Ruth George, una studentessa di 19 anni, è stata uccisa lo scorso novembre a Chicago da uno sconosciuto incrociato per strada che aveva commentato ripetutamente il suo aspetto e l’aveva seguita. Ruth è stata aggredita sessualmente e strangolata nel parcheggio del suo campus universitario, mentre stava tornando a casa, per aver ignorato delle avances non gradite. A raccontare la dinamica dell’accaduto è stato lo stesso omicida, il ventiseienne Donald Thurman, che ha confessato di aver agito in preda alla rabbia solamente perché la studentessa al secondo anno di Chinesiologia dell’Università dell’Illinois si era rifiutata di parlare con lui.
La storia di Ruth George ha riportato l’attenzione degli Stati Uniti (e non solo) sulle molestie da strada e sul fenomeno del catcalling – un termine che indica i fischi e tutta quelle serie di commenti che vanno dal “ciao bella” a volgarità inaudite rivolti per strada alle donne da sconosciuti – purtroppo molto diffuso ma di cui ancora si fa fatica a riconoscere la gravità. Soprattutto nel caso delle molestie verbali c’è una tendenza a minimizzare il problema, riducendolo a una forma di maleducazione o a maldestri tentativi di approccio. La vergogna, il forte imbarazzo e lo choc che accompagnano tante vittime di catcalling vengono invece ignorati. In alcuni casi a essere incolpate sono le donne stesse, ree di avere provocato lo sguardo maschile con il loro abbigliamento o atteggiamento. A mancare è soprattutto una narrazione da parte dei media mainstream che tenga conto della portata di questa fenomeno. Un aspetto che non favorisce un cambio di mentalità necessario affinché il catcalling venga riconosciuto anche a livello istituzionale come una molestia vera e propria.
Il gruppo statunitense anti-molestie “Hollaback!” in collaborazione con la Cornell University ha condotto uno studio su scala internazionale incentrato sull’età della prima esperienza di catcalling, sui cambiamenti comportamentali delle vittime conseguenti alle molestie e sull’impatto emotivo di questo fenomeno. L’indagine, che ha coinvolto 22 Paesi, ha mostrato che in media l’84% delle donne intervistate (che sono state complessivamente 16.600) ha subìto molestie da strada prima dei 17 anni. Si tratta di un dato preoccupante perché ricevere attenzioni non gradite in età adolescenziale incide pesantemente sulla crescita e sullo sviluppo della persona. Per quanto riguarda l’impatto emotivo, la ricerca ha poi mostrato che ad accomunare le vittime di molestie da strada sono da un lato la rabbia, dall’altro un sentimento di umiliazione. Nel caso dell’Italia, tra i Paesi presi in esame, è emersa la più alta percentuale di donne che hanno scelto di cambiare strada per tornare a casa dopo aver subito episodi di catcalling. La vicedirettrice di “Hollaback!”, Dbjani Roy, ha dichiarato che l’indagine evidenzia innanzitutto che questo fenomeno rappresenta una sorta di “epidemia globale”.
Un problema difficile da arginare non solo perché quando non sfocia nella violenza fisica non viene riconosciuto come un reato, ma anche perché in alcuni casi il forte disagio provato dalle vittime fa sì che queste non se la sentano di parlarne. Per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della violenza da strada e allo stesso tempo dar voce a chi la subisce, Sophie Sandberg, una giovane studentessa newyorkese, ha fondato nel 2016 il progetto “Catcalls of Nyc”. La sua idea è stata quella di raccogliere attraverso la pagina Instagram del movimento le testimonianze in forma anonima di ragazze vittime di catcalling e di trascriverle sull’asfalto con dei gessetti colorati nelle vie in cui sono state pronunciate. Le foto delle frasi accompagnate dall’hashtag #StopStreetHarassment vengono poi postate sulla pagina. L’ideatrice del progetto ha spiegato che la scelta dei gessetti colorati ha l’intento di attirare l’attenzione dei passanti attraverso il contrasto tra un oggetto simbolo dell’infanzia e la volgarità delle frasi trascritte. Questa forma di attivismo diversa dal solito e portata avanti sui social ha riscosso notevole successo: il progetto è oggi diventato un movimento internazionale e oltre 200 account associati sono stati aperti in diverse città del mondo.
