Erano inizialmente duecento le audizioni previste in Senato per il ddl Zan, l’attesa legge contro l’omolesbobitransfobia, ostaggio dell’ostruzionismo del suo relatore, il leghista Andrea Ostellari. Si tratta di una mole ingiustificata di lavori per una legge che sembra sempre più difficile riuscire a discutere in parlamento: prima ci sono stati i più di ottocento emendamenti presentati alla Camera da Lega e Fratelli d’Italia – dove la legge è stata comunque approvata il 4 novembre scorso – poi si è passati ai rinvii continui della calendarizzazione dei lavori. Ora, la nuova arma per far cadere la legge nel vuoto sono proprio le audizioni, che si è riusciti a far ridurre da duecento a centosettanta, un numero comunque spropositato per il quale, secondo Alessandro Zan, “non basterebbe l’intera legislatura”. Anche per questo motivo, i partiti che sostengono la legge hanno chiesto di calendarizzarla per i primi di luglio.
Nel frattempo, però, le audizioni procedono. Zan le ha definite “una sfilata dell’omofobia”. In effetti, tra le personalità sinora audite, quelle a favore del disegno di legge sono solo una sparuta minoranza. Avevano già fatto scalpore alcuni dei nomi invitati a partecipare, le cui competenze non sembravano le più adatte a pontificare sulla legge, ma i contenuti delle relazioni rivelano quanto il contrasto al ddl Zan sia feroce – oltre a confermare quanto le numerose fake news sulla legge abbiano attecchito. Non solo in molti interventi si è definito il ddl “pericoloso per la libertà di espressione”, se non “liberticida”, ma sono stati illustrati scenari – come l’accesso alle persone trans a determinate competizioni sportive o la gestazione per altri – che nulla hanno a che vedere con il testo della legge. Sotto la parvenza di “esperti”, sinora sono state chiamate diverse personalità la cui posizione contraria al ddl Zan è nota da tempo, mentre raramente sono state ascoltate associazioni o esponenti della comunità LGBTQ+ sinora, e pochi saranno anche nel prosieguo.
Tra gli auditi c’è stato Alberto Contri, pubblicitario e docente di Comunicazione sociale alla Iulm, secondo il quale l’identità di genere è “una mera invenzione” e un “obbrobrio antropologico”. Contri si riferisce alle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ come a dei “diversi”, sottolineando come il loro “stile di vita” sia “incompatibile con lo sviluppo sostenibile che oggi è considerato una assoluta priorità” perché la coppia omosessuale “non può generare figli”. A sostegno della correttezza delle proprie idee, Contri cita la sua amicizia con Lucio Dalla, Giovanni Testori e Franco Zeffirelli che, pur essendo gay, “vivevano la loro condizione senza pretendere che diventasse uno stile di vita da imporre a tutti gli altri”. Come se il ddl Zan imponesse l’omosessualità per legge. Per non farsi mancare nulla, per dimostrare la presunta intolleranza degli attivisti LGBTQ+, ha parlato delle critiche ricevute in seguito a un post su LinkedIn – in cui sosteneva che “nella giuria di un popolare programma televisivo (Ballando con le stelle) c’era una eccessiva percentuale di omosessuali” – a causa del quale erano state chieste le sue dimissioni dalla Fondazione Pubblicità Progresso.
Sono numerosi anche i riferimenti alla presunta “ideologia gender” sentiti durante le audizioni. Per l’avvocata Daniela Bianchini – del Centro Studi Livatino, gruppo di giuristi che studia il diritto alla vita – l’identità di genere è l’“elemento alla base della teoria gender” e il ddl Zan “pretende di imporre – con il pretesto della lotta contro le discriminazioni – un pensiero unico e dominante”. Secondo l’avvocata, il ddl Zan non si concentra a sufficienza sulla disabilità che sarebbe oscurata dal “gender”, al punto che secondo lei agli insegnanti verrà vietato di parlare di disabilità durante la Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, che il disegno di legge propone di affrontare anche in classe. La ragione di tale divieto starebbe nell’obbligo di “focalizzare l’attenzione esclusivamente sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, facendo peraltro attenzione a non manifestare pensieri contrari alla teoria gender”. Fermo restando che si tratta di uno scenario improbabile, e che la Giornata internazionale delle persone con disabilità esiste già, per Bianchini evidentemente le persone disabili non hanno né orientamento sessuale né identità di genere. Anche per Suor Anna Monia Alfieri il ddl Zan promuove il “pensiero dominante” oltre a essere “propedeutico al regime di natura commerciale e marketing”, dal momento che l’identità di genere non ha a che fare con la discriminazione, “bensì con indottrinamento, pensiero unico, probabilmente per assicurare guadagni certi e diffusi a qualche circuito”.
