Non dobbiamo prendercela con gli analfabeti funzionali ma con chi vuole mantenerli tali - THE VISION
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Quando viene pubblicata una relazione sul tasso di analfabetismo funzionale in Italia, ciò che mi lascia interdetto è soprattutto la reazione alla notizia in sé, la conflagrazione di commenti che evidenzia due fattori: il fenomeno esiste davvero e, soprattutto, si crea una sorta di gara a dimostrare di non essere analfabeti funzionali attaccando chi lo è. Questo accade perché chi commenta sul web la notizia dimostra di solito di non aver afferrato il concetto stesso, spesso limitandosi alla lettura del titolo degli articoli che ribattono la notizia senza comprendere in pieno il significato della ricerca alla base. Nel secondo caso le sfumature diventano meno nitide, soprattutto perché una persona che presenta analfabetismo funzionale non è consapevole di esserlo. Se nei secoli scorsi una persona assolutamente analfabeta si riconosceva per dei parametri ben definiti, come per esempio non saper leggere e scrivere, oggi si entra nel torbido perché il fenomeno coinvolge persone ignare di essere affette da questo problema e le altre, accecate da una cattiveria sociale sempre in aumento, se la prendono con loro invece di criticare chi ha convenienza a mantenerle tale, ovvero una classe politica che ha interesse a non affrontare questa piaga perché è più semplice rappresentare una popolazione manipolabile e meno avvezza al senso critico.

Il report in questione è quello dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e mostra come il 35% degli adulti italiani possa essere definito come analfabeta funzionale. Un dato che preoccupa perché la media Ocse è assestata sul 26%. Ma intanto è necessario capire cosa sia effettivamente l’analfabetismo funzionale. Il Novecento è stato il secolo in cui il tasso di analfabetismo è crollato in Occidente e notevolmente diminuito anche in gran parte degli altri Stati mondiali. Le nuove tecnologie sono servite a istruire anche le persone adulte, a dare ai cittadini le nozioni basilari per poter uscire da quella stagnazione che portava, per esempio, a firmare un documento con la X o a non essere in grado di leggere un documento. La crescita è avvenuta principalmente dal secondo dopoguerra in poi, con un servizio pubblico che ancora poteva definirsi tale. Penso alle lezioni del maestro Alberto Manzi in televisione nel programma Non è mai troppo tardi, quando si partiva dalle basi e venivano insegnate agli italiani le lettere, le parole, i numeri. Quando le persone hanno iniziato a saper scrivere e leggere, ci si è però interrogati su come leggessero e sul modo di recepire un’informazione. Così l’UNESCO, nel 1984, ha parlato per la prima volta di analfabetismo funzionale descrivendo le persone che erano effettivamente in grado di leggere un testo – che fosse un articolo di giornale, un contratto o un libro – ma che non riuscivano ad avere una capacità di comprensione e di analisi di ciò che avevano letto. Si fermavano alla superficie, non capivano la complessità di certi concetti e il modo in cui agivano sulla sfera sociale o politica. La popolazione aveva imparato a leggere, ma non ancora a comprendere.

Alberto Manzi

Un errore che viene comunemente commesso è quello di associare l’analfabetismo funzionale alla semplice ignoranza, quando in realtà può riguardare anche persone che hanno ricevuto una corretta istruzione e persino individui laureati. Anche perché non esiste un solo tipo di intelligenza, per cui può coesistere nella stessa persona la capacità di risolvere complicatissimi calcoli matematici e l’impossibilità di comprendere la differenza tra due editoriali scritti da giornalisti in antitesi tra loro. È dunque sbagliato credere che l’analfabetismo funzionale possa essere risolto esclusivamente con la scolarizzazione, poiché è la modalità di apprendimento a incidere sul fenomeno. Per esempio, è importante un’integrazione tra diversi media nell’insegnamento per facilitare la comprensione dei contenuti. In questo è utile l’E-learning, e dunque l’uso delle tecnologie multimediali che possano portare l’alunno a comprendere ciò che sta studiando attraverso simulazioni o esercizi mirati a ricreare una situazione reale grazie all’intervento della tecnologia. In questo modo oltre al nozionismo e all’allenamento mnemonico si sviluppano capacità cognitive legate anche al senso critico, allo sviluppo di una propria idea e all’interattività dell’apprendimento.

