È passato più di un mese da quella ormai famigerata inchiesta del New York Times su Harvey Weinstein. Da quel momento in poi, un gigantesco effetto a catena ha portato tantissime donne – ma anche alcuni uomini, come nel caso di Kevin Spacey – a denunciare le violenze e i ricatti a sfondo sessuale che sostengono di aver subito negli anni. Scoperchiato il vaso di Pandora, la sensazione che ci sia in atto un grande cambiamento per quanto riguarda le dinamiche di potere, se da un lato infonde la speranza in una vera e propria svolta epocale che ponga un limite netto a certi tipi di abusi, dall’altro spaventa per la modalità travolgente con cui si è abbattuta, tanto da spingere qualcuno a definirlo come una caccia alle streghe o una nuova Inquisizione. Tra i responsabili di questo capovolgimento di senso ci sono in primo luogo i media, che in alcuni casi hanno sfruttato tutta questa storia come un’immancabile occasione per inscenare una squallida caccia all’uomo: un contributo assolutamente inutile, se non dannoso, a un tema serio e importante che merita ben altro tipo di attenzioni.
E tra coloro che hanno cavalcato l’onda di questa tendenza sensazionalistica alla ricerca dello scoop, non potevano certo mancare i rappresentati più accreditati di questo genere di informazione: Le Iene, una trasmissione che si propone come promulgatrice di un importante servizio al cittadino con i suoi servizi di inchiesta condotti spesso e volentieri in modo approssimativo, con risultati rischiosamente fuorvianti, ha deciso di scendere in campo per dare all’Italia il suo Weinstein. E a quanto pare lo avrebbe trovato.
Con una lunga inchiesta firmata dalla “Iena” Dino Giarrusso, siamo giunti alla conclusione che il nostro corrispettivo di Harvey Weinstein sia Fausto Brizzi, il regista romano famoso per commedie come Notte prima degli esami o Maschi contro femmine. Attraverso una lunga sequela di servizi confezionati con un magistrale lavoro di suspense, cliffhanger e velate allusioni, Le Iene ci hanno condotti attraverso la ricerca del regista e produttore che negli anni avrebbe molestato e violentato un numero piuttosto consistente di attrici e modelle.
Inizialmente, l’obiettivo dell’inchiesta sembrava essere unicamente quello di raccontare attraverso le testimonianze di ragazze la realtà delle violenze che si subiscono sul lavoro, particolarmente all’interno di ambienti come il cinema, dove lo scambio sessuale sembra essere una colonna portante del sistema. Col tempo però, dopo aver collezionato un numero piuttosto cospicuo di racconti, la redazione di questa trasmissione deve aver avuto un’epifania: perché non trasformare l’inchiesta in una bella caccia all’identità del regista e produttore “porcone” (per prendere in prestito della “Iena Dino” una delle sue definizioni colorite usata in alcuni passaggi per descrivere i protagonisti non ancora identificati di queste storie)?
Dunque, lo scenario pare essere il seguente: Le Iene si trovano per le mani una serie di testimonianze filmate di attrici che raccontano con dovizia di particolari i loro incontri con potenti uomini dello spettacolo, uomini che si sono proposti come massaggiatori nei migliori dei casi, come stupratori nei peggiori, in cambio di una parte che non sarebbe stata assegnata nel caso in cui si fossero rifiutate di stare al gioco perverso di questi squallidi personaggi. Così, man mano che la raccolta di testimonianze va avanti, Le Iene si rendono conto che sono stati ricoperti da una valanga di messaggi contenenti storie simili da raccontare al pubblico, e da una serie di dettagli sembrerebbe potersi addirittura desumere che tanti di questi episodi siano riconducibili allo stesso personaggio: eureka, è lui il nostro uomo.
Il ritmo della narrazione comincia a farsi sempre più incalzante e i titoli passano da generici (“Molestie e violenze sessuali ad attrici italiane”) a essere molto precisi (“Attrici molestate: chi è il Weinstein italiano?”). Insomma, il pubblico freme di sapere contro chi debba lanciare maledizioni e augurare fini impietose, ma gli appelli a contribuire non si sprecano: la “Iena Dino”, con gli occhi che luccicano per la soddisfazione professionale, incoraggia sì le ragazze che vogliono unirsi a questa battaglia a denunciare le violenze che hanno subito, ma soprattutto a raccontarle alla redazione. Perché concludere subito l’inchiesta quando la si può tirare per le lunghe confezionando altri due bei servizi in cui verrà finalmente dato in pasto agli spettatori impazienti di conoscere la verità il nome che tanto stiamo fremendo di sentire? Ma abbiate ancora un po’ di pazienza, l’uomo misterioso verrà fuori nella prossima puntata.
