Da femminista, ho imparato che la violenza fisica, psicologica e soprattutto sessuale è sempre un esercizio di potere. Il discorso sulla violenza sulle donne, che fortunatamente ormai è all’attenzione di tutti, non viene mai affrontato in questa direzione, ma viene spesso ridotto alla dicotomia maschio-carnefice versus femmina-vittima, senza spazio per capire a cosa siano dovuti questi ruoli, e se esista un margine perché possano ribaltarsi. Finché non riusciremo ad ammettere che la violenza ha a che fare con il potere e non, più ingenuamente, con il desiderio o l’istinto sessuale, non riusciremo a comprenderne le cause e ne svaluteremo necessariamente la gravità. L’abuso di potere non è una prerogativa del maschio, che può egualmente trovarsi ad essere nella posizione di vittima. Ma nel discorso pubblico, la violenza compiuta dalle donne sugli uomini non trova ancora legittimità.
Un’inchiesta del New York Times ha rivelato che Asia Argento avrebbe concordato, tramite i propri legali, il pagamento di 380mila dollari nei confronti dell’attore e musicista Jimmy Bennett, che l’ha accusata di violenza sessuale. All’epoca Bennett aveva diciassette anni e in California, luogo dove si sono svolti i fatti, l’età del consenso è di diciotto. Al di là del linciaggio via social e delle conseguenze che questa notizia avrà sullo sviluppo del #MeToo, è emblematico il modo in cui le persone – soprattutto in Italia – hanno reagito alla sua diffusione. Il tenore dei commenti è riassumibile nelle battute raccolte da Repubblica e nell’eloquente tweet di Vittorio Feltri:
La molestata Asia Argento molestò un minore americano. E rimedia una figura pazzesca. Ma è pazzesco anche che un diciassettenne si spaventi davanti alla passera.
— Vittorio Feltri (@vfeltri) August 20, 2018
“Una donna che costringe un uomo a fare sesso che ridere.” Ma quando i ruoli sono invertiti, ecco alcuni subito pronti a gridare alla castrazione chimica. La violenza sugli uomini è un argomento problematico innanzitutto perché da un maschio pretendiamo che sia sempre pronto a fare sesso, che non sprechi nemmeno un’occasione per aggiungere una tacca alla cintura. Non ammettiamo che possa essere debole, fisicamente o psicologicamente schiacciato da una donna. Questi pregiudizi sono frutto delle logiche patriarcali tanto quanto la violenza sulle donne: non si ammette contraddittorio: la donna è sempre vittima e l’uomo sempre carnefice, punto.
Invece, così come accade per le donne, anche gli uomini possono subire atti di violenza fisica, psicologica e sessuale da parte di altri uomini o da donne. Queste ultime violenze si consumano nell’ambito domestico, oppure sul luogo di lavoro, come ha evidenziato anche un’indagine Istat, uno tra i rarissimi studi italiani a coinvolgere anche gli uomini.
È specialmente la violenza fisica a provocare ilarità. Sembra assurdo che un uomo grande e grosso non riesca a contrastare la forza fisica normalmente inferiore di una donna. Ma spesso sono proprio gli stessi uomini a scegliere di non reagire, per paura di fare del male alla propria partner o perché ritengono culturalmente sbagliato alzare le mani – anche fosse per difendersi – su una donna. Allo stesso modo, si fatica a dar credito a una violenza sessuale perpetrata da una donna perché è facile capire come fa un uomo a stuprare una donna, mentre l’atto inverso suscita qualche perplessità. Innanzitutto la violenza sessuale non consiste solamente nel rapporto penetrativo – come d’altronde indica anche il Codice Penale – ma in qualsiasi atto sessuale compiuto sotto violenza o minaccia. Inoltre, è stato dimostrato che l’erezione è una risposta fisiologica che nulla ha a che fare con il consenso o con il piacere dell’uomo, ma anzi può essere una conseguenza di stress e paura.
