati dall’Istat in 13,3 milioni nel 2017, ma di nuovo l’asticella sarebbe troppo alta. “È possibile allora ipotizzare,” spiega Saporiti, “che nella platea di beneficiari rientrino quelle che l’Istat definisce ‘forze di lavoro potenziali’, ovvero individui che rientrano nella categoria degli inattivi, ma che presentano una delle due caratteristiche che definiscono un disoccupato – oltre, ovviamente, al fatto di non avere un lavoro: essere immediatamente disponibili a lavorare e aver effettuato almeno una ricerca di occupazione nel mese precedente alla rilevazione dell’istituto. Nel 2017,” continua, “si trattava di poco più di 3 milioni di persone. Sommandole ai disoccupati, ci si avvicina ai 6 milioni citati più volte dal ministro del Lavoro.”
Ma, anche una volta individuato il probabile metodo di calcolo del governo, l’unica certezza che ci resta è che regna l’incertezza. Tutto è ancora molto vago, a parte il fatto che i centri per l’impiego, già oggi poco efficaci, si ritroveranno presto invasi da milioni di persone in cerca di occupazione. Se prima il tasso di successo del servizio oscillava tra il 2 e il 3%, meglio non stare a calcolare cosa potrebbe succedere a partire dalla prossima primavera. Certo, Di Maio sembra aver pensato anche a questo: in un recente documento ha infatti sottolineato come il governo intenda varare un piano di sviluppo per potenziare i centri per l’impiego, che rappresentano un “obiettivo prioritario” per realizzare il reddito di cittadinanza. Si va dal potenziamento del personale alla formazione degli operatori, dalla creazione di un logo e un layout che contribuiscano alla costruzione del nuovo brand dei centri, al miglioramento della connessione internet negli uffici, fino all’integrazione delle banche dati. Per fare tutto questo, il governo ha previsto nella legge di bilancio un investimento pari a un miliardo di euro – da sottrarre ai dieci programmati per il reddito di cittadinanza. Non è chiaro quanto questo finanziamento supplementare possa ottimizzare l’operato dei centri per l’impiego. Quel che è certo è che, stando ai dati in possesso oggi, avrebbero bisogno di molti più fondi: più di un’ottimizzazione, sarebbe necessaria una rivoluzione affinché il sistema non imploda in breve tempo. Basti pensare che, nel 72% dei casi, i centri attualmente funzionanti lavorano in assenza di internet, pc, personale qualificato e i documenti vengono trascritti ancora con carta e penna. La stessa sottosegretaria all’Economia, Laura Castelli, nei giorni scorsi ha dichiarato che “I centri per l’impiego che ereditiamo sono fermi al secolo scorso.”
Strumenti a parte, anche volendo tenere buone le proiezioni su quei 6 milioni di persone che beneficeranno del reddito di cittadinanza e rapportandole al numero di operatori attualmente impiegati nei centri, emerge un dato allarmante. A oggi, ognuno di questi operatori dovrà trovare tre offerte di lavoro per 892 persone. Se si considera poi che, dei quasi 8mila attualmente impiegati nei centri, solo l’83,5% è operativo in attività di front office – ovvero tutte quelle attività che riguardano la gestione dei clienti del servizio, appunto – è chiaro che si sta parlando di una sottostima. Per di più, le cifre cambiano a livello geografico, mostrando che in alcune regioni ci sono situazioni ancora più critiche. In Campania, ad esempio, circa un residente su sei potrebbe avere accesso al reddito, secondo quelli che sono i requisiti attuali. Questo vuol dire che, considerando il numero di operatori dei centri per l’impiego campani, ciascun impiegato dovrà trovare lavoro a 2.298 persone. Moltiplicato per le tre soluzioni occupazionali da proporre, arriviamo a 6.894 offerte di lavoro per operatore. Questo in una regione in cui la disoccupazione giovanile si attesta intorno al 54%, indice del fatto che probabilmente in zona non ci siano così tante offerte di lavoro. Spostandosi in Sicilia, il problema riguarda il fatto che solo il 72% degli impiegati nei centri svolge attività di front office: ecco che la quota di beneficiari del reddito di cittadinanza a carico di ogni singolo operatore si alza ulteriormente. Tutto questo si somma a una situazione oggi già molto complessa, per cui si verificano atti di violenza nei confronti degli impiegati, quando il reddito di cittadinanza ancora non esiste e il flusso di persone nei centri è limitato. La rivoluzione del reddito di cittadinanza è alle porte. “Siamo pronti,” dice il M5S. Chi non è pronto, però, è il Paese. Un contesto fatto di centri per l’impiego che non funzionano, assenza di operatori, scarsa formazione e disoccupazione dilagante rischia di trasformare l’annunciata rivoluzione in una catastrofe. I centri non saranno in grado di gestire un flusso di persone superiore ai 6 milioni, le offerte di lavoro non arriveranno e ci si ritroverà impantanati nella trappola dell’assistenzialismo, con redditi che verranno erogati per anni in assenza del paletto delle tre offerte di lavoro rifiutate. Prima o poi le coperture finiranno, e ci sono già grandi dubbi sulle risorse prima ancora che si parta. In alternativa, potrebbe succedere che, davanti al caos che si verrà a creare, pur di rispettare il requisito delle tre offerte di lavoro, troveremo orde di persone, magari laureate, impiegate nei call center a pochi centesimi l’ora. L’importante sarà dare occupazione, poco importa la valorizzazione dei profili e il rispetto delle tutele del lavoro.
Il miliardo di euro previsto da Di Maio per risolvere questa situazione sembra non bastare, anche perchè queste risorse sarebbero disponibili da gennaio e il reddito dovrebbe attivarsi poche settimane dopo. In questa situazione, la vera domanda è una: è questo il modo con cui è stata sconfitta la povertà? Come se non bastasse, i problemi che riguardano i centri per l’impiego avranno un loro doppione: anche i Centri di assistenza fiscale, infatti, si ritroveranno d’improvviso un flusso di milioni di persone che ne richiederanno i servizi, in quanto il passaggio dai Caf è indispensabile per verificare la propria idoneità a ottenere il reddito di cittadinanza. Prepariamoci a lunghe code quindi, ben superiori a quelle del 5 marzo, quando a poche ore dalle elezioni qualcuno già credeva di poter riscattare i suoi 780 euro.