Alla fine di gennaio il Parlamento catalano ha approvato una risoluzione per la riabilitazione di circa un migliaio di donne giustiziate sotto l’accusa di stregoneria tra il Quindicesimo e il Diciottesimo secolo. Il provvedimento catalano è stato proposto dalla deputata Jenn Díaz, del partito indipendentista di sinistra Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), per riabilitare la memoria di donne uccise ingiustamente e sottolineare il carattere misogino delle persecuzioni. Non si tratta di un fatto eccezionale: ci sono notizie di richieste simili già a partire dal 1700 relative alle “streghe” di Salem, nel Massachusetts. Secondo Geoffrey Scarre, specialista dell’Università di Durham, la cosiddetta “caccia alle streghe” ha portato in Europa alla condanna a morte di 60mila persone, delle quali circa l’80% erano donne, e negli ultimi vent’anni in diversi Paesi dove la “caccia alle streghe” è stata particolarmente intensa sono nati dei veri e propri movimenti per chiedere la riabilitazione dei nomi delle donne che ne sono state vittima, il perdono ufficiale e iniziative di commemorazione. Nel Massachusetts, ad esempio, una misura legislativa approvata nel 1957 e ampliata nel 2001 ha riabilitato la maggior parte delle persone accusate di stregoneria. In Svizzera, nel 2008, Anna Göld, l’ultima “strega” giustiziata in Europa nel 1782, è stata riabilitata dal Parlamento cantonale di Glarona. Anche in Scozia la campagna Witches of Scotland lanciata nel 2020 dall’avvocata Claire Mitchell e dalla scrittrice Zoe Venditozzi chiede al governo il perdono per circa 2500 persone, principalmente donne, che sono state condannate e giustiziate ai sensi della legge scozzese sulla stregoneria.
In Europa e negli Stati Uniti, il movimento per la riabilitazione delle streghe sta prendendo piede e diventando sempre più trasversale. “La società patriarcale si nutre delle ceneri di queste donne e ragazze”, si legge in una lettera aperta pubblicata in Francia nel 2019 e firmata da centinaia di persone tra cui scrittori, attori e personalità politiche. Negli anni sono nati diversi memoriali come il Salem Witch Trials Memorial e soprattutto lo Steilneset Memorial realizzato nel 2011 in Norvegia e costituito da un edificio progettato dall’architetto Peter Zumthor e da un’opera di Louise Bourgeois.
Anche dal punto di vista artistico e culturale c’è un crescente interesse sul tema. Lo scorso settembre, in Massachusetts, il Peabody Essex Museum ha ospitato la mostra The Salem Witch Trials: Reckoning and Reclaiming, mentre nel mondo anglofono stanno nascendo podcast, spettacoli e concerti commemorativi. Anche in Italia sono nate alcune iniziative, seppure più di nicchia, come lo spettacolo Stria di Claudia Donadoni e il progetto dell’associazione Villa Pallavicini di realizzare un monumento di commemorazione delle vittime della caccia alle streghe da porre in piazza Vetra a Milano. Alla base c’è, prima di tutto, l’idea che il fenomeno della “caccia alle streghe” in Europa abbia influito in maniera determinante sulle dinamiche di genere che caratterizzano la società occidentale contemporanea. La deputata Basha Change, del partito catalano Candidatura d’Unitat Popular (CUP), ha dichiarato infatti, in occasione del voto della risoluzione, che “la “caccia alle streghe non è una cosa del passato” dal momento che le donne torturate e uccise venivano accusate e punite perché non rientravano nei canoni di femminilità del sistema patriarcale. A guidare questo movimento, però, c’è anche un desiderio di giustizia e il far emergere la sofferenza delle vittime e la componente strettamente misogina a lungo ignorata delle accuse, delle torture e delle esecuzioni delle presunte streghe.
Le prime a guardare al fenomeno della caccia alle streghe in ottica di genere sono state diverse storiche e autrici femministe, dalla suffragetta Matilda Joslyn Gage nell’Ottocento alle femministe americane Barbara Ehrenreich e Deirdre English negli anni Settanta, fino alle filosofe e saggiste Mary Daly, Andrea Dworkin e Miriam Simos, che sempre nella stessa decade hanno messo in relazione i processi per stregoneria alla misoginia della società loro contemporanea. Leggendo oggi il Malleus maleficarum, il famoso libro del 1487 che indicava come riconoscere le streghe, si direbbe che la componente misogina dovrebbe risultare assodata. Dal testo, infatti, risulta evidente che le donne, i loro corpi e la loro sessualità erano visti come intrinsecamente demoniaci. Tuttavia a lungo la componente di genere è stata negata o sminuita nell’analisi del fenomeno. Anne L. Barstow nel suo libro Witchcraze. A New History of the European Witch Hunts definisce “straordinaria, al pari di questi stessi eventi, l’ostinazione degli storici nel negare che la ‘caccia alle streghe’ sia stata un’esplosione di misoginia”. “Anche quando notano che le streghe erano solitamente donne”, scrive allo stesso modo Carol F. Karlsen in The Devil in the Shape of a Woman: Witchcraft in Colonial New England, “la maggior parte delle opere ignora rapidamente il fatto o conclude che le streghe erano capri espiatori per altre ostilità e tensioni che avevano poco a che fare con il sesso o il genere”. Di conseguenza, la narrazione sulla caccia alle streghe, portata avanti a livello didattico e culturale, ha per lungo tempo ridotto il fenomeno a un “delirio religioso”. Dato che le vittime non sono state prese sul serio ne è nato un atteggiamento folkloristico, tanto che alcuni luoghi dove sono avvenuti i massacri sono diventati vere e proprie attrazioni turistiche, con empori che vendono gadget come cappelli a punta, scope di saggina e libri di incantesimi. Come ha fatto notare l’anno scorso un comitato per la riabilitazione delle donne accusate di stregoneria della città di Lier, in Belgio, in alcuni casi le stesse targhe che indicano i luoghi delle uccisioni si riferiscono alle donne come “streghe”, quasi a voler assecondare le accuse.
