“Viggiano è un paesino svizzero, straordinario. Ci sono i bonus per gli studenti, lo stadio nuovo, una piscina olimpionica.” In Basilicata, e più precisamente in Val d’Agri, non lo sanno ma abitano nella ricca patria di Guglielmo Tell. Almeno a detta del giornalista ed esperto di comunicazione Claudio Velardi, nato politicamente nel Pci cresciuto sotto l’egida di Massimo D’Alema.
Nella puntata del 15 dicembre 2014 di Piazza Pulita, Velardi, indispettito da un servizio sulla situazione della Val d’Agri e della Val Basento, dipinge un quadro idilliaco della valle del petrolio, proprio all’indomani dello Sblocca Italia e prima delle inchieste giudiziarie sul Centro Oli e dell’ammissione dell’Eni sullo sversamento di 400 tonnellate di greggio nel sottosuolo. Le affermazioni di Velardi si accompagnano a quelle di un altro entusiasta del petrolio lucano: il giornalista Carlo Puca, secondo il quale gli abitanti di Viggiano hanno il privilegio di avere due pescherie in paese, possono ascoltare i Pooh in concerto, stanno tutti bene e “sono felicissimi di avere i pozzi”.
I racconti delle meraviglie dei due giornalisti sono mistificazioni che snaturano e semplificano un discorso molto più complesso, a ennesima dimostrazione che le parole sono uno Zelig che può assumere qualsiasi aspetto. Se ci sono persone contente di avere i pozzi sotto casa, ce ne sono molte altre che lamentano l’assenza in alcune zone della fognatura e dell’illuminazione pubblica e altre ancora che parlano di continui rumori, odori nauseabondi e fiammate improvvise. Ci sono numerose aziende – la maggior parte delle quali fa parte dell’indotto Eni – che lavorano all’interno di un’area industriale dove le forniture dell’acqua potabile ed elettriche sono soggette a continue interruzioni, dove l’Adsl è una chimera, dove la rete viaria è malandata, come si legge in questo rapporto del 2012. Ci sono benefici occupazionali di dimensioni limitate “laddove dal petrolio ci si attendeva occupazione, occasioni di crescita per l’imprenditoria locale, risorse per finanziare programmi di sviluppo,” come si riporta in un documento a cura del consorzio A.Aster, fondato dal sociologo Aldo Bonomi. In fondo, la Svizzera è uno stato mentale.
Ma, anche se tutti lavorassero, anche se Viggiano e la Val d’Agri fossero un’enclave elvetica all’interno dell’Italia meridionale, rimarrebbe aperta la questione salute. La valutazione di impatto sanitario (Vis), coordinata dall’istituto di fisiologia clinica del Cnr e resa pubblica a settembre 2017, mostra – seppur con una validità statistica limitata – che tra il 2000 e il 2014 nei comuni di Viggiano e Grumento Nova la mortalità e i ricoveri ospedalieri, legati in particolare alle malattie del sistema circolatorio e dell’apparato respiratorio, “sono superiori alla media regionale”. È lecito pretendere di vivere in un ambiente sano e non inquinato oppure il modello da seguire è quello dell’Ilva di Taranto? L’Eni però tende continuamente a minimizzare la portata dei danni e dei rischi ambientali, lo fa quando si parla di torrenti, fiumi e laghi inquinati, quando si parla di pozzi usati per re-iniettare acque piene di metalli pesanti, e anche quando è costretta ad ammettere errori di evidente impatto ambientale come è quello dello sversamento di 400 tonnellate di greggio nel sottosuolo lucano.
Ridimensionare, attaccare chi attacca, edulcorare la realtà e farne oggetto di propaganda sono tutti aspetti di una strategia comunicativa in cui di casuale non c’è nulla. Eni fa causa a chi osa suggerire che tutto a posto potrebbe non essere, come è successo quando ha chiesto 5 milioni di euro di danni alla geologa Albina Colella, per poi perdere la causa ed essere condannata per lite temeraria. Organizza per gli adulti gite e visite guidate all’interno del Centro Oli per mostrarne forse la bellezza, o la magnificenza, o la non pericolosità – nonostante il Centro Oli sia considerato, in base alla direttiva Seveso, un impianto a rischio incidente rilevante. Le stesse visite guidate le organizza anche per i ragazzi delle scuole, distribuendo gadget con il logo dell’azienda agli studenti e sensibilizzando alla responsabilità ambientale con progetti sul tema dei cambiamenti climatici volti “alla riflessione sull’importanza di adottare, fin da piccoli, comportamenti sostenibili e rispettosi dell’ambiente.”
