Da anni si parla di salute mentale e di come i disturbi dell’umore siano in costante crescita nella popolazione mondiale, ma mai come durante la pandemia si è assistito a una presa di coscienza rispetto a questo tema. I dati mostrano in particolare una significativa associazione tra l’impatto del Covid-19 e l’aumento dell’ansia e della depressione maggiore. La situazione protratta di emergenza sanitaria ci ha infatti esposti in maniera radicale e continuativa a condizioni di vita stressanti, che insieme ai vari fattori di rischio e alle familiarità, hanno funzionato da catalizzatori per sintomi e disturbi psicologici. Per dare un’idea: con la pandemia il disturbo depressivo maggiore ha registrato a livello globale un aumento del 27,6% e i disturbi d’ansia sono a loro volta aumentati del 25,6%. Stiamo parlando di centinaia di milioni di persone, ma c’è di più: la portata di un evento simile sembra aver ridefinito il concetto stesso di stress.
L’ansia, per l’essere umano, avrebbe una funzione adattiva e fisiologica, ma se eccessiva e continuata finisce per condizionare negativamente la qualità della nostra vita, fino a richiedere l’aiuto di professionisti competenti per essere gestita. Un disagio non è necessariamente una patologia, ma alti livelli di ansia protratti nel tempo possono portare a gravi stati di sofferenza, i quali possono poi evolvere in quadri psicopatologici. Lo psichiatra Antonio E. Nardi e la medica e psicologa Fiammetta Cosci, quest’anno, nell’articolo Expert opinion in anxiety disorder: Corona-phobia, the new face of anxiety, pubblicato sulla rivista Personalized Medicine in Psychiatry, hanno anche evidenziato come il carico allostatico – che definisce il prezzo che il nostro organismo paga per adattarsi alle situazioni di cambiamento – rifletta l’effetto cumulativo delle esperienze stressanti sia traumatiche che quotidiane. Non solo quindi le grandi sfide con cui siamo chiamati a confrontarci, ma anche gli eventi ordinari, la cui sommatoria, specialmente in questo momento, rischia di superare la nostra capacità individuale di farvi fronte, portandoci così a uno stato di ansia cronica nel quale risulta molto difficile disattivare la nostra risposta alla sollecitazione costante, anche dopo che l’esposizione allo stress è terminata. Non a caso, chi si presenta in consulto per problematiche legate all’ansia e allo stress lamenta spesso grande stanchezza proprio per la difficoltà che riscontra nel rilassarsi e avere tregua.
L’ansia è caratterizzata da uno stato psicofisico di tensione legato alla percezione di preoccupazione e/o alla paura di un rischio o di un evento negativo in futuro. È una sensazione di disagio che ci mette in guardia rispetto a possibili eventi spiacevoli, esortandoci a fare qualcosa per evitarli. Quando l’ansia è appropriata ci permette in questo modo di far fronte a potenziali danni ed è rintracciabile nel concetto di cautela o vigilanza, ma quando invece il suo livello cresce a dismisura – assumendo le caratteristiche del panico, dell’ottundimento mentale o della fobia – ci impedisce di gestire efficacemente le potenziali situazioni di pericolo, arrivando anche a farcele evitare in modo preventivo. E in questo caso si inizia a intravedere il confine tra l’ansia fisiologica e quella disadattativa, cioè quella che ci fa perdere occasioni e possibilità potenzialmente positive che si presentano nella nostra vita.
Ansia e paura spesso sono stati emotivi che si sovrappongono, ma hanno degli elementi che li distinguono: la paura infatti si attiva di fronte a un pericolo presente e una volta cessata la minaccia scompare; l’ansia, invece, può attivarsi anche in relazione a una minaccia percepita, non tangibile, in alcuni casi vaga o non direttamente riconoscibile. Così come per la paura, che portata all’estremo può generare un timore eccessivo e irrazionale per elementi tutto sommato innocui (arrivando anche a generare delle fobie specifiche), così pure nel caso dell’ansia è possibile assistere a un’attivazione simile, eccessiva e irrazionale, anche per eventi o situazioni che in precedenza non avevano destato particolare preoccupazione, che può portare ad avere un impatto rilevante sulla qualità della nostra vita e sulle nostre attività di tutti i giorni.
A questo proposito, uno degli elementi più disturbanti tipici dell’ansia patologica è il pensiero rimuginativo, che è un processo cognitivo che mantiene la mente costantemente concentrata sulla minaccia, senza di fatto permettere un piano d’azione o di risoluzione del problema. Il pensiero si fa ricorsivo e la preoccupazione spesso aumenta causando anche grande affaticamento, difficoltà di concentrazione, vuoti di memoria, irritabilità, disturbi del sonno e blocchi rispetto alla capacità di affrontare alcune attività quotidiane. Ci sono anche dei casi in cui, sebbene lo stato di attivazione emotiva non sia oggettivamente eccessivo o irrazionale, si sperimenta uno stato di disagio intollerabile. In questo si tratta della paura di sentire la paura o di percepirsi in ansia, che costituisce il pericolo dal quale proteggersi, innescando un circolo vizioso che riduce la propria finestra di tolleranza rispetto al permettersi di provare stati affettivi negativi. Questo fenomeno può essere anche esacerbato nel caso in cui si sperimentino episodi di ansia acuta o attacchi di panico.