È fondamentale l’abitudine alla tecnologia perché l’analfabetismo funzionale ha uno stretto contatto con quelli che potremmo definire dei “deficit digitali”. In questo caso sono coinvolti soprattutto gli over 50, quei soggetti che non hanno dimestichezza del mezzo tecnologico e non riescono a distinguere il vero dal falso nei contenuti che leggono su Internet. Possono tendenzialmente credere a tutto e contribuire alla diffusione di notizie false. L’overdose di contenuti sui social non è d’aiuto, considerando che con l’aumentare della quantità degli stimoli si riduce la qualità della fruizione del contenuto stesso, e dunque un articolo troppo lungo non verrà letto, ci si ridurrà a commentare il titolo e a concentrarsi sull’immediatezza dei post brevi, dei reel, delle informazioni spolpate e ridotte a uno slogan. È proprio qui che entra in gioco la politica, con i partiti populisti che hanno compreso la potenza del web come macchina accumula-voti facendo leva proprio sull’analfabetismo funzionale.

Il populismo ai tempi di Internet ha funzionato proprio perché una fetta della popolazione – come abbiamo visto, il 35% – non è capace di comprendere appieno testi e informazioni, e tra questi anche un programma di un partito politico. Gli analfabeti funzionali si dividono quindi in quelli che i programmi elettorali li hanno letti senza capirli, in quelli che hanno rinunciato in partenza e nel gruppo di chi non riesce a notare le differenze tra il programma e le dichiarazioni dei politici che l’hanno scritto. In tal modo i partiti hanno reso la propaganda una sorta di strategia di marketing, “vendendo” ai cittadini qualcosa di irrealizzabile. E un ampio bacino della popolazione, non essendo in grado di elaborare una riflessione sull’attuabilità di tali promesse, ha creduto persino a proposte incostituzionali. L’esempio più recente riguarda la campagna elettorale di Giorgia Meloni con il famigerato blocco navale. Nonostante diversi articoli di giornali e analisi su altri media in cui veniva spiegato come la misura andasse contro la nostra Costituzione e contro diversi trattati internazionali, il potere persuasivo della leader di Fratelli d’Italia ha superato il realismo e la logica attecchendo su cittadini che non hanno gli elementi necessari per smascherare l’inganno propagandistico. Questo può valere anche per proposte irrealizzabili per una mancata copertura economica o per motivi che l’analfabeta funzionale non prende in considerazione perché non può analiticamente individuare e studiare. La conseguenza è una politica che tenta di convincere un terzo degli italiani su basi ingannevoli, sapendo di poter contare su una scarsa ricezione di un fatto o di un discorso da parte di chi non ha i mezzi per demistificarli.

Giorgia Meloni

Se però più di un terzo degli italiani è analfabeta funzionale, è evidente che sia sbagliata la percezione che abbiamo di questi soggetti. Intanto perché potrebbe esserlo chiunque, mentre nell’immaginario collettivo sono associati a ignoranti illetterati che sbagliano i congiuntivi o non conoscono la tabellina del nove. Non è così. Per pura statistica, è molto probabile – se non certo – che ci siano analfabeti funzionali persino tra i rappresentanti che abbiamo votato in Parlamento. Un analfabeta funzionale è difficile da riconoscere, lui stesso non agisce con la consapevolezza di esserlo e, anzi, porta avanti le sue idee sui social con la presunzione della tuttologia, di essere un esperto su più campi. Un giorno virologo, quello dopo studioso di geopolitica, poi economista. L’analfabeta funzionale non si sottrae al dibattito pubblico, vi partecipa attivamente pur non potendo sfoderare alcuna competenza. Chi non appartiene a questa categoria – e probabilmente in alcuni casi nemmeno ha la certezza di non farne parte – si scaglia contro gli analfabeti funzionali sbagliando il bersaglio: è quasi una forma di victim blaming, perché i veri carnefici sono quelli che approfittano del fenomeno per rimpinguare il proprio bacino elettorale o per creare divisioni tra i cittadini. Gli analfabeti funzionali non sono degli appestati, ma le vittime di una società che ostacola una rivoluzione culturale e non offre gli strumenti per arginare il fenomeno. I principali dovrebbero essere una scuola più interattiva e multifunzionale per i bambini e per i ragazzi, e per gli adulti una campagna mirata al corretto uso di Internet, ai metodi per riconoscere le notizie false e un invito a leggere in modo più approfondito. Dunque libri, articoli lunghi, testi più articolati per poter aumentare la propria soglia d’attenzione e la concentrazione necessarie per sviluppare una coscienza critica, un’autonomia di pensiero che porti inevitabilmente alla comprensione delle informazioni che vengono assorbite. La caccia all’analfabeta funzionale, invece, sarà solo controproducente a livello sociale, si alimenteranno odio e cattiveria e nessun problema verrà risolto. Ed è proprio quello che una parte della classe politica vuole mantenere come strumento di vantaggio. Non possiamo permettercelo.

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