Alla fine, infatti, il nome arriva. Dopo aver ascoltato i racconti di persone vittime di violenze e soprusi umilianti, nell’ultimo servizio su questo tema arriva anche la dichiarazione che, su trenta donne intervistate, dieci di queste riportavano episodi legati a Fausto Brizzi. È fatta, abbiamo acciuffato il cattivo. Poco importa se nel farlo abbiamo preferito condizionare chi guarda la trasmissione, ma anche chi semplicemente si è interessato alla vicenda, con sensazionalistici frammenti di verità: racconti miseramente decontestualizzati, enfasi sulle note più torbide e stralci di momenti in cui le intervistate crollano comprensibilmente in pianti liberatori montati senza alcun riserbo per creare scalpore. Le Iene hanno optato per la costruzione di un romanzo a episodi servendosi esclusivamente delle storie di quelle donne che sono state abusate, che per quanto sembrino assolutamente vere, non bastano a fare luce su un caso così torbido e complesso, strumentalizzando così il valore delle storie raccontate. Del resto, lo conferma anche in modo un po’ naïf l’episodio della Miss Italia Clarissa Marchese, che ospite da Barbara D’Urso dichiara di non poter fare il nome del molestatore per non rovinare il loro servizio.
Poco importa se l’inchiesta in cui alla fine viene fuori l’identità di una persona che avrebbe molestato pesantemente diverse ragazze si basi su dati difficilmente verificabili, su un’indagine condotta con un piglio pseudo-giornalistico che finisce con l’avvicinarsi più a un servizio di gossip che a ciò che vuol far credere di essere, sulla credibilità di una trasmissione che è stata più volte coinvolta in episodi imbarazzanti, come il recente caso del servizio sul fenomeno della Blue Whale. Mentre del caso Weinstein se ne sono occupate testate come il New York Times o il New Yorker, con inchieste serie condotte da giornalisti particolarmente esperti, noi ci siamo dovuti accontentare dello spettacolo a più riprese voyeuristico della “Iena Dino”. Certo, Fausto Brizzi non lavora a Hollywood, non è nemmeno così potente, ma in linea concettuale, se queste accuse trovassero pieno riscontro, esisterebbe una qualche differenza tra una violenza esercitata in una camera d’albergo a New York e una invece nello studio di un regista a Roma?
Le conseguenze di servizi come questo, messi in piedi per un fine che appare più scandalistico che giornalistico, sono diverse: alimentare il sentimento di rifiuto nei confronti di questo tema, coprendolo di ridicolo con toni inappropriati, volutamente a caccia di uno scoop, puntando tutto sulla ricerca di un nome da fornirci per poter creare un parallelismo con il caso Weinstein quando in realtà ci sono tantissimi altri personaggi coinvolti, a dimostrazione del fatto che non si tratti di una storia confinata a singole persone ma di un atteggiamento diffuso e consolidato. Sono tutti elementi che ci spingono verso quella sensazione di saturità che porta poi a elaborare etichette da affibbiare a questo momento storico che stiamo vivendo come “La nuova inquisizione” o “il nuovo puritanesimo”. Non solo: Le Iene promuovono sfacciatamente i loro interessi televisivi, incitando le vittime a fornire tutto il materiale che potrà essere utilizzato per il servizio successivo. Sembra quasi che si propongano come un’entità istituzionale alla quale rivolgersi: “Se volete raccontare anche voi quello che vi è successo, noi siamo qua,” dice Dino Giarrusso. Nessuna di queste donne infatti – lo affermano nel servizio – ha sporto denuncia alle autorità competenti. No, quello che offre “la Iena Dino” non è un rifugio sicuro né un luogo dove trovare giustizia: quello che questa trasmissione sta chiedendo è solo del nuovo materiale da mettere sul fuoco per il prossimo incredibile servizio alla comunità, per la prossima rappresentazione morbosa di qualcosa che meriterebbe spazi e approfondimenti ben più seri di una brutta copia di un’inchiesta giornalistica.