Se il voto è il diritto politico per eccellenza e le elezioni, di conseguenza, rappresentano la più alta manifestazione di democrazia, in teoria il 2024 dovrebbe essere l’anno più libero della Storia. Il perché è spiegato da un accurato report dell’Economist in cui emerge che più della metà della popolazione mondiale – per l’esattezza oltre 4 miliardi di persone e 76 Stati – andrà al voto. Uso il condizionale perché uno studio dell’EIU (Economist Intelligence Unit) delinea uno scenario non proprio idilliaco: delle 76 nazioni al voto, ben 28 non soddisfano infatti i requisiti per un’elezione democratica. Oltre ai Paesi dove vige un vero e proprio regime autoritario, con le elezioni attuate come puro atto formale, ci sono quelli che non rispettano parametri come libertà di stampa e di parola, spazi equi per le forze d’opposizione o indipendenza degli apparati giudiziari, militari e parastatali. Quindi prima di parlare del trionfo della democrazia, bisognerebbe constatare – mestamente – che nel 2024 milioni di persone voteranno senza avere la reale possibilità di cambiare le sorti del proprio Paese.
Se a queste limitazioni aggiungiamo una crescita globale dei partiti dalle ideologie di estrema destra o strettamente nazionalisti, il rischio è che lo scacchiere geopolitico venga stravolto in peggio, minando un equilibrio già di per sé labile in questi anni di guerre e contrasti in tutto il pianeta. Gli occhi sono puntati sulle elezioni che ci riguardano direttamente, ovvero le europee di giugno che, oltre all’Italia, porteranno alle urne pure gli altri 26 Stati membri dell’UE, ma anche sulle principali aree che determinano il destino del pianeta, su tutti gli Stati Uniti. Il 2024 è anche l’anno in cui dovremmo avere al voto due nazioni in guerra tra loro: Russia e Ucraina. In questo caso il condizionale l’ho usato perché in Ucraina appare piuttosto improbabile riuscire a organizzare le elezioni, considerando che al momento vige la legge marziale e sono tuttora sotto invasione. Diverso il discorso per la Russia: quelle di marzo saranno infatti più che altro il riflesso del culto della personalità di Putin che delle vere e proprie elezioni, con un’opposizione fittizia e il dissenso silenziato in tutti i modi.
Partendo dalle Europee, bisogna considerare l’importanza del voto non tanto per gli europarlamentari da mandare a Bruxelles, quanto per la tenuta dei governi in carica e l’eventuale ascesa di partiti sui generis. Uno di questi, forse il più preoccupante, è Alternative für Deutschland, l’estrema destra tedesca che, secondo i recenti sondaggi, è arrivata al 24%. Una percentuale enorme, considerando che l’intera coalizione del governo Scholz è al 33%. AfD rappresenta un pericolo per la sua vicinanza ad ambienti neonazisti, e in un Paese che dal secondo dopoguerra prende molto sul serio, a differenza nostra, certe nostalgie, questo ha comportato la sorveglianza dell’intelligence tedesca su un partito che programma piani per deportare gli immigrati. Il resto della popolazione tedesca si è ribellata, occupando le piazze e firmando petizioni con la richiesta di bandire AfD. Un’indignazione che noi italiani, governati da un partito neofascista con la fiamma tricolore sul simbolo e con rinomati sostenitori del Ventennio in Parlamento, non siamo riusciti certo a esternare – o forse non abbiamo voluto farlo – con la stessa veemenza.
A proposito di casa nostra e del governo in carica, è curioso che le zampe dell’esecutivo siano a Bruxelles in tre gruppi diversi: EPP, centro e centrodestra cristiano-liberale, per Forza Italia; ECR, conservatori nazionalisti di destra ed estrema destra, per Fratelli d’Italia; ID, sovranisti e correnti di estrema destra, per la Lega. È molto probabile che il partito di Meloni succhi ulteriori voti ai suoi alleati, visto che Forza Italia è orfana di Berlusconi e Salvini è ai minimi storici della sua rilevanza politica. Il punto, inoltre, non è capire se perderà il centrosinistra, ma come perderà stavolta. Se dalle urne di giugno uscisse una destra italiana ancora più estrema, un PD all’ennesima Caporetto e un M5S praticamente cancellato dai radar politici, Meloni si garantirebbe la poltrona da premier per chissà quanti anni. Sarà però curioso sapere come reagirà di fronte a una candidatura, o addirittura a una vittoria, del nome più discusso dell’anno: Donald Trump.
