Asia Argento e la cultura italiana di incolpare sempre le vittime - THE VISION

In Italia se sei una donna vittima di abusi sessuali e decidi di denunciare tieni presente che ti verrà richiesta una forza sovrumana: la forza di dire come sono andate le cose e metterci la faccia, ma anche la forza di sopportare lo schifo che i maschilisti e le donne alleate col maschilismo ti butteranno addosso. Se poi sei un personaggio famoso, ciao: a tutto ciò si sommerà anche l’asfissiante mix di invidia sociale e populismo.

Difficile essere ottimisti infatti alla luce dell’avvilente teatrino messo in piedi da Selvaggia Lucarelli e Vladimir Luxuria contro Asia Argento. L’attrice ha raccontato di recente al New Yorker le violenze sessuali subite dal mega produttore hollywoodiano Harvey Weinstein, cosa che peraltro molte donne hanno fatto e stanno facendo (tra queste ci sono Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow, Cara Delevingne, ma ci sono anche Rosanna Arquette, Katherine Kendall, Mira Sorvino) ma la ricezione che il Bel Paese sta riservando alla dichiarazioni della figlia del re dell’horror è davvero speciale e merita di essere compresa in tutto il suo squallore. I fatti di cui ha parlato Asia Argento sono accaduti molto tempo fa e, va detto, sono piuttosto complicati da analizzare, perché in essi violenza e complicità con l’aggressore sembrano intrecciarsi. Ma di questo la stessa Asia Argento è consapevole. Le cose non sempre sono didascaliche e lineari: esistono relazioni abusive che durano una vita e che vanno avanti anche grazie alla connivenza della vittima. I vissuti traumatici assumono forme diverse e non così facili da incasellare e giudicare, ma tutto ciò che è complesso sui social non paga. Si deve andare giù con l’accetta, aizzare le folle, fare i fenomeni.

La vicenda in questione risale al 1997, quando Asia Argento aveva 21 anni: tutto iniziò in un hotel della Costa Azzurra, mentre l’attrice stava lavorando nella commedia B. Monkey – Una donna da salvare. Asia Argento ha raccontato di aver ricevuto un invito a un party della casa produttrice (Miramax), ma una volta arrivata nel luogo dell’appuntamento in realtà non c’era nessuna festa. Venne invece portata nella suite di Weinstein e lì, nonostante abbia ripetutamente tentato di sottrarsi, è stata costretta a subire del sesso orale: “Mi terrorizzava, era un uomo troppo grosso per me. È stato un incubo”, ricorda l’attrice, che alla fine di quel rapporto ha raccontato di aver detto all’uomo: “Non sono una prostituta”, frase che fece scoppiare a ridere Weinstein, il quale aggiunse anche che se la sarebbe impressa su una t-shirt. “Non ho detto nulla finora perché avevo paura che potesse distruggermi come ha fatto con molte altre persone. Che potesse rovinare la mia carriera”, ha precisato l’attrice. E proprio la questione dei protratti rapporti con l’uomo è al centro delle violente critiche scoppiate nelle ultime ore sul web.

Harvey-weinstein-the-vision

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Asia Argento ha infatti riferito di aver frequentato per anni il produttore, avendo con lui anche rapporti consensuali, il tutto però all’insegna di una pressione psicologica palese dai racconti dell’attrice. Lei stessa, infatti, ha precisato di rendersi conto degli aspetti potenzialmente ambigui della sua testimonianza ma quel primo assalto, ha detto, è stato determinante: ha continuato a sentirsi impotente ogni volta che si è trovata di fronte a Weinstein, persino dopo anni. “Già solo il suo corpo, la sua presenza, la sua faccia, mi riportavano alla ragazzina che ero a 21 anni. Quando lo vedo mi sento piccola, stupida e debole. Dopo lo stupro, aveva vinto”. La responsabilità che le viene contestata ora, in realtà, è lei stessa a essersela attribuita per anni: “Mi sentivo responsabile. Se fossi stata una donna forte gli avrei dato un calcio nelle palle e sarei scappata. Ma non l’ho fatto. E per questo mi sono sentita responsabile. Sono stata danneggiata, anche solo mentre te ne parlo, mi trema tutto il corpo”.

L’attrice ha ammesso i rapporti consensuali avvenuti in seguito al primo episodio, rapporti che risultano in ogni caso anomali (li ha definiti “onanistici”, “unilaterali”) e connotati da elementi disturbanti. La prima volta, diversi mesi dopo la violenza nella camera d’albergo, successe prima dell’uscita del film B. Monkey: “Mi sentivo in dovere di farlo perché stava uscendo il film e non volevo che lui si arrabbiasse”. Qualche anno dopo Weinstein si offrì di pagare una baby-sitter per sua figlia e lei si è sentita in dovere di sottostare alle sue avances.