Il principale elemento che può spingerci a cercare un consulto clinico è sostanzialmente la percezione di un disagio persistente. Può capitare infatti di sentirsi pervasi da grande tristezza e senza energie; provare un’intensa ansia all’idea di avere a che fare con alcune persone; percepire i pensieri molto rallentati, oppure accelerati o ancora invadenti e ripetitivi. Segnali corporei tipicamente attivati dall’ansia possono essere: tachicardia, tremori, mancanza di respiro o fiato corto, nausea, senso di cuore in gola, vertigini e crisi di pianto. Le motivazioni per cui chiedere un aiuto professionale sono in realtà potenzialmente infinite ed estremamente personali. Per questo è fondamentale affidarsi a un professionista qualificato in grado di identificare la presenza o meno di un problema ed eventualmente la sua entità, che possa aiutarci a gestire l’ansia in modo più funzionale e, successivamente, a capire il ruolo di questa sensazione all’interno della nostra storia e condurci nella remissione della sintomatologia.
Il primo passo da fare è decidere se affidarsi al sistema sanitario pubblico o scegliere l’offerta sanitaria privata. Solitamente quando si pensa alla richiesta di presa in carico psicologica o psichiatrica si fa riferimento a professionisti che operano in libera professione. Questo si concretizza spesso nell’ottenere dei contatti da parte di persone fidate, attraverso passaparola oppure di attivarsi autonomamente in ricerche sul web. L’aspetto economico, però, non è un elemento di secondaria importanza, perché per molti non è possibile sostenere il costo della prestazione privata e quindi si finisce per rinunciare. Negli ultimi anni, sempre in regime privato, si sono concretizzate diverse possibilità di prestazioni a prezzo calmierato, che significa che la o le visite vengono erogate a un costo più accessibile. L’offerta che invece rientra nei servizi del Sistema Sanitario Nazionale ha diverse modalità. Per prima cosa bisogna mettere al corrente della propria situazione il Medico di Base il quale, in base al disagio che si prova e alla sintomatologia presente, formulerà un’ipotesi diagnostica volta a indirizzare verso un approfondimento specialistico o il centro territoriale più idoneo.
Il Centro di Salute Mentale (CSM) o Centro Psico Sociale (CPS) è un presidio territoriale della psichiatria pubblica, meglio chiamata Dipartimento di Salute Mentale, e vi si accede sia sotto indicazione del medico di base sia per accesso diretto, tramite il pagamento del ticket – se non sono indicate esenzioni specifiche. La funzione principale di questo servizio, esterno alle strutture ospedaliere, è quella di coordinare vari programmi di cura, attraverso interventi di vario tipo: psicodiagnostico e psicofarmacologico, riabilitativo, psicoterapeutico, sociale e familiare. Il Consultorio Familiare è un altro canale del SSN di tipo multi professionale, orientato alla prevenzione e alla promozione della salute e del benessere, sia della donna che della famiglia. Eroga interventi di tipo sanitario e psicologico e l’accesso è libero e diretto. Infine c’è sempre il pronto soccorso, presidio ospedaliero d’elezione nel caso in cui il livello di sofferenza sia acuto, ingestibile e non ci si trovi in una condizione di sicurezza.
Purtroppo, già nei primi anni 2000, l’European Study of the Epidemiology of Mental Disorders (ESEMeD) aveva mostrato come l’Italia, rispetto agli altri Paesi europei partecipanti allo studio, avesse fatto registrare il minor livello di utilizzo dei servizi sanitari da parte di persone affette da disturbi mentali comuni, quali principalmente ansia e disturbi dell’umore. Solo il 3% del campione aveva fatto ricorso almeno una volta nella vita a un servizio sanitario per problematiche di natura psicologico-psichiatrica. Questi dati stupiscono considerando che vi sono linee guida internazionali basate su evidenze scientifiche sull’efficacia delle psicoterapie e dei trattamenti farmacologici per queste patologie, ma allo stesso tempo permettono di interrogarsi rispetto ai fattori che contribuiscono al mancato ricorso ai servizi, che nel settore pubblico risultano ancora numericamente insufficienti, per ricevere assistenza e cure idonee. Un miglioramento in questo senso potrebbe scaturire da una maggiore conoscenza e consapevolezza di questi disturbi nella popolazione generale, dell’offerta di cura e dalla riduzione dello stigma a essi associato.
Ancora troppe persone credono che rivolgersi a un professionista della salute mentale significhi ammettere la sconfitta di non saper risollevare la propria vita da soli, ma rivolgersi a un esperto non è sinonimo di debolezza, quanto di voglia di cambiare, migliorarsi e stare meglio, e per fare questo spesso l’aiuto di un professionista è fondamentale. Un altro mito da sfatare è quello legato al fatto che le patologie della sfera psicologico-psichiatrica non si possano curare, se fino a pochi anni fa queste patologie erano infatti considerate croniche, da qualche anno si parla invece del concetto di “recovery”. La visione attuale della malattia mentale è di un’entità dinamica che può evolvere positivamente se supportata da una serie di elementi protettivi quali la capacità di gestire la propria malattia, il sentirsi parte di una rete sociale, il trovare il proprio “posto sicuro” e il dedicarsi ad attività significative come il lavoro o lo studio o il coltivare interessi.
Nell’ultimo anno e mezzo c’è stata l’opportunità di riflettere su più livelli rispetto al tema della salute mentale ma, nonostante ciò, persiste una grande difficoltà da parte delle persone nel chiedere aiuto, nel riconoscersi in qualche modo la facoltà di poter provare disagio e di poter essere sostenute nella ricerca di un nuovo e rinnovato stato di salute, dimenticandosi forse che la salute – anche quella mentale – è un diritto e una priorità.