Come cambierà il capitalismo dopo l’emergenza coronavirus?

Ormai è certo: al termine dell’emergenza sanitaria, si dovrà fare i conti con una nuova emergenza, questa volta di natura economica. Ci si aspetta infatti una nuova fase di recessione economico-finanziaria, la seconda nel giro di pochi anni. Già dopo il 2007, il sistema economico statunitense era stato messo in discussione, anche se il decennio successivo ha comunque mostrato un Paese in grado di rimanere a galla. La questione non si riduce a un processo nei confronti del modello Usa. Si tratta semplicemente di comprendere se e quanto le conseguenze economiche della COVID-19 possano portare quel modello a un ripensarsi, avvicinandosi, ad esempio, a un altro paradigma economico, quello renano. È proprio su queste basi che si muove il confronto fra le reazioni mostrate dai due modelli capitalistici per eccellenza: quello statunitense, da un lato, e quello tedesco-renano, dall’altro. È necessario pertanto analizzare l’evoluzione di entrambi questi sistemi economici.

Per molto tempo, gli studi comparativi si sono concentrati sulla distinzione fra capitalismo e socialismo, ma con la caduta dell’Urss le tematiche oggetto di attenzione sono cambiate: è emersa così la volontà di individuare quale sia il modello migliore di capitalismo. Alla base vi era anche un rovesciamento del cosiddetto compromesso keynesiano, il quale era caratterizzato da un equilibrio fra libero mercato e intervento dello Stato, impegnato quest’ultimo nella promozione di programmi di incisiva redistribuzione della ricchezza. Nasce così il neoliberismo, un credo secondo il quale lo Stato avrebbe dovuto intervenire nell’economia non per socializzarla e non per promuovere l’emancipazione contro il meccanismo del funzionamento del mercato, ma per imporre proprio quel sistema.

John Maynard Keynes

Sulla base di questo scontro, si iniziarono così a elaborare delle classificazioni. Fra queste, una che merita particolare attenzione è quella elaborata dall’economista francese Michel Albert, il quale ha fondato la sua ricerca sulla contrapposizione fra “capitalismo neoamericano” e ”capitalismo renano”. Il primo si afferma nel Regno Unito e negli Stati Uniti rispettivamente con i governi di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, i quali avviano una reazione al compromesso keynesiano, combattuto con una rinnovata fiducia nelle capacità di autoregolamentazione del mercato, alla base di una concezione conflittuale delle relazioni sociali. Si tratta di una visione che chiaramente coinvolge la concezione di impresa, chiamata alla massimizzazione dei profitti degli azionisti e a considerare le relazioni fra datore di lavoro e lavoratori come relazioni di un mercato qualsiasi, pertanto flessibili e precarie. Tipica del capitalismo neoamericano è anche l’idea che lo Stato e la sicurezza sociale siano catalizzatori di inattività e quindi di improduttività: la povertà e la disoccupazione sono cioè la condizione tipica di un individuo che non ha avuto la possibilità di inserirsi e adattarsi al mercato. Per tale motivo, il capitalismo neoamericano prevede una ridotta pressione fiscale in chiave redistributiva, e allo stesso tempo affida la previdenza sociale al mercato, promuovendo la negoziabilità di beni come salute ed educazione. L’avversione verso misure di tipo redistributivo ispira di conseguenza le politiche salariali, basate sul principio dell’abnegazione lavorativa. Infine, è tipico del capitalismo neoamericano l’elevare la borsa come principale canale di finanziamento delle imprese, stimolando quindi una finanziarizzazione incalzante dell’economia.

Opposto al capitalismo neoamericano è quello di matrice renana, che si realizza in Germania. Si tratta di una visione legata alla circostanza per cui le banche, e non la borsa, rappresentano il principale canale di finanziamento delle imprese. Questa particolare forma di comunitarismo imprenditoriale produce i propri effetti sull’organizzazione del lavoro, che risulta incentrata su rapporti contrattuali stabili e di lungo periodo, e che soprattutto non viene piegata alla massimizzazione del profitto azionario. Tipica del capitalismo renano è anche la ricomposizione cooperativa dei conflitti tra datori di lavoro e lavoratori, e una gestione imprenditoriale comprendente la partecipazione di questi ultimi anche sul piano amministrativo. Svolge infine il compito di indurre cooperazione e pacificazione sociale anche la particolare posizione assunta dallo Stato e dalla sicurezza sociale prevista nel sistema capitalistico renano. Quest’ultimo è infatti caratterizzato da un’elevata spesa pensionistica e sanitaria, finanziata da una pressione fiscale sicuramente alta, ma anche da una ridotta negoziabilità dei beni funzionali alla soddisfazione dei diritti sociali: istruzione e sanità.