Nel gennaio del 2018 è stata aperta a Milano la prima pagina italiana; è stata poi la volta di Torino, Roma, Palermo, Napoli, Bari. L’account “Catcalls of Mi” è gestito da Chiara Franzoni e Valentina Fattore, due giovani studentesse che attraverso questo progetto intendono mostrare che il catcalling è una vera e propria molestia, non certo un complimento. “Sulla pagina e dal vivo riceviamo spesso complimenti e supporto morale,” racconta Fattore a The Vision, “ma non sono mancati episodi negativi. Lo scorso settembre mentre mi trovavo con altre ragazze in zona Colonne di San Lorenzo a Milano per scrivere una frase ci si è avvicinato un signore sulla cinquantina, visibilmente contrariato. Abbiamo provato a spiegare cosa stessimo facendo ma lui ha cominciato a insultarci pesantemente, ha provato cancellare la nostra scritta e minacciato di chiamare la polizia. Noi però non ci siamo lasciate intimorire: abbiamo ripassato la frase davanti a lui e aggiunto anche i suoi insulti”. Il principale merito della protesta è quello di aver permesso alle vittime di condividere liberamente le loro esperienze. “Per noi è fondamentale il rapporto con la nostre iscritte,” aggiunge Franzoni, “se non ci fossero le loro testimonianze la nostra pagina non potrebbe esistere. Spesso siamo le prime a cui raccontano gli episodi di catcalling che hanno subito”.
Ci sono casi in cui dall’iniziale catcalling possono scaturire episodi di pedinamento o molestie fisiche. Una ricerca Istat del 2018 ha rivelato che in Italia le molestie con contatto fisico, ovvero le situazioni in cui le vittime sono state accarezzate o baciate contro la loro volontà, sono state subite nel corso della propria vita dal 15,9% delle donne e dal 3,6% degli uomini. La maggior parte delle volte questo tipo di molestie sono state perpetrate da estranei e per le donne avvengono più frequentemente sui mezzi di trasporto pubblici (nel 27,9% dei casi). Roberta Masella ha fondato l’Associazione NextStopMi per raccogliere testimonianze di molestie di vario genere che avvengono sui mezzi di trasporto milanesi e per proporre delle soluzioni. “Il nostro obiettivo è in primo luogo quello di raccogliere dei dati per tracciare della aree critiche della città in cui è necessario intervenire e poi quello di collaborare con le autorità cittadine e il personale Atm con cui abbiamo già avviato un dialogo”. Il progetto è inoltre nato per sensibilizzare coloro che non hanno nessuna percezione dell’esistenza di questo problema, perché raramente potrebbero esserne vittime.
In Francia nell’agosto del 2018 è stata approvata una legge contro le molestie da strada con lo scopo di contrastare tutti i comportamenti “di natura sessuale o sessista che ledono la dignità di una persona in ragione del loro carattere degradante o umiliante, o che creano situazioni intimidatorie, ostili o offensive”. La legge, promossa dalla ministra per le Pari Opportunità Marlène Schiappa, prevede che tali comportamenti siano puniti con multe che vanno dai 90 ai 1500 euro a seconda della gravità delle molestie. A sanzionare i molestatori devono essere le forze dell’ordine tenute a intervenire sul posto in soccorso della vittima. A più di un anno dall’approvazione della legge, si stima che oltre 700 multe siano state inflitte per sanzionare episodi di diverso genere avvenuti nelle città francesi. Un numero contenuto considerata l’ampiezza del fenomeno e che rivela un punto debole piuttosto evidente della legge: difficilmente una molestia avviene davanti alle forze dell’ordine. La militante femminista Anaïs Bourdet ha sottolineato che per contrastare realmente le molestie da strada “bisogna andare all’origine del problema, con particolare attenzione alla prevenzione, cercando di educare già dai primi anni di scuola”.
Il passo successivo dell’attivismo contro il catcalling dovrebbe essere quello di puntare sull’educazione, per cercare di cambiare una mentalità diffusa e purtroppo difficile da sradicare che considera le donne come meri oggetti passivi dello sguardo maschile. Il concetto centrale su cui lavorare è quello del consenso. Approcciare una persona incrociata per la strada con commenti sul suo fisico o con fischi non è affatto un modo per flirtare ma solo per intimorire e creare disagio. Di fronte a questo tipo di molestie per una vittima la parte più difficile è sempre capire come reagire. Da un lato è frustrante tirare dritto e ignorare, d’altro però si è consapevoli che rispondere potrebbe rischiare di provocare ulteriori molestie, anche più gravi.
Sensibilizzare su questo tema significa combattere un atteggiamento prevaricatore. La speranza è che sempre meno persone si sentano in diritto di potersi rivolgere in qualsiasi modo e in qualsiasi contesto con una donna senza preoccuparsi minimamente della sua reazione.