I BTS, tra pop e politica, sono l’essenza del mondo che viviamo oggi e che vivremo domani - THE VISION
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In un video virale di qualche anno fa, alcune ragazze napoletane a un concerto urlano agli artisti sul palco frasi in dialetto tra l’osceno e il devozionale, come se avessero davanti un’apparizione mistica. Il concerto in questione, rimasto iconico per la reazione delle fan alla vista dei propri idoli, era un live dei BTS, un nome che a molti potrebbe non dire nulla. L’industria culturale della Corea del Sud, luogo da cui proviene la band che smuove gli animi di milioni e milioni di fan in giro per il mondo, non è infatti tra le industrie di cui ci arriva più materia prima in ambito di produzioni mainstream: solo di recente, con l’enorme successo del film Parasite e con quello forse ancora più grande della serie Netflix Squid Game, abbiamo avuto un impatto davvero trasversale con l’universo rappresentativo di questo Paese molto lontano ma al contempo estremamente vicino alla nostra cultura per una serie di ragioni storiche ed economiche.

I BTS, vera e propria punta di diamante di questo grosso scambio culturale e commerciale, reso possibile non solo dalla globalizzazione ma anche dal suo strumento più efficace, internet, sono una realtà che va ben oltre al semplice fenomeno culturale esotico che invade le classifiche di Stati Uniti ed Europa. E di questo parla la Masterclass tenuta dalle scrittrici Michela Murgia e Chiara Valerio per Basement Café by Lavazza: il k-pop, genere di cui i BTS possono essere considerati i più importanti esponenti nazionali, non è solo “musica per ragazzine”. Per comprendere questo fenomeno musicale apparentemente di nicchia, ma in realtà tra i più universali e capillari degli ultimi decenni, bisogna partire dal limite della definizione di boy band.

I BTS, acronimo inventato dal fandom per abbreviare il nome della band, Bangtan Sonyeondan, che significa “boyscout a prova di proiettile” – il gruppo è detto anche Bangtan Boys e Bōdan Shōnendan in Giappone, e la sigla BTS dal 2017 viene usata da loro stessi anche con il significato di “Beyond The Scenes” – sono a tutti gli effetti ciò che potremmo catalogare con la definizione che negli anni ha riguardato gruppi come i Backstreet Boys, i Blue, gli One Direction o i Take That. Gruppi formati da soli giovani ragazzi che oltre a cantare mettono in scena coreografie in linea con la loro musica; non solo, altro tipico elemento delle boy band, oltre a quello di essere solitamente esperimenti “creati in laboratorio” – gruppi messi insieme dalle etichette discografiche o dai talent – è quello di avere un elemento per tutti i gusti. In ogni boy band, dagli anni Novanta a oggi, c’è un personaggio in cui può identificarsi e invaghirsi ogni fan, come un vassoio di pasticcini da cui attingere in base ai propri gusti: il moro, il biondo, il bullo, il romantico, il latino, l’afro-discendente e così via. Nel caso dei BTS, seppure tutte le caratteristiche della boy band classica trovino un riscontro, dalla varietà delle personalità al fatto che tutti cantano e ballano, c’è però qualcosa di diverso che li porta su un livello successivo. Come spiega Michela Murgia nella Masterclass, i BTS sono attivi da troppo tempo  – dal 2013, quasi dieci anni – e con una produzione troppo vasta per essere confinati nella definizione di un genere che di solito inquadra fenomeni temporanei da cui poi derivano perlopiù carriere soliste. 

Chiara Valerio e Michela Murgia durante la Masterclass di Basement Café by Lavazza

Non è un caso che il lessico che sta attorno ai BTS sia di tipo militaresco, dal nome stesso della band a quello del fandom, gli Army: l’industria del K-pop, infatti, contiene in sé diverse zone d’ombra, che riguarda prima di tutto il metodo produttivo di questa industria culturale che si pone come obiettivo – al momento spesso raggiunto – di rendere la Corea del Sud un faro di soft power in tutto il mondo, anche grazie al lavoro dei propri idol, termine che descrive personaggi diventati molto celebri nel mondo della musica e dell’intrattenimento e che ha una storia molto complessa, legata anche a quella del Giappone. Per comprendere in modo completo la natura del fenomeno BTS e la portata della loro proiezione sul mercato musicale mondiale bisogna dunque tenere in conto di tre elementi fondamentali: il K-pop, come genere e come vera e propria industria; l’universo degli idol sudcoreani; e poi il loro enorme fandom, il vero e proprio “esercito” di fan sparsi in tutto il globo, detto appunto “Army” non solo per via della loro compattezza militare, ma anche per l’acronimo che questo nome porta in sé (Adorable Representative MC for Youth), ciò che comporta sentirsi parte di questo gruppo è un patto collettivo che riguarda non soltanto la passione per la musica, ma anche una missione. Chi fa parte degli Army fa anche parte di un movimento che periodicamente raccoglie fondi, traduce testi dal coreano contribuendo così alla diffusione di questa lingua, e si occupa di organizzare tutto l’enorme materiale audiovisivo che accompagna la vita dei componenti dei BTS – che da sempre hanno supportato la loro presenza sul mercato musicale con una fitta rete di video, foto e programmi televisivi che accompagnano la creazione della loro iconografia e del loro rapporto quotidiano e viscerale con i fan.

