Nel 2019 Time inserì fra i propri 100 Next dell’anno, “le persone che stavano modellando il futuro”, Chanel Miller, da poco allo scoperto dopo aver sino a quel momento utilizzato lo pseudonimo Emily Doe. Nel giugno di tre anni prima Chanel si era alzata in un’aula di tribunale e, rivolgendosi direttamente al suo stupratore, aveva pronunciato una dichiarazione pubblica tanto fondamentale nel modificare la sensibilità comune da diventare virale su Internet, arrivando a essere letta decine di milioni di volte. Miller aveva subìto una violenza sessuale mentre era ubriaca e in stato di incoscienza, dietro a un cassonetto dei rifiuti, fuori da una festa alla Stanford University. Brock Turner, giovane, bianco, benestante, con forti speranze di entrare nella squadra olimpica americana di nuoto, venne condannato a soli sei mesi di carcere e ne scontò a malapena tre, fra le proteste generali. La pena fu talmente mite da far mettere sotto inchiesta il giudice del processo, ma di fatto fu tale da proiettarlo nel registro dei sex offender. Il padre di lui domandò incredulo come si potesse rovinare l’esistenza di suo figlio per “20 minuti di indiscrezione”.
Questa storia ci aiuta a capire perché si stia parlando così tanto di Una donna promettente, scritto e diretto da Emerald Fennell – nei nostri cinema dal 24 giugno – e perché risulti così disturbante per il pubblico. Il film è già stato definito pressoché ovunque il revenge movie dell’era del #MeToo. Nei revenge movie la sete di rivalsa dei protagonisti è per definizione debordante ed eccessiva, e la colpa originaria degli antagonisti acclarata, indiscutibile e sempre presente sullo sfondo, in questo caso però, questo genere si arricchisce di sfumature che lo trasformano in un’opera molto più complessa. La protagonista Cassie, interpretata da Carey Mulligan, devastata dal suicidio della sua migliore amica Nina, stuprata ai tempi dell’università mentre era ubriaca e caduta in depressione nell’indifferenza di tutti, ha infatti l’abitudine di fingersi semi-incosciente nei locali notturni per poi sconvolgere con la sua sobrietà e le sue domande gli uomini che ogni volta si sono offerti di riaccompagnarla a casa, meditando altri intenti. Non solo, è anche in caccia di coloro che all’epoca non hanno fatto nulla per la sua amica.
Come la dichiarazione di Chanel Miller intendeva spiegare il trauma dello stupro anche in una persona non del tutto cosciente al momento dell’evento, confutando punto per punto le credenze di chi ne misconoscesse la gravità, così il personaggio di Carey Mulligan ribatte ai comportamenti di coloro con cui entra in contatto con proporzionalità di effetto. Ne risulta così una sorta di perfetto contrappasso attuato non col fine di ripagare un torto subito con la stessa moneta, ma di illustrare argomentazioni in maniera dialettica. Ecco dunque che ciascun passaggio della trama affronta con metodo ogni singola obiezione venga fatta abitualmente nei casi in cui la vittima era sotto l’effetto di alcol o droghe: il plausibile sconcerto – ai limiti del terrore – degli uomini che si ritrovano davanti una Cassie “sveglia” e pensante, dopo aver creduto fosse solo un corpo inerte, la dice lunga sul loro reale convincimento del suo tacito consenso; quanto fatto accadere alla tronfia vecchia compagna d’università, convinta che Nina se la fosse cercata vista la sua inclinazione all’alcol, intacca sia la falsa convinzione che se non c’è ricordo non ci possa essere grosso danno, sia l’insensatezza di considerare un’ubriacatura altrui l’alibi per uno stupro. E così via.
Una donna promettente si spinge però ancora più in là tramite la storyline di Ryan, il giovane medico con cui Cassie inizia una relazione sentimentale: quando lui la invita a casa sua dopo un primo appuntamento di molte chiacchiere e forte scambio emotivo, lei reagisce con rabbia; la proposta sarebbe chiaramente di sesso consensuale, ma nella mente di Cassie si instilla il dubbio che tutto quanto accaduto precedentemente volesse solo portare a quel fine. Dunque il film allarga in qualche modo il campo del ragionamento arrivando a riflettere anche sul tema della seduzione, suggerendo che possa essere messa in atto non come un gioco cooperativo, quale a rigor di logica parrebbe essere, ma come un gioco antagonistico, in cui uno o entrambi gli attori possano puntare a ottenere una vittoria sulla volontà dell’altro. Se poi l’altro non è nel pieno delle sue facoltà, perché sotto l’effetto di sostanze, ecco che per qualcuno possa trattarsi solo di una sfida nella quale l’avversario è indebolito, non di un’evenienza per la quale diventi imperativo sospendere la partita e rimandarla ad altra occasione.