La scrittrice cattolica e antiabortista Silvana De Mari, nella sua analisi “per capire quanto sia sbagliato” il ddl Zan (questo il titolo del suo intervento), paragona l’identificarsi in un genere diverso da quello assegnato alla nascita a chi sostiene di avere un’età diversa rispetto a quella reale, sostenendo che “la mente umana può dissociarsi dalla realtà, è un fenomeno sempre doloroso che può essere aiutato, che può essere risolto”. Non solo: secondo la scrittrice, chi afferma “una nuova identità” “sta compiendo un suicidio parziale, cioè sta uccidendo la parte di sé” e “il ddl Zanchi spalanca la porta agli stupratori”, alludendo a un presunto (e infondato) aumento di violenze sessuali qualora sia garantito l’accesso a bagni, spogliatoi e corsie di ospedale a persone transgender. Posto che il ddl Zan non entra nel merito della questione, uno scenario simile non solo è stato più volte smentito, dal momento che non c’è stato nessun aumento delle violenze nei luoghi in cui sono stati adottati bagni gender neutral, ma anche la principale rete di centri antiviolenza in Italia si è espressa a favore del ddl Zan, escludendo un legame con la violenza di genere.
Anche altri esponenti della realtà pro-family italiana si sono pronunciati contro la legge: per l’Associazione nazionale famiglie numerose, ad esempio, si tratta di una legge “insensata, iniqua, strumentale e pericolosa per la stessa vita democratica del nostro Paese” che “intende addirittura ridefinire la natura umana” e l’identità di genere sarebbe un’“aberrazione”. Ci sono poi le opinioni di diversi giuristi: secondo l’avvocato Giuseppe Zola, ex vicesindaco di Milano, se il ddl Zan diventasse legge “il nostro Paese farebbe molti passi avanti verso la costruzione di uno stato totalitario”, oltre a limitare “unilateralmente l’indipendenza e la sovranità della Chiesa Cattolica”. Paolo De Carli, professore ordinario Università di Milano, si è invece fatto carico delle istanze dell’associazione “Nonni 2.0”, preoccupati dei “guasti che possono conseguire a reazioni solamente istintive e a un pensiero non riflesso”, come a dire che la libertà di espressione degli anziani non al passo con i tempi sia prioritaria rispetto al contrasto dell’omolesbobitransfobia. Tra le audizioni non ancora depositate spiccano le affermazioni dell’ex magistrato Carlo Nordio, secondo cui “l’orientamento sessuale è una definizione ambigua” perché “anche la pedofilia è un orientamento sessuale” e dello scrittore omosessuale Giorgio Ponte, che si è detto “felice di non avere gli stessi diritti di tutti gli altri”.
Ma, oltre a personalità di questo calibro, durante le audizioni sono state ascoltate anche diverse realtà del mondo femminista e LGBTQ+ contrarie alla legge, la cui voce minoritaria trova però ampio spazio nei media a rappresentare “le femministe e i gay che sono contro il ddl Zan”, come se fossero in qualche modo rappresentativi di tutta la realtà dei movimenti e delle associazioni. Ad esempio, l’Associazione genitori e amici di persone omosessuali Agapo ha espresso parere contrario alla legge, che non ritiene necessaria, perché promuove “l’intrinseca manipolazione di concetti antropologici (‘genere’, ‘identità di genere’)”. L’associazione collega poi un presunto aumento di lezioni a tematica LGBTQ+ nelle scuole con l’aumento delle aggressioni omotransfobiche, dal momento che questi incontri non promuovono vera tolleranza, ma solo “concetti politico-sociologici come quello della famiglia arcobaleno”. Anche alcune associazioni femministe e femminili si sono espresse: le “donne, mamme e nonne” dell’associazione “Siamo così” si sentono “preoccupate e offese per l’equiparazione a generi non biologici ma basati solo sull’autodeterminazione” e temono di dover “sottostare alla dittatura del pensiero unico che tale legge vuole imporre”. Pur con termini diversi, anche Francesca Izzo di Se non ora quando-Libere si oppone al ddl Zan da una prospettiva essenzialista, criticando l’identità di genere che avrebbe l’obiettivo di “negare il fatto che l’umanità sia composta di due sessi” e “cancellare la donna”. Anche l’Udi, storica associazione femminista italiana, sostiene posizioni simili.
È chiaro che queste audizioni non aggiungono e non tolgono nulla a un dibattito già ampiamente esaurito: le posizioni contrarie al ddl Zan sono note da tempo, che vi siano dubbi anche da parte di alcune femministe della differenza non è un mistero e che esistano gay che negano l’esistenza dell’omofobia non dovrebbe stupire più nessuno. Un numero così elevato di audizioni, peraltro smaccatamente di parte, non è una forma di tutela del dibattito democratico, ma un chiaro tentativo di ostacolarlo là dove andrebbe svolto, cioè nelle aule del Senato. Il tempo è scaduto.