In Italia non si conoscono stime attendibili del fenomeno, per lo più ignorato. Da anni circola, soprattutto negli ambienti di destra e in modo abbastanza sensazionalistico, un dato di quattro, talvolta cinque milioni di uomini che hanno subito violenza da parte di donne. Questo numero è il risultato di una ricerca intitolata “Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile” pubblicato dalla Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, di cui però sono stati ampiamente criticati i metodi di raccolta delle testimonianze tramite questionari volontari anonimi compilati via web e l’esiguità del campione statistico, tanto che il Consiglio Nazionale delle Ricerche ne ha preso le distanze. Se il problema fosse davvero così esteso, stupisce la quasi totale assenza di centri antiviolenza dedicati agli uomini, che spesso sono costretti a rivolgersi a uno dei 554 istituti italiani di supporto per donne. Ciò ovviamente non significa che il problema non esista: sappiamo benissimo che le violenze più gravi sono quelle taciute e mai denunciate, magari consumate all’interno delle mura domestiche. Ma il fatto che non ci sia, al momento, una cifra della portata del fenomeno, né una discussione su come prevenirlo, arginarlo, o anche solo riconoscerlo, non è che la dimostrazione di come ancora non si riesca ad ammettere che anche le donne possano essere violente o abusanti.
Raccogliere i dati sulle violenze sessuali, al di là del genere di chi le ha subite, non è semplice, in primis perché, se da un lato non è detto che tutte le violenze denunciate siano effettivamente avvenute, dall’altro moltissime non vengono mai portate all’attenzione dell’autorità. Se già per una donna molestata è difficile raccontare quanto subito al commissariato di polizia, immaginate quanto possa esserlo per un uomo: le probabilità che possa non essere creduto, oppure che la violenza venga sminuita e derisa, sono davvero altissime. Molti uomini, inoltre, tacciono perché temono che la loro virilità possa essere messa in discussione da un avvenuto stupro, che la violenza subita possa spingere le persone ad additarli come omosessuali – inteso in senso di scherno.
Anche i media non trattano spesso di violenza sugli uomini, e in genere si tratta di casi in cui questa è compiuta da altri maschi. Si tratta comunque di situazioni limite, quasi al di fuori dalla realtà quotidiana, come il carcere, la guerra, i racconti sul colonialismo e sulla schiavitù. Tutto il resto è taciuto, soprattutto se il carnefice è una donna. L’esclusione sistematica della violenza sugli uomini dal discorso pubblico è la conseguenza di un’idea tossica di mascolinità che vede i maschi incapaci di dire no a un rapporto sessuale, poco importa se non consenziente. Quasi nessuno riconosce questo fatto: l’opinione pubblica si limita a deridere, certe frange del movimento femminista non ammetterebbero mai che una donna possa essere capace di violenza e gli unici che ne hanno parlato, perlopiù all’interno della loro stessa comunità, sono i Men’s Rights Activists. Peccato che i loro discorsi non si siano concentrati sulle cause del fenomeno, né abbiano cercato di creare una rete di tutela e protezione degli uomini abusati, ma si siano limitati a puntare il dito contro una presunta cattiveria atavica delle donne, come se la violenza sugli uomini fosse finalmente la prova schiacciante degli infiniti privilegi femminili in questa società. Siccome non si tratta di una gara a chi ha subito più stupri, ma di un problema reale, alla fine gli uomini vittime di violenza restano soli e inascoltati.
Qualcosa, riguardo alla sensibilizzazione, si sta comunque muovendo. Fortunatamente, sono sempre più gli uomini famosi che hanno deciso di usare la loro voce per parlare delle violenze subite, sia da maschi che da femmine. Nel 2014, Shia LaBeouf ha raccontato di essere stato stuprato da una donna durante una performance artistica in una galleria di Los Angeles. Terry Crews, ex-giocatore di football e attore, dopo essere stato molestato da un potente agente cinematografico, è diventato un portavoce della lotta contro le violenze sessuali. Come è accaduto per il movimento #MeToo, c’è da augurarsi che una maggiore esposizione delle vittime “celebri” possa aiutare chiunque a farsi avanti e denunciare una violenza subita. Se questo può aiutare a dare riconoscimento e legittimità al problema, ovviamente, non basta a risolverlo. Il corpo, che sia quello maschile o quello femminile, non è un campo di battaglia. Schierare le tifoserie come fanno alcune femministe o gli MRA non serve a niente. Bisognerebbe invece portare avanti non solo un nuovo discorso sull’abuso sessuale come abuso di potere, ma anche ripensare il modo in cui raccontiamo la mascolinità. Non tutti gli uomini sono stupratori, e questo lo sappiamo, ma nemmeno tutte le donne sono solo e sempre vittime.