Settembre, come al solito, segna l’inizio del nuovo anno accademico. Per molti studenti arriva il momento di staccarsi dal nucleo familiare per iniziare un nuovo percorso formativo. Le grandi città, ma non solo quelle, sedi di atenei di prestigio, sono prese d’assalto da un gran numero di futuri fuorisede: in particolare Milano, Roma, Torino e Bologna – dove ad esempio i fuorisede sono più di 35mila, praticamente la metà degli iscritti – vengono investite da un piccolo esodo che vede ventenni con famiglia al seguito accalcarsi di fronte alle bacheche delle facoltà universitarie nella speranza di trovare l’annuncio di una camera a un prezzo ragionevole, oppure di infilarsi nell’ufficio di qualche agenzia immobiliare cercando di bloccare un appartamento che bisognerà ripulire e arredare in fretta. Questa è la prima verità che apprende un fuorisede: il vero scoglio per l’accesso al mondo universitario non è il test d’ingresso, bensì la ricerca di un posto decente in cui vivere.
I numeri parlano chiaro: stando al 2018, l’università italiana – nell’arco di tre anni – ha visto 35mila iscritti in più rispetto al periodo precedente, un aumento del 2,4% sul totale. L’aumento, però, non è equamente distribuito sul territorio: gli atenei del Nord-Ovest hanno avuto un incremento del +2.6%, quelli del Nord-Est del +6,8%, mentre quelli dell’intero Sud l’incremento è stato solo del +3,5%. Questa disparità è dovuta proprio ai fuorisede, che rappresentano un terzo degli studenti universitari. Se nell’anno accademico 2013-2014 erano il 24,7%, solo pochi anni dopo, nel 2018, sono diventati il 27,4% del totale. La percentuale schizza verso il 36% se si considerano solo gli studenti di lauree magistrali. Le regioni che accolgono più fuorisede sono quelle che presentano sul territorio grandi atenei, ovvero Lombardia con il 19%, Emilia Romagna con il 17% e Lazio con il 15%. La sola Alma Mater di Bologna accoglie il 4,59% dei fuorisede, seguita dalla Sapienza di Roma con il 2,43% e il Politecnico di Milano con il 2,22%. A fronte di tale flusso migratorio le città si trovano sguarnite e le stanze scarseggiano, facendo inevitabilmente lievitare il prezzo degli affitti.
Prendere una stanza in affitto in una città del Nord diventa sempre più costoso, secondo le statistiche degli operatori del settore il rincaro sui canoni d’affitto rispetto allo scorso anno varia dal +3 al +6%; gli incrementi maggiori si sono avuti a Torino e a Firenze, rispettivamente con +25% e +12%, seguite da Bologna con +8,7%, un +6% per Roma e +5,5% per Ferrara. Secondo Solo Affitti è il quarto anno consecutivo che il canone di locazione è in risalita, e per Silvia Spronelli, presidente del network immobiliare, “Nel giro di un paio d’anni i canoni d’affitto potrebbero anche superare i livelli del 2009 quando è cominciata la crisi”. Le cause sono da ricercarsi innanzitutto in una diversa conformazione sociale: “L’incremento della domanda è favorito da una società sempre ‘più liquida’. Aumentano le giovani coppie conviventi, così come divorzi e separazioni. La mobilità lavorativa contraddistingue sempre di più il nostro Paese, con trasferte di medio-lungo periodo verso le principali città”.
I fuorisede per una singola a Roma devono spendere in media 400 euro, a Torino e Firenze 360 euro, a Bologna 350 euro e a Padova 335 euro. Ma è Milano la città con gli affitti più cari d’Italia (che praticamente non sembrano mai essersi abbassati nonostante la crisi, ed è per questo che non hanno registrato una particolare crescita), con una media di 600 euro a stanza. Il capoluogo lombardo risulta essere anche fra le città più care d’Europa, con Bruxelles e ormai Berlino, rispettivamente 570 e 530 euro a stanza.
