All’improvviso, un segnale di risveglio. Sembrava che gli italiani si fossero adeguati agli umori – tendenzialmente intestinali – del Capitano e dei suoi alleati Cinque stelle, con una decisa virata a destra dimostrata dai sondaggi delle ultime settimane. Eppure una larga fetta della popolazione ha deciso di anticipare la primavera e uscire dal letargo riempiendo le piazze, spinta da un sentimento, non di rappresentanza, ma di appartenenza. Nelle strade di Milano, il 2 marzo, 250mila persone hanno affermato la propria appartenenza al genere umano, marciando contro il razzismo. Il giorno dopo, in tanti hanno votato alle primarie insieme agli iscritti del Pd, spinti dalla volontà di mettere in chiaro che no, non sono come gli altri, non tollerano le politiche e i pensieri di questo governo e hanno scelto da che parte stare in questo momento cruciale della politica italiana.
A Milano, alla manifestazione “People – prima le persone”, erano presenti esponenti del Pd, di Leu e di altri partiti di sinistra, sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil, rappresentanti di Emergency, Arci, Medici senza frontiere e Amnesty International. Eppure i connotati politici sono sbiaditi di fronte al tema principale: la lotta contro il razzismo e le discriminazioni. In migliaia hanno camminato fianco a fianco, sentendosi parte di qualcosa, uno scudo contro l’imbarbarimento dell’ultimo periodo, che ha posto in secondo piano i valori dell’accoglienza e dell’umanità. Non è stata la reunion dei buonisti o un vezzo di una manciata di radical chic, ma il primo vero atto di ribellione contro il governo gialloverde.
A qualcuno non è andato giù il successo della manifestazione. Salvini ha ribadito che “I porti restano chiusi” – almeno secondo la sua narrazione, visto che di fatto non lo sono. E anche se i porti chiusi fossero una realtà, da ministro dell’Interno, Salvini dovrebbe ascoltare la voce di chi è contrario a barriere, muri e chiusure. Meno scontate sono state le dichiarazioni di Beppe Grillo, che sul suo blog ha scritto che 250mila persone hanno manifestato contro “Un razzismo esclusivamente mediatico. Chiunque abbia un minimo di buonsenso non vede alcun razzismo”. “Buonsenso” che è il leitmotiv sovranista, la parola preferita di Salvini, usata insieme alla premessa “da padre” come passepartout per giustificare ogni deriva xenofoba. Grillo sottovaluta quella parte dell’elettorato M5S che non ha mai digerito l’alleanza di governo con la Lega, come dimostrano i risultati delle ultime tornate elettorali e i sondaggi più recenti, che descrivono un vero testa a testa tra i Cinque stelle e il Pd, rispettivamente al 22,1% dei consensi e al 19,8.
Il sentimento che ha animato la manifestazione di Milano è sfociato nelle primarie Pd di domenica scorsa. Non si prevedevano numeri eclatanti, per un partito in piena crisi di identità. I tre candidati ,Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti, speravano di raggiungere almeno il milione di votanti, mentre Grillo parlava di “Nebbie delle primarie per i frou frou piddini”. Contro le più rosee previsioni, più di un milione e mezzo di persone hanno fatto la fila per votare ai gazebo. Ha vinto Zingaretti, con il 66% dei voti, accordatigli da chi ha fiducia nella sua identità di sinistra, provata da una carriera politica che ha attraversato Federazione giovanile dei comunisti italiani, la Sinistra giovanile, i Pds e i Ds.
Si respira una voglia di sinistra. Il Pd non sarà mai un covo di trotskisti, ma la speranza è che non ceda di nuovo al canto delle sirene democristiane e del liberismo moderno. Zingaretti dovrà saper tenere a bada l’ala renziana del partito, tentare di ricucire con gli esiliati di Leu, ma soprattutto essere un punto di riferimento per gli elettori di sinistra che da anni sono alla ricerca di rappresentanza. Ancora prima però, dovrà difendersi dalla macchina del fango. Dopo i risultati delle primarie, sui social è infatti già partita la campagna contro il vincitore, fatta di commenti copia-incolla e profili dalla dubbia veridicità. I due argomenti principali portati dagli hater gialloverdi sono il titolo di studio di Zingaretti e il suo ruolo nella vicenda di Mafia Capitale: alcuni siti sostengono infatti che Zingaretti abbia solo la licenza media. La pseudonotizia, rilanciata anche da Mario Adinolfi, è in realtà una bufala, visto che il nuovo segretario del Pd ha ottenuto il diploma. La disinformazione ha puntato anche sull’indagine nei confronti di Zingaretti per falsa testimonianza ai tempi di Mafia Capitale, dimenticando che i pm avevano chiesto, già nel febbraio 2017, l’archiviazione del procedimento nei suoi confronti, in quanto estraneo alla vicenda.
Il popolo gialloverde ha sentito l’esigenza di delegittimare queste primarie. Chiedeva al Pd di derenzizzarsi e di svoltare a sinistra: adesso che il nuovo segretario viene da una formazione comunista, ha improvvisato nuovi cavalli di battaglia. La verità è che il Pd si porta dietro una serie di pregiudizi che difficilmente saranno eliminati. La narrazione dei suoi avversari è stata così efficace e martellante da andare oltre i dati di fatto e le reali dinamiche interne al partito. Per attaccarlo viene usato ogni espediente, come dimostra l’ultima uscita social di Di Battista senior, che ha scritto su Facebook di aver votato tre volte alle primarie, e con soldi falsi. Peccato che il suo post sia stato pubblicato prima dell’apertura dei seggi.
La partecipazione diretta di un popolo che sembrava smarrito è il risultato più importante di queste primarie e della manifestazione di Milano. C’è una sostanziale differenza tra 52mila voti su una piattaforma online e più di un milione di persone che hanno riempito le strade d’Italia e hanno pagato per votare e creare un’alternativa concreta a questo governo. È il ritorno del mondo reale che prevale sulle urla virtuali e la propaganda social, la presenza effettiva che surclassa i proclami social dei ministri. Probabilmente non servirà a cambiare gli scenari futuri, con la Lega sempre più favorita nei sondaggi nell’ottica delle elezioni europee, ma è la dimostrazione che un’Italia diversa esiste ancora e ha il coraggio e la forza di farsi sentire. Non solo le primarie del Pd o una manifestazione contro il razzismo, ma un segnale per dire che esiste un’altra strada. Milioni di italiani sono pronti a percorrerla, perché c’è vita fuori dalla pagina Facebook di Matteo Salvini.