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Una storia certamente complicata, e si sa che non sono le sfumature e il potenziale riflessivo offerto dalle cose ciò che interessa alla stragrande maggioranza dei commentatori del web. Selvaggia Lucarelli (che periodicamente si sfila la maschera della moralizzatrice e riprendere fiato con qualche rigurgito spontaneo) ha montato al volo sulla sua bacheca una delle sue ricorrenti gogne social con cui di fatto ha dato ad Asia Argento dell’ipocrita: ci sei stata, ti ha fatto comodo, perché lo dici 20 anni dopo? “Vai a letto con un bavoso potente per anni e non dici di no per paura che possa rovinare la tua carriera. Legittimo. Frigni 20 anni dopo su un giornale americano raccontando di tuoi rapporti da donna consenziente tra l’altro avvenuti in età più che adulta, dovendo attraversare oceani, con viaggi e spostamenti da organizzare, dipingendoli come ‘abusi’. Meno legittimo. A occhio, sono abusi un po’ troppo prolungati e pianificati per potersi chiamare tali. E se tu sei la prima a dire che lo facevi perché la tua carriera non venisse danneggiata, stai ammettendo di esserci andata per ragioni di opportunità. Nessuno ti giudica, Asia Argento. Però, ti prego. Paladina delle vittime di molestie, abusi e stupri, anche no. Facciamo che sei finita in un gorgo putrido di squallidi do ut des e te ne sei pentita. Con 20 anni di ritardo però”.

Lucarelli – che si fa a sua volta paladina della lotta al bullismo e al sessismo, ma a giorni alterni, essenzialmente quando colpiscono lei o ha da guadagnare like e condivisioni – si mette in cattedra e ci dice lei quando la vittima è legittimata a denunciare e quando no: Asia Argento è stata una debole e un’opportunista, avrebbe dovuto continuare a tacere, come ha fatto finora. L’hai data per fare carriera, questo è. L’udienza è tolta. La vera eroina, l’esempio, il modello, ovviamente è lei: “Questa faccenda di Weinstein, produttore potente e bavoso di Hollywood, che molesta le attrici presenta numerosi punti oscuri e francamente non tutti esattamente edificanti pure per le donne. Lui: un maiale. Sessuomane. Molestatore. Di quelli in cui si può inciampare, purtroppo. E succede pure in Italia. Ce ne sono di noti. (…) Di uno di questi avevo a lungo sentito parlare, l’ho conosciuto anni fa e sì, fu molesto e fuori posto. Gli dissi «Sei più intelligente di quello che stai facendo”, si ricompose, si scusò e tanti saluti. È stato mortificante, ma non mi sono sentita obbligata né manipolata psicologicamente come può accadere a una ragazzina di 13 anni».

Nel frattempo, mentre la realtà veniva trasfigurata dalle dita della giudice di Ballando con le stelle, la furia misogina è montata per bene e sui vari social, anche grazie alla lettura di Selvaggia, in tanti hanno preso a insultare l’attrice con una valanga di epiteti raccapriccianti: cagna, mignotta, con tutti quelli che ti sei fatta! Asia Argento comprensibilmente a un certo punto ha twittato: “Solo in Italia vengo considerata colpevole del mio stupro perché non ne parlai quando avevo 21 anni ed ero terrorizzata. Sono delusa, triste”. Come se non bastasse un altro bell’apporto di ulteriore, esemplare, solidarietà al femminile è arrivato dall’ormai sempre più reazionaria Vladimir Luxuria: “Asia Argento avrebbe dovuto dire no a Weinstein come hanno fatto altre attrici, le donne devono denunciare, lo diceva lei a Amore Criminale!”. Al che l’attrice ha risposto: “Non posso credere che scrivi una cosa del genere. Evidentemente non sei mai stata violentata, non hai mai provato terrore e vergogna”. A un ulteriore commento dell’ex parlamentare – “Cara Asia sai quanto ti stimo ma non sono d’accordo. Anche io ho ricevuto proposte non forzate ma ho detto NO, un semplice NO” – è seguita una nuova replica dell’attrice: “Dici bene: le tue erano proposte NON forzate. Che delusione Vladimir”. Luxuria allora ha ribattuto biasimando i rapporti lavorativi tra Argento e Weinstein: “Ci hai fatto un film con uno che ti ha violentata? No cara non ci credo non ne avevi bisogno hai talento per poter rifiutare”. Il film in questione è Scarlet Diva (del 2000): “Girato un anno e mezzo dopo la violenza sessuale denunciava il trauma che ho vissuto nei minimi dettagli”, ha spiegato l’attrice. In Scarlet Diva Asia ha infatti proprio riprodotto la scena dell’albergo e dopo l’uscita della pellicola alcune delle donne che avevano avuto esperienze traumatiche con Weinstein hanno contattato l’attrice per condividerle con lei. Anche se, in realtà, il film mette in scena una versione un po’ diversa rispetto a quella accaduta nella vita reale: in Scarlet Diva il personaggio di Asia fugge via, si sottrae alle molestie.

Il blaming the victim di cui Lucarelli e Luxuria si sono fatte portavoci, va detto, è una delle strategie tradizionali che il sistema sessista e patriarcale da sempre usa contro le donne vittime di abusi. Una strategia che mira a neutralizzare la credibilità della vittima, in cui la responsabilità dell’abuso viene capovolta e l’onere della colpa viene addossato su chi ha subito: “Te la sei cercata, ti è servito, in realtà ti è piaciuto, sei complice”. Una delle cosa più inquietanti e odiose a cui tocca assistere nelle questioni di genere è poi che sono spesso proprio le donne a riprodurre questi metodi oppressivi. È tipico delle minoranze storicamente sottomesse – capita lo stesso anche tra gli omosessuali, ad esempio – si tratta essenzialmente di modi per creare gerarchia e dislivelli all’interno del gruppo minoritario escluso dal potere. Se mi spendo per bene nel biasimare le pecore nere della mia stessa, disgraziata comunità rimango una donna, e va bene, ma sarò almeno meglio di queste altre. Un po’ meno ultima, un po’ meno sottomessa.

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