A Milano gli affitti abitativi sono letteralmente insostenibili. Ci vuole una legge per abbassarli.

Milano, un tempo isola felice, place to be, “locomotiva d’Italia”, da qualche tempo si è trovata proiettata in un incubo. La pandemia COVID-19 ha causato ad aprile un aumento del 98% di decessi in città rispetto agli anni precedenti, l’economia locale è uscita molto provata dai mesi di lockdown e molte più persone si sono viste costrette a bussare alle porte delle mense urbane. Come ha rilevato la Caritas Ambrosiana, in città dai 2.500 degenti al giorno pre-coronavirus si è passati a maggio a 5mila, uno specchio dei processi di precarizzazione e disoccupazione che hanno colpito migliaia di lavoratori. Uno scenario urbano totalmente trasformato in pochi mesi, dove la crisi socio-economica ha spazzato via l’agio, e il poco narcisismo rimasto è stato incanalato verso un presunto sentimento anti-lombardo diffuso nel Paese. Di certezze, in questa situazione, ne sono rimaste molto poche. Tra esse, il costo degli affitti: mentre tutto va a rotoli, trovare un alloggio in città a prezzi sostenibili continua a essere molto difficile, se non impossibile.

Che Milano abbia un problema con il diritto alla casa è noto da tempo. La sociologia afferma che un affitto, per essere sostenibile, deve impegnare non più del 28% del reddito di una persona. A Milano in tempi normali, cioè nel 2019, lo stipendio medio mensile netto era di 1.900 euro, mentre un bilocale di 50-55 metri quadri in città costava in media 900 euro. Nel capoluogo lombardo si spendeva dunque in media quasi il 50% del proprio stipendio per potersi permettere una sistemazione di questo tipo. Uno scenario comunque positivo, se si pensa che ci sono migliaia di persone che uno stipendio netto di quel tipo lo mettono da parte forse in due mensilità, in quella che è la capitale degli stage e della gavetta necessaria per sperare di trovare un posto. Oggi a causa dell’emergenza sanitaria e delle conseguenti misure di chiusura, il contesto economico-lavorativo in città è cambiato. Migliaia di persone hanno perso il lavoro e altre, che già vivevano in uno stato di disoccupazione, hanno visto innalzarsi ulteriormente la barriera di ingresso nel mondo dell’occupazione, mentre la cassa integrazione si è abbattuta su un’enorme schiera di dipendenti. In Lombardia le ore complessivamente richieste di cassa integrazione nel bimestre marzo-aprile 2020 sono state il 184,1% di quelle richieste nel primo trimestre del 2010. E il peggio probabilmente deve ancora venire.

Eppure gli affitti restano stazionari o addirittura aumentano, come emerge dai dati di Idealista. Nel primo trimestre del 2020, a Milano, il loro valore ha subito un incremento del 3,3%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Se è vero che nella prima parte del periodo la vita scorreva normale in città, va considerato che proprio il capoluogo lombardo è stato quello che a livello nazionale per primo ha subito le ordinanze di chiusura a causa dell’emergenza sanitaria. Cinema, bar, musei, teatri e tante altre attività già avevano le serrande abbassate alla fine di febbraio, mentre a marzo – a parte il break #milanononsiferma – la città si è fermata completamente, trasformandosi in una città fantasma sotto tutti i punti di vista: economico, commerciale, sociale e culturale. Gli affitti non ne hanno però risentito e anzi in città si è registrato un boom dell’offerta di case destinate a questo scopo: +25% rispetto all’anno scorso. Chi voleva vendere ha constatato che il momento non fosse quello giusto, mentre migliaia di case vuote destinate agli affitti brevi sono passate a locazioni più lunghe. I prezzi però li fa esclusivamente il mercato e siccome la domanda di case in affitto a Milano continua a essere molto alta, le locazioni non stanno risentendo del clima catastrofico che si respira in città. I contratti si chiudono lo stesso, non è dunque necessario abbassare i prezzi.

Chi può, e anzi, dovrebbe intervenire, sono le istituzioni. In uno scenario di profonda crisi economica, dove sempre più persone stanno cadendo in stato di povertà, uno dei punti su cui è più necessario insistere è proprio quello relativo al diritto alla casa. Come si sottolinea su The Conversation in una sorta di articolo-appello, a causa della pandemia in tutto il mondo “gli inquilini stanno ricercando la riduzione degli affitti o esenzioni dai loro proprietari, con risultati contrastanti. È tempo che i governi intervengano e risolvano il problema, imponendo legalmente riduzioni degli affitti a tutti i livelli”.

A Milano, nelle prime settimane, quando già in tanti lamentavano l’impossibilità di pagare in toto gli affitti a causa della perdita del lavoro e della riduzione degli stipendi, sono in realtà stati i sindacati a muoversi, diffondendo dei moduli per siglare accordi con i proprietari per la riduzione temporanea dei canoni. Poi a fine aprile Palazzo Marino ha pubblicato un bando per avere accesso al bonus affitto: 1.500 euro una tantum fino a esaurimento delle risorse disponibili, per uno stanziamento totale di poco meno di tre milioni di euro, recitava il documento. E subito è arrivata una pioggia di domande: ben 5mila solo nella prima settimana, mentre dopo tre settimane, di fatto alla scadenza, si è arrivati a circa 17mila domande. La dimostrazione di come il problema affitti a Milano sia oggi più presente che mai.