Non è un mistero che chi decide di intraprendere la strada dell’idol sa già che dovrà affrontare una vita di grandi sacrifici in nome di questa vocazione artistica che necessita di una preparazione così rigida da sembrare appunto militare. Oltre alle testimonianze ambigue e oscure che raccontano storie di diete impossibili, chirurgie plastiche obbligate, ritmi di prove infiniti, impossibilità di crearsi una vita sociale e qualche volta anche suicidi, il punto di contatto tra K-Pop e propaganda militare trova una svolta interessante con i BTS, ulteriore prova del fatto che non si tratta di un semplice fenomeno di musica pop, ma di qualcosa di molto più grande che ha a che fare con la politica. Nel 2020, infatti, è stata approvata una legge “Salva BTS” che avrebbe dovuto precludere l’esperienza della leva militare obbligatoria ai membri della band. La questione militare, per i coreani, è ancora molto centrale, non solo per il fatto che tutti i cittadini maschi tra i diciotto e i ventotto anni devono fare la leva (della durata di ben due anni), ma per via della guerra fredda che ancora è a tutti gli effetti in corso tra le due parti del Paese, il Sud e il Nord, dove è attualmente in corso una forte dittatura.

Nella Masterclass di Basement Café by Lavazza manca un ultimo fondamentale tassello: da quando Murgia e Valerio si sono incontrate per girarla, infatti, c’è stato un colpo di scena inaspettato. Se per le due scrittrici il fatto che il governo sudcoreano avesse cambiato la legge per far sì che i BTS continuassero il loro lavoro senza dover fare una lunga pausa era fino a pochissimo tempo fa un segno positivo per l’industria culturale del Paese e per il messaggio che voleva mandare il governo al resto del mondo, soprattutto quello Occidentale, adesso le cose sono cambiate. La band, infatti, ha annunciato che farà ritorno sulle scene nel 2025, dopo che tutti e sette i membri avranno regolarmente svolto il servizio militare. Una scelta molto drastica e soprattutto inaspettata per tutto il fandom, che tradisce una certa strategia politica portata avanti soprattutto dal nuovo presidente di orientamento conservatore, Yoon Suk-yeol, subentrato la scorsa primavera, nonché una mentalità ancora molto forte in Corea, in modo particolare tra i giovani maschi sotto i trent’anni, che non gradiscono sconti e favoritismi in ambito militare nemmeno per le eccellenze nazionali, ancor di più in una fase del conflitto in cui le minacce atomiche provenienti dalla Corea del Nord si intensificano.

Yoon Suk-yeol 

Ma al di là della questione militare, c’è un altro aspetto centrale nella carriera dei BTS che ha un forte impatto politico: la spinta ecologista della band. I BTS hanno sempre trattato temi sociali nella loro musica, dalla pressione che esercita la competitività sulle vite dei giovani studenti alla salute mentale, tutti argomenti molto cari alle nuove generazioni, non solo asiatiche. Con la canzone “Permission to Dance” questa cifra impegnata e consapevole della band K-pop più famosa del mondo ha preso una svolta ancora più istituzionale, con un videoclip girato all’interno della sede dell’ONU durante l’inaugurazione dell’anno 2021-2022. Il messaggio dei BTS è chiaro: sostenibilità, futuro, lotta all’odio e alle discriminazioni – il tutto con un tono che, come sottolineano le due scrittrici coinvolte da Basement Café by Lavazza per approfondire questo argomento così vasto, risulta diverso e insolito rispetto ad alcuni discorsi apocalittici tipici della comunicazione occidentale in tema di inquinamento e riscaldamento globale. Dall’incontro con Joe Biden ai discorsi in diretta seguiti da milioni di utenti, la presenza dei BTS in un luogo così istituzionale non fa che confermare la potenza di questo fenomeno culturale che ha dentro di sé molteplici aspetti del presente, compresa la potenza globale di una realtà sempre più collegata, dove anche una band di un Paese collocato dall’altra parte del mondo può essere fonte di ispirazione e identificazione.

I BTS nel video di Permission to Dance (2021)

Chi parla dei BTS come se fossero un mero fenomeno pop o, peggio, chi non sa nemmeno chi siano i BTS oggi si perde una grossa fetta di una realtà che è presente, centrale e forte al punto da essere un motore esistenziale e ispirazionale per milioni di fan che abbracciano la stessa missione e si industriano per portare avanti tutto ciò che la band chiede loro di appoggiare. Il fatto che un gruppo di sette artisti proveniente dalla Corea del Sud abbia assimilato gli stilemi della musica pop statunitense, utilizzando la lingua inglese a proprio piacimento, mescolandola con quella natale, così come con i generi musicali utilizzati in questa forma postmoderna di taglia e cuci trasversale, è il sintomo di uno Zeitgeist in cui da una parte i confini sono sempre più labili, dall’altra la globalizzazione è sempre più inserita nella vita di ciascuno di noi, anche con una semplice hit radiofonica come Dynamite. Conoscere questi fenomeni vuol dire conoscere il presente e capirne i rapporti di forza, specialmente in tutte quelle declinazioni apparentemente superficiali ma che in realtà racchiudono l’essenza del mondo che viviamo oggi e che domani vivranno quelli che oggi chiamiamo “ragazzini”.


Questo articolo è stato realizzato da THE VISION in collaborazione con Basement Café by Lavazza per la prima stagione delle Masterclass, lo spin off dedicato agli approfondimenti di grandi ospiti provenienti da diversi ambiti che, dal mondo giornalistico a quello editoriale, dalla musica all’attualità, parleranno delle loro passioni. Le Masterclass, della durata di unora, sono completamente gratuite. Per partecipare è sufficiente iscriversi sul sito. 

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