Secondo le attiviste di Witches of Scotland, questo atteggiamento è alimentato proprio dal fatto che, salvo rari casi, non c’è mai stato un riconoscimento istituzionale di questo crimine. Dimenticare e minimizzare la storia passata rende più difficile impedire che la storia si ripeta. “Quello che è successo in Scozia centinaia di anni fa, sta accadendo ora in molte parti dell’Africa”, ha spiegato a BBC Scotland l’attivista nigeriano per i diritti umani Leo Igwe. ll fenomeno della caccia alle streghe, infatti, non è purtroppo circoscritto ai libri di storia: secondo le Nazioni Unite, al giorno d’oggi ogni anno migliaia di persone vengono accusate di stregoneria, emarginate, uccise e torturate in più di 50 Paesi. Succede soprattutto in Africa, nel Sud-Est asiatico, in Papua Nuova Guinea, in America Latina e in India. In Arabia Saudita, la stregoneria è punita con la pena di morte; in Ghana esistono i cosiddetti “Witch Camps”, dove centinaia di donne vivono relegate dopo essere state bandite dalle proprie comunità perché considerate streghe; in India, tra il 1999 e il 2013, sono stati registrati 2.300 omicidi legati ad accuse di stregoneria. Tutto questo ha portato, nel luglio 2021, all’approvazione da parte dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani di una risoluzione che chiede la fine delle violenze basate sulle accuse di stregoneria.
Studiare la guerra che è stata fatta alle donne in passato aiuta a contestualizzare le persecuzioni delle presunte streghe del presente. Autrici femministe come la sociologa Maria Mies in Patriarchy and Accumulation on a World Scale e la filosofa Silvia Federici in Calibano e la strega hanno indagato le ragioni della connotazione di genere della caccia alle streghe adottando un approccio socioeconomico che collega questo fenomeno alla nascita del capitalismo. Secondo le studiose, infatti, la caccia alle streghe avrebbe distrutto un universo composto da soggetti che portavano avanti pratiche opposte a quelle che portarono all’accumulo di forza lavoro su larga scala e all’imposizione di una disciplina del lavoro coercitiva. Questo universo da smantellare comprendeva le forme comunitarie di agricoltura presenti nell’Europa feudale distrutte dalla privatizzazione dei terreni e un sistema sociale in cui le donne godevano di un certo potere. Erano infatti guaritrici, levatrici ed erboriste: tenute in considerazione per via del loro particolare rapporto con il processo di riproduzione che le rendeva per certi aspetti più vicine ai segreti della natura. Da una concezione olistica della gestione delle risorse si passò quindi a una razionalizzazione dell’ambiente volta al profitto e al consumo e all’incremento del controllo sui corpi delle donne da parte di quelli che poi diventarono gli Stati.
Tra il Sedicesimo e il Diciassettesimo secolo, la sessualità femminile, vista come una minaccia, comincia a essere trasformata in risorsa economica tramite il lavoro riproduttivo e la produzione di forza lavoro che ne consegue. Coloro che venivano definite streghe erano di solito donne determinate a ribellarsi a questo declassamento, all’esclusione sociale e al controllo dei loro corpi – e questo sembra valere ancora oggi. Salvo i rari casi visti, non c’è infatti mai stato un riconoscimento istituzionale di questo “tremendo crimine” ed è quindi importante tenerne viva la memoria per evitare che la storia si ripeta, come purtroppo sta già accadendo in diverse parti del mondo.
Come fanno notare l’accademica femminista Govind Kelkar e l’economista Dev Nathan in Witch Hunts Culture, Patriarchy and Structural Transformation, l’idea che la caccia alle streghe sia legata a trasformazioni culturali e di genere è ancora attuale. Le accuse di stregoneria dei giorni nostri, infatti, si concentrano in quelle parti del mondo – magari precedentemente segnate dal colonialismo – ricche di risorse naturali, che oggi diventano oggetto di interessi economici e sfruttamento capitalistico creando profonde fratture a livello socio-economico e culturale. Così, la confisca delle terre comuni, la commercializzazione dell’agricoltura, lo scontro tra diversi sistemi produttivi e la necessità di stabilire le nuove forme di relazioni di genere finiscono per accomunare per molti aspetti le “streghe” europee e statunitensi dell’inizio dell’Età Moderna con quelle contemporanee del resto del mondo.
Nonostante gli studi fatti dalle intellettuali femministe negli anni Settanta offrano un’importante analisi del fenomeno della caccia alle streghe, solo oggi stanno gradualmente smettendo di essere di nicchia. La risoluzione del Parlamento catalano allora appare ancor più importante dato che prevede che vengano favoriti studi sui processi per stregoneria “con una prospettiva di genere” e che il tema venga incluso nei programmi di storia. Memoriali e riabilitazioni simboliche, infatti, non bastano: per cambiare davvero la narrazione sulla caccia alle streghe, e per evitare che questo fenomeno si ripresenti come strumento di violenta sopraffazione, bisogna promuovere una rilettura approfondita e sfaccettata del fenomeno.