Il primo aprile è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il nuovo Decreto Covid contenente, tra le altre, alcune misure da attivare in materia di concorsi pubblici. Il provvedimento fa seguito a una raccomandazione dell’Unione europea che, in vista dell’attuazione del Recovery Fund, aveva chiesto all’Italia di potenziare la sua Pubblica amministrazione (PA), una delle peggiori di tutto il continente.
La riapertura dei concorsi per l’impiego pubblico per molti appariva come una grande opportunità, soprattutto per centinaia di migliaia di giovani, i più penalizzati sul fronte occupazionale a causa della pandemia. Infatti, nel presentare la riforma, lo stesso ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, aveva parlato di “un segnale straordinario di speranza” per le nuove generazioni di lavoratori e lavoratrici. Se non fosse che, a giudicare dal contenuto del d.l. Brunetta, il nuovo governo sembra non aver puntato affatto a incentivare l’accesso dei giovani in cerca di lavoro all’interno della Pubblica amministrazione.
Il d.l. Brunetta ha sbloccato concorsi per più di 100mila posti l’anno all’interno della Pubblica amministrazione, per un totale di circa mezzo milione di assunzioni nei prossimi cinque anni. La novità della riforma consiste nell’introduzione di una modalità di selezione definita “fast track”: è prevista una fase preselettiva per soli titoli, che può precludere ai candidati non laureati di essere ammessi alle prove di concorso nel caso in cui tutti gli altri fossero in possesso del titolo di laurea, semplificando così le attività di selezione. Paradossalmente, però, questa selezione finisce per penalizzare proprio quelli che sembravano dover essere, al contrario, i favoriti, ovvero i neolaureati.
L’articolo 10 della riforma, infatti, stabilisce che “i titoli e l’eventuale esperienza professionale, costituita dai titoli di servizio, possono concorrere alla formazione del punteggio finale”, dando diritto fino a un massimo di 10 punti. Ammesso che un candidato presenti effettivamente i requisiti per poter accedere al concorso, dunque, potrebbe comunque non raggiungere un punteggio sufficiente per essere impiegato nella Pubblica amministrazione perché privo di esperienza professionale o di titoli superiori alla laurea, come un master o un dottorato. A causa di questo criterio, l’essersi laureati con il massimo dei voti finisce per avere un valore quasi nullo, ovvero 0,1 punti. È evidente che, così formulato, il d.l. Brunetta crea una corsia preferenziale per i più maturi.
Il primo concorso per cui verrà attivata la nuova modalità, sarà quello per reclutare 2mila 800 tecnici da impiegare al Sud, ovvero la parte d’Italia che maggiormente verte in condizioni di povertà e dove i livelli di istruzione e occupazione sono i più bassi tutto il Paese. Le principali lamentele sollevate in merito al bando per il Sud si sono concentrate sul fatto che sia indirizzato esclusivamente alle regioni del meridione, alimentando una faida Nord-Sud che, specialmente in questa occasione, appare fuori luogo. Questo perché la riforma alla base della selezione avrà validità non solo durante questa fase emergenziale, ma anche per tutte le future selezioni che si terranno via via nel resto del Paese. Inoltre, sono stati sollevati diversi dubbi di costituzionalità, dovuti anche al fatto che il d.l. Brunetta è destinato ad avere effetti retroattivi sui concorsi che non si sono ancora svolti a causa della pandemia.
A sollevare le prime critiche nei confronti delle nuove misure in materia di concorsi pubblici è stato il deputato del Movimento 5 Stelle Manuel Tuzi, che ha presentato un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro Brunetta. Contro il decreto legge, inoltre, è stato creato il “Comitato No riforma concorsi PA” che, in una lettera indirizzata all’autore della riforma, ha chiesto una legge che regoli l’accesso al pubblico impiego in maniera più equa, introducendo requisiti meno stringenti rispetto alla disciplina attuale. Infine, il 7 aprile è stato presentato un Vademecum curato dal Forum Diseguaglianze e Diversità per assumere presto e bene nelle amministrazioni pubbliche, che chiede espressamente di “rafforzarle con nuovi e più giovani talenti”, ma evitando di attribuire un peso eccessivo a titoli di cui potrebbero non disporre – due requisiti che il d.l. Brunetta non presenta.
Il problema della disoccupazione giovanile in Italia non verrà sicuramente risolto con l’assunzione di più giovani all’interno della Pubblica amministrazione, è vero: è evidente che i concorsi pubblici rappresentano solo una piccola parte di un sistema che andrebbe riformato dalle fondamenta. Ciò non toglie, però, che l’aver presentato la nuova riforma come se fosse indirizzata specificamente alle nuove generazioni, per poi deludere le loro aspettative al momento della sua pubblicazione, è apparsa come nient’altro che una mossa retorica, una presa in giro agli occhi di molti giovani che avevano sperato in una possibilità nel pubblico impiego.
Il fatto che l’Italia sia tra gli Stati con il più alto tasso di disoccupazione giovanile in Europa è un fatto di cui il Governo dovrebbe occuparsi al più presto. A questo si aggiunge che l’istruzione universitaria, fondamentale per i concorsi statali, nel mondo reale diventa sempre meno funzionale alla ricerca di un impiego. Il nostro Paese sembra essere tanto una Repubblica fondata sul lavoro, come si legge sulla Costituzione, quanto sugli stage, senza i quali è diventato pressoché impossibile ottenere un contratto regolare. Con il d.l. Brunetta non stiamo assistendo a niente di nuovo se non al dramma di un Paese che non pensa mai ai propri giovani, neanche in un periodo storico in cui avrebbe tutte le risorse necessarie – quelle del Recovery Fund – per ovviare a decenni di noncuranza e investire, finalmente, sul suo futuro.
Il rafforzamento della Pubblica amministrazione doveva sì rispettare le raccomandazioni dell’Europa, ma poteva rappresentare un’occasione da porre a vantaggio delle nuove generazioni, sfruttando la richiesta di Bruxelles non solo per migliorare la burocrazia italiana, ma anche per iniziare a rinnovarla, riadattando il Paese alle esigenze dei più giovani. È innegabile che la carenza di risorse qualificate fosse uno dei problemi più radicati all’interno della Pubblica amministrazione, ma con il d.l. Brunetta, però, l’Italia sembra aver messo in atto l’ennesimo sforzo minimo. Fin dalle prime apparizioni in Parlamento, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha più volte ribadito che il nuovo esecutivo avrebbe guardato al futuro dell’Italia. Permettere ai giovani di accedere con più facilità – e non con più ostacoli – ai concorsi pubblici sarebbe stato il minimo per una generazione profondamente colpita dalla pandemia e sfiduciata da un mondo del lavoro che, in Italia, era già ostico ancor prima dell’emergenza sanitaria. Ma forse, nonostante le buone premesse, le belle parole del nostro attuale presidente sono destinate a rivelarsi l’ennesimo discorso di facciata della politica italiana.