Nella composizione delle graduatorie, elementi come l’aver perso un parente a causa del COVID-19 conteranno il doppio rispetto alla perdita del lavoro. Una scelta che se da una parte è da considerarsi legittima per un bando che mira proprio a offrire una risposta al dramma del coronavirus in città, dall’altra svela come il suo impatto sul diritto alla casa sarà molto limitato. A questo, in effetti, va aggiunto che solo 2mila richieste, circa il 15% di quelle pervenute, potranno ottenere il contributo all’affitto, mentre moltissime persone che necessiterebbero di questo aiuto sono già state escluse a priori perché non soddisfano i criteri del bando. Esso, infatti, tra le varie condizioni chiedeva un Isee inferiore ai 26mila euro, un contratto di locazione in essere da almeno un anno e soprattutto la residenza nel comune di Milano. Che significa di fatto estromettere proprio quell’orda di stagisti, studenti e giovani lavoratori, che vivono da poco in città, ma che anche per la precarietà che il vivere a Milano comporta non vi hanno mai spostato la residenza. E che di un sostegno per la casa avrebbero estremamente bisogno.

Mentre sui gruppi Facebook o sui vari siti di annunci continuano a campeggiare camere singole a 600 euro, doppie a 500 e bilocali che girano intorno ai mille, a livello di istituzioni locali si è dunque fatto qualcosa, con un bando che però non sarà minimamente in grado di offrire un sostegno adeguato. Il problema sta però a livello nazionale, dal momento che le risorse predisposte dipendono dai rubinetti di Roma. La primavera del 2020 verrà ricordata come la stagione dei decreti annunciati di volta in volta dal premier Giuseppe Conte, con milioni di italiani esasperati incollati allo schermo. Mai una volta, in queste occasioni, è stato però toccato il tema degli affitti, a conferma di come il diritto alla casa venga considerato in Italia un corollario nella quotidianità delle persone, e non la base di ogni esistenza dignitosa. Eppure la Conferenza delle Regioni aveva fatto domanda di 550 milioni di euro per queste finalità e in Senato si era parlato di mobilitare risorse per il sostegno all’affitto, ma alla fine sono arrivati solo 140 milioni di euro su un pacchetto di misure di 55 miliardi. In realtà di affitti in qualche modo si è parlato in questi mesi, ma quasi solo riguardo a immobili per uso non abitativo, dunque per quanto riguarda gli affitti commerciali. La questione della casa è invece stata messa da parte, proprio mentre la stessa politica ripeteva allo sfinimento di stare a casa.

Eppure, come sottolineano Filandri, Olagnero e Semi in Casa dolce casa?, tra il 2006 e il 2016 le richieste di sfratto in Italia, così come gli sfratti regolarmente eseguiti, sono aumentati del 57% e i provvedimenti del 35%. Se nel 2006 la morosità incolpevole costituiva il 75% del totale delle richieste di esecuzione di sfratto, nel 2016 era salita all’89%. La crisi economica innescata dal COVID-19 si inserisce dunque in uno scenario abitativo che già era precario, i cui problemi ora non possono che accentuarsi. E in effetti, come rivela un sondaggio dell’Osservatorio Coronavirus di Swg e Area Studi Legacoop, il 50% degli intervistati che abitano in affitto pensa che nei prossimi mesi potrà avere difficoltà a pagare il canone (il 16% sicuramente sì e il 34% probabilmente). Simbolo di una situazione come questa è proprio Milano, classificata come la seconda città più cara d’Europa per quanto riguarda i canoni di affitto e dove i dati del 2019 hanno fatto registrare un aumento degli sfratti del +594% in un anno.

Il bonus affitti introdotto dal Comune è una misura ordinaria, di quelle che si fanno di volta in volta quando si trovano delle risorse, travestita però da misura straordinaria in una situazione di emergenza. Se già in passato non sarebbe stata in grado di risolvere il problema che la città vive con il diritto all’abitare, oggi lo sarà ancora meno. A livello nazionale non si è inoltre stati capaci, o meglio non si è voluto, accompagnare con misure ad hoc di defiscalizzazione e calmieramenti i vari bandi locali che hanno interessato questa e altre città italiane. Migliaia di persone in difficoltà economica continueranno allora a restare escluse dagli aiuti per i canoni di locazione, sommandosi a chi già viveva una situazione simile prima della pandemia. Questa è la dimostrazione di una frattura che c’è a monte quando si parla di casa, considerata come un diritto tra i tanti, più che come il diritto per eccellenza da cui si dipanano tutti gli altri.

Mentre in stati come il Venezuela ed El Salvador è stata decretata la sospensione del pagamento degli affitti con l’arrivo della pandemia, in una democrazia europea come l’Italia il peso dei canoni di locazione e della speculazione immobiliare continua a poggiare sulle spalle dei cittadini, gli stessi che subiscono per primi gli effetti della crisi economica. “I governi hanno smesso di considerare la casa un diritto umano, lasciando che diventasse un business per i privati”, ha sottolineato Leilani Farha, relatrice speciale delle Nazioni Unite. Le macerie lasciate dal COVID-19 richiedono che si torni sui propri passi, se si vorranno dare ai cittadini le chiavi della ripartenza del Paese.

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