Angela Merkel

Quello appena tracciato è il percorso evolutivo dei due sistemi capitalistici contemporanei. Interessante è quindi verificare in che modo questi modelli stiano reagendo all’onda d’urto provocata dall’emergenza sanitaria. Il banco di prova è costituito dalle misure di welfare. Come mostrato, le logiche assistenzialistiche sono osteggiate dalle politiche americane, specie quelle neo-conservatrici e quindi repubblicane: non è un caso che fra i primi atti del presidente Trump vi sia stato proprio lo smantellamento del cosiddetto Obamacare. Se da un lato si assiste a un sistema sanitario incentrato sull’imprenditoria privata e sulla capacità del singolo di far fronte autonomamente alle proprie esigenze mediche, dall’altro lato, sul fronte tedesco e nord-europeo, la tendenza è apparsa diversa. Si riscontra infatti una maggiore attenzione per la sanità pubblica, la quale, al pari dell’istruzione, occupa un ruolo importante nelle voci di spesa pubblica.

Ciò che comunque negli Usa si è riuscito a fare, in termini economici, è importante. Il riferimento va al piano di investimenti varato dal Congresso a fine marzo: 2mila miliardi, da distribuire su vari fronti impegnati nella gestione dell’epidemia. Anche in questo caso, il piano in questione è stato adottato dopo un dibattito alimentato dai dissensi provenienti da alcuni esponenti repubblicani, convinti che le misure assistenziali fossero eccessive. Le misure tanto discusse prevedono un incremento nel sussidio per i disoccupati pari a 600 dollari, che si sommano a vari benefit previsti nei vari Stati. Tra le altre cose, è previsto anche un intervento a favore degli ospedali, pari a più di 100 miliardi di dollari.

Nonostante ciò, negli Usa ci si continua a interrogare su come la Germania stia riuscendo a controllare l’epidemia e la sua diffusione. La ragione risiederebbe in una larghissima mappatura del virus. In altri termini, in Germania si è adoperata una massiccia strategia di screening, che permette di registrare in fretta dove è presente il virus e con quale intensità. È ovvio che una simile strategia ha buone possibilità di successo in un Paese che da sempre concentra gran parte delle proprie risorse nel fornire un servizio di eccellente sanità pubblica. A ragion del vero, bisogna comunque dire che sia negli Usa che in Germania è stato necessario un aggiustamento sanitario per affrontare l’emergenza. In entrambi i casi si è cioè intervenuti aumentando i posti in terapia intensiva negli ospedali. Ma il sistema tedesco è sembrato più preparato, anche in termini di tempistiche. Così come la mappatura, anche l’implementazione delle strutture sanitarie è avvenuta con grande tempismo (ovvero senza attendere picchi di contagio), ed è stata possibile grazie ad un minore gravame burocratico in ambito sanitario. Eppure, alcuni dati sottolineano come negli Stati Uniti si spenda molto sul fronte sanitario. A ben guardare, però, questa spesa elevata è giustificata da vari fattori, come l’elevato costo dei farmaci, la retribuzione più alta per i medici e la necessità di cautelarsi con piani di assistenza privati, e non obbligatori. Senza considerare che negli Stati Uniti il reddito pro-capite ha un’incidenza maggiore (di ben sei volte rispetto alla Germania) sulla possibilità di accedere ai trattamenti sanitari.

Per concludere, la spesa pubblica sanitaria sembra davvero costituire un autentico banco di prova per testare l’adeguatezza dei due differenti modelli capitalistici ad affrontare l’emergenza sanitaria e anche quella economica. È evidente come, da questa prospettiva, il modello tedesco-renano sia vincente, e debba essere considerato un paradigma da emulare. È difficile tuttavia che possa smontarsi negli Usa la logica del profitto e dell’accessibilità a trattamenti sanitari parametrata al reddito – falso segnale di un merito lavorativo e professionale. Molto dipenderà dalle imminenti elezioni. In quell’occasione si potrà verificare quanto negli Stati Uniti si sia disposti a ripensare al proprio sistema capitalistico e al proprio scarso impegno nel welfare. O meglio, in quell’occasione si potrà verificare quanto un’eventuale opinione pubblica propensa a una simile rivoluzione abbia il potere di ribaltare, in sede elettorale, le logiche dominate dalle varie lobby pronte a far di tutto affinché nulla cambi.

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