Se la domanda aumenta, però l’offerta non va di pari passo, anzi diminuisce. Una delle cause principale è la diffusione degli affitti temporanei grazie a piattaforme come Airbnb. Molti proprietari preferiscono affittare stanze o appartamenti in maniera occasionale o per brevi periodi, destinando le camere al mercato del turismo: hanno più libertà e i guadagni non sono magari costanti ma in generale sono molto più alti. Secondo uno studio dell’Università di Siena, ad agosto 2018 gli alloggi disponibili su Airbnb erano più di 397mila, ovvero circa il 51% in più rispetto al 2016. Ai fuorisede, studenti o lavoratori che siano, vengono quindi destinati un numero minore di alloggi, proprio nel momento in cui la domanda diventa sempre più pressante e urgente. Combinando questi due fattori il risultato non può che essere una corsa al rincaro.
A ciò si aggiunge un deficit cronico di contromisure da parte delle istituzioni. Le borse di studio, che dovrebbero in parte sopperire al problema del caro affitti, consentendo agli studenti di potersi permettere una stanza altrimenti al di fuori della portata di molti, sono insufficienti e spesso i fondi sono stanziati con mesi di ritardo. L’associazione studentesca Link denuncia che, dal 2017 in poi, il fondo del diritto allo studio, pur portato dai 216 ai 246 milioni, è ancora insufficiente a coprire tutte le borse di studio degli aventi diritto. La situazione è particolarmente tragica al Sud, in Sicilia ad esempio gli studenti palermitani attendono una borsa di studio anche un anno, mentre a Catania e Messina la copertura è solo del 40%. L’importo medio di una borsa di studio si attesta sui 3mila euro annuali, cifra che sale a 5mila euro per i fuorisede. E se una stanza costa più di 500 euro al mese, è evidente che lo studente dovrà usare la borsa esclusivamente per l’affitto, impedendogli qualsiasi altra spesa.
Allo stesso modo non sembra esserci un vero piano per destinare più alloggi ai fuorisede. In una città come Bologna – il cui ateneo, come abbiamo visto, è il secondo per affluenza in Italia – Virginia Gieri, l’assessora all’emergenza abitativa, ha dichiarato che “Non è sostenibile al momento pensare anche a reperire alloggi per gli studenti”. La soluzione sarebbe puntare sugli studentati, ma anche in questo caso il nostro Paese non vede significativi investimenti. Secondo un report dell’operatore JLL, in Italia solo il 2% degli studenti vive in studentato, contro il 19% della media europea. Nel Regno Unito si investono nel settore degli alloggi universitari circa 5,4 miliardi l’anno, in Austria 391 milioni e in Svizzera 260. Da dieci anni a questa parte, però, in Italia l’aumento di posti letto per universitari è salito solo del 4%, attestandosi sui 49.500.
A fronte di questa situazione è normale che gli studenti protestino. Secondo Alessio Bottalico, coordinatore nazionale di Link, “Non esistono politiche pubbliche per agevolare gli studenti universitari, case proposte sono spesso fatiscenti e i contratti sono inadeguati rispetto alle rispettive esigenze”. Il sindacato universitario individua proprio nella questione degli studentati un nodo da sciogliere al più presto. “Deve essere potenziata la residenzialità pubblica – continua Bottalico – adeguando le residenze universitarie all’ammontare degli studenti aventi diritto di posto alloggio, attraverso la costruzione di nuove strutture e la conversione degli immobili in disuso”.
L’emergenza casa influisce sugli studenti per varie ragioni: non solo da un punto di vista strettamente materiale. La precarietà della situazione abitativa li scoraggia, abbassandone il rendimento. Allo stesso modo chi non ha ancora deciso se continuare gli studi verrà ulteriormente scoraggiato dal perseverare. Di fronte alla prospettiva di barcamenarsi in una ricerca che può durare anche mesi – e nel frattempo dormire sul divano di un amico, oppure spendere migliaia di euro su Airbnb, proprio per dormire in quelle stanze che potrebbero essere alloggi perfetti – è facile perdere le speranze. .
D’altronde l’istruzione è lo specchio del nostro Paese. E mentre alcuni di coloro che hanno le possibilità economiche, disorientati da un mercato del lavoro che non li vuole, si impegnano a oltranza in master e corsi di perfezionamento dalle rette vertiginose, altri non riescono nemmeno ad accedervi, perché non hanno letteralmente abbastanza soldi per permettersele, così come non li hanno per pagare non dico una casa, ma una camera, dove tornare dopo le lezioni. Così muore la parità del diritto allo studio in Italia: nelle forme più bizantine, facendo poco rumore ma causando molti danni.