Emblema di questa operazione ingegnosa è il brano Rap polimerico, creato qualche anno fa dagli studenti dell’Istituto tecnico industriale Majorana di Brindisi, nell’ambito del progetto Eni Chemical Minds. Rap polimerico è un panegirico delle virtù della plastica e del polo petrolchimico Eni Versalis di Brindisi, che nel corso degli anni ha attirato l’interesse della magistratura.
Davanti a questi fenomeni il giornalista lucano Pietro Dommarco – in un recente editoriale pubblicato su Terre di frontiera, il periodico online da lui diretto e fondato – parla di “operazione di colonizzazione” e del bisogno di interrogarsi “su chi ha gestito e gestisce l’informazione e la cultura in Basilicata, per nulla imparziale.” Ma Dommarco, insieme a pochi altri giornalisti lucani come Andrea Spartaco o i redattori di Basilicata24.it, rappresenta un caso isolato.
La strategia di comunicazione non è mai secondaria, soprattutto in un caso come questo, in cui gli interessi e i profitti in gioco sono tanti, così come le contraddizioni. I vertici di Eni sanno bene che la comunicazione, per un’azienda di così alto livello, è fondamentale. La reputazione va difesa strenuamente. I problemi, se ci sono, vanno messi in sordina o minimizzati. E di problemi sembrerebbero essercene diversi, almeno a giudicare dalle inchieste internazionali – lo scandalo tangenti in Congo, Algeria e Nigeria e il processo a Milano per l’inquinamento del delta del Niger – e nazionali – oltre alla Basilicata si potrebbe menzionare il caso Gela. Anche se in campo ambientale stabilire correlazioni certe tra inquinamento e danni alla salute è un’impresa titanica ed è quindi sempre molto difficile dimostrare le responsabilità di chi inquina, sembrerebbe lecito avere un atteggiamento quantomeno dubbioso rispetto alle modalità con cui vengono gestiti questi impianti. Invece, ad ascoltare i sostenitori dell’azienda, la diffidenza sarebbe del tutto immotivata.
L’apice di questa operazione di edulcorazione è stata la creazione del mensile Orizzonti – idee dalla Val d’Agri, sponsorizzato dall’Eni e distribuito gratuitamente in tutta la valle, a Potenza e a Matera. Nel comitato editoriale ci sono nomi come il già citato Claudio Velardi, il sociologo Domenico De Masi, l’ex direttrice del Quotidiano della Basilicata Lucia Serino, il direttore generale e manager della comunicazione di Matera 2019 Paolo Verri e l’immancabile Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e ossequioso sostenitore delle ragioni del petrolio. A capo di questo nutrito gruppo c’è l’ex direttore de Il Tempo, Mario Sechi, tornato al giornalismo dopo l’istantanea carriera politica con il movimento di Mario Monti. Sechi è una sicurezza nel campo della comunicazione ambientale: è a capo del trimestrale dell’Eni World Energy, il profilo ideale per fare da relatore a eventi come l’assemblea annuale dell’Unione petrolifera.
Nel suo editoriale per il primo numero del mensile, Sechi parla del “dovere della trasparenza e della chiarezza” e poi, coerentemente con il suo assunto iniziale, sottolinea la “missione d’impresa responsabile” dell’Eni, pronta ad aprirsi a un “confronto franco, costruttivo e critico.” Eppure sembra difficile che il cambio di passo sui temi della trasparenza e della chiarezza possa essere dato proprio da una rivista aziendale, nata per volontà di Eni e con l’obiettivo di preservarne l’immagine; sembra difficile che possa avvenire in seno alla stessa azienda che avrebbe indotto Gianluca Griffa – ex responsabile tecnico del Centro Oli di Viggiano, morto suicida nel 2013 – a non diffondere le sue preoccupazioni sulla corrosione dei serbatoi del Centro Oli. Sembra piuttosto che si tratti di un maquillage inopportuno. Ripensadoci, a prescindere da tutto, si può fare affidamento su chi ci dice che in Basilicata c’è una piccola Svizzera?