I primi assaggi di primarie tra i repubblicani sembrano favorire la ricandidatura dell’ex presidente, creando un paradosso kafkiano, ovvero Trump che nel 2024 potrebbe varcare due porte: quella della Casa Bianca o quella del carcere. L’opzione più grottesca è la terza: entrambe. In quel caso ci sarebbe il rischio di una tensione sociale potenzialmente più pericolosa di quella che ha causato l’assalto a Capitol Hill nel 2021. Un Trump eletto e incarcerato aizzerebbe gli statunitensi contro la Corte Suprema, i democratici e chissà chi altro, di fatto creando una versione del terzo millennio della guerra civile americana. Anche qui mi viene difficile fare la morale, visto che per un ventennio abbiamo avuto Silvio Berlusconi che ha attaccato la magistratura solo perché, in quanto eletto dal popolo, sembrava credere di avere un diritto divino all’immunità giudiziaria. Non si è arrivati alla scena finale de Il Caimano di Nanni Moretti, ma quasi. Negli Stati Uniti con Trump, avendo in mente il precedente del Campidogloio, lo scenario potrebbe essere ancora più apocalittico, a meno che il tycoon non venga fermato dalla giustizia prima del voto.
Anche lo Stato più popoloso del mondo, l’India, andrà al voto, con Narendra Modi destinato al terzo mandato. Nazionalista fino al midollo, Modi parla di Bharat e non di India volendo di fatto zittire le voci esterne all’induismo. A proposito di primi ministri o presidenti accentratori di poteri, poi, spostandoci un po’ più vicino a noi, la formalità delle elezioni in Bielorussia terrà molto probabilmente al potere Lukashenko, che continua a incarcerare gli oppositori con il beneplacito di Putin.
Si vota anche in Iran, nazione notoriamente allergica alla democrazia, ma sarà più una faccenda religiosa tra ayatollah che una vera e propria decisione popolare – non che ci si potesse aspettare molto altro. Ogni tanto, però, nel mondo sbucano fuori anche notizie positive. Per esempio, la Somalia avrà dopo 55 anni le sue prime elezioni con suffragio universale, ed poi è da rimarcare anche una novità significativa in Messico: essendo le due principali candidate Claudia Sheinbaum e Xòchitl Gálvez, sarà eletta la prima presidente donna della loro Storia. Un po’ come è successo da noi in Italia – seppur Meloni non avesse avversarie all’epoca – ma auguriamo a loro maggior fortuna.
Per ora ci siamo concentrati sul futuro, ma la prima significativa elezione del 2024 è già avvenuta: quella in Taiwan. La vittoria di Lai Ching-te, autonomista della prima ora, ha già creato frizioni tra Stati Uniti e Cina, con quest’ultima che si è affrettata a ribadire che “l’unificazione è comunque inevitabile”. È questo il tratto che caratterizza quasi tutte le elezioni di quest’anno: non si vota unicamente per la politica interna di un Paese, ma per mantenere o cambiare gli equilibri internazionali. Così, il voto in una nazione può incendiare gli animi dall’altra parte del mondo, e ciò che potremo individuare dai risultati delle urne sarà la direzione che sta prendendo il mondo. Il sentore è quello della pendenza sempre più netta a destra, per lo meno negli Stati dove destra e sinistra hanno ancora un senso di contrapposizione – soprattutto se la destra in questione è estrema. Lì dove invece le logiche sono diverse e i partiti non esistono o sono estensione dell’autocrate di turno, sarà utile verificare l’effetto domino scaturito dall’esito di un conflitto e dal sostegno estero a uno dei Paesi in guerra. Quindi è probabile che gli ucraini siano più preoccupati per le elezioni negli Stati Uniti che per quelle improbabili in casa propria, se Trump dovesse tornare al potere e intrallazzare nuovamente con l’amico Putin. Forse però dovremmo dirlo ad alta voce invece di tergiversare: si stanno già creando gli schieramenti di un’eventuale futura terza guerra mondiale, e solo i rapporti tra i singoli Stati, insieme alla tenuta dei processi democratici, potranno determinare se farla scoppiare o meno.
Anche noi in Italia guardiamo con più interesse fuori dai nostri confini. Se il vento dell’estrema destra dovesse soffiare con più forza anche in Germania e in altri Paesi dell’UE, Meloni verrebbe ancora più legittimata in ottica internazionale e troverebbe appoggi in un numero maggiore di Stati. Senza considerare che eventuali crisi di governo in giro per il mondo potrebbero fare aumentare ulteriormente il numero delle elezioni. La sensazione è che nella migliore delle ipotesi lo scenario politico resterà lo stesso, e già adesso non stiamo vivendo una situazione confortevole. Nella peggiore, gli estremismi inasprirebbero odio, violenza e intolleranza a larga scala, con il rischio concreto di assestare un altro colpo a un sistema democratico già di per sé instabile. Quindi ancora più tensioni e minacce. È un’era cupa un po’ ovunque, e all’orizzonte non sembrano esserci inversioni di rotta. L’ottimismo del 2024 come anno più democratico della Storia si tramuta in una disillusione per chi è prossimo alla resa e in un’ultima battaglia per chi è conscio che è in gioco la democrazia stessa e che non possiamo consegnare il nostro futuro a chi vuole smantellarla.