Ciò non può far altro che aumentare il disagio con cui Una donna promettente è stato da più parti ricevuto, proprio perché osa addentrarsi senza soggezione nelle zone grigie di queste tematiche. Nell’esaustività delle argomentazioni trattate è evidente come Fennell non stia parlando solo a coloro che ritengono certi episodi delle ragazzate per le quali non ha senso “rovinare la vita di una persona” (ma di un’altra guarda caso sì), che non hanno idea del perché i campus universitari siano stati ribattezzati “terreni di caccia” o che non abbiano seguito nulla dell’evoluzione delle politiche sull’espressione del consenso come atto attivo; Fennell sta anche stuzzicando in tutta evidenza coloro che condividono gli assunti dei movimenti odierni per la parità di genere, ma al contempo temono si stia andando incontro a tentazioni di totalitarismo e “caccia alle streghe”.
La risposta “moderata” al tema della violenza su una donna da parte di un uomo o di un gruppo di uomini è che si tratti solo di “quello” o di “quegli” uomini nello specifico, pur parte di un problema socio-culturale molto vasto, ma di certo non rappresentativo dell’intero universo maschile. Una donna promettente provoca invece una certa apprensione proprio perché, senza affermare nulla di diverso da questo, sottintende che la questione sia così endemica da non poterci far liquidare con sollievo chi compie una violenza come un sottoinsieme facilmente circoscrivibile, e che non sia affatto possibile separare in tassonomie distinte due tipologie discrete di uomini, quelli a caccia di donne da abusare e sottomettere e tutti gli altri desiderosi di mettersi in relazione con l’altro sesso. Per questo chiama a una profonda e diffusa presa di coscienza maschile. Se nello scenario costruito in maniera così verosimile da Fennell è lo stesso concetto di mascolinità e di seduzione a “far l’uomo ladro”, allora lo stupro su una donna inerme – oltretutto facile da deumanizzare, perché giudicata negativamente per lo stato in cui si trova – è già inscritto nella cultura come il cogliere un’occasione.
Siamo chiamati, con una certa angoscia, a considerare la possibilità teorica che nel corso della vita un uomo commetta uno stupro durante una serata fuori, o una vacanza con gli amici, per poi passare il resto dell’ esistenza senza interrogarsi mai su quell’atto riconoscendone la violenza. Una donna promettente non sostiene che quando Cassie si finge ubriaca ai limiti dell’incoscienza si ritrovi davanti una fila di uomini pronti a stuprarla, ma che per ogni serata in un luogo in cui sono presenti degli uomini ce ne sia sempre almeno uno pronto a sfruttare la situazione. E che quest’uno, poi, tornerà alle sue quiete occupazioni quotidiane senza mostrare alcun particolare segno di aggressività o devianza sociale. Che poi Cassie si ritrovi a essere riaccompagnata a casa non solo da uomini con atteggiamento da capobranco, ma anche da tipi timidi e dai modi cortesi, rende la visione per certi versi ancora più insostenibile.
Si parla molto di rape culture – per quanto sia un concetto non privo di controversie nel pubblico dibattito – ma ancor più di “aggressività maschile”, nel commentare e dare ragione a degli stupri e dei femminicidi, come se su un sostrato di convinzioni misogine si dovesse necessariamente innestare un peculiare tratto prevaricatore, a priori non controllabile dalla collettività, per arrivare all’effetto finale della violenza, come se in conclusione fosse una tempesta perfetta di elementi sociali e soggettivi a portare al disastro. Nello scomporre lo schema identitario di un individuo fra cultura e personalità, però, non c’è contraddizione nel fatto che anche un uomo con un basso livello di aggressività possa nondimeno aver introiettato valori sulla propria valorizzazione di sé come maschio – quelli che chiamiamo per brevità mascolinità tossica – che lo inducono a vivere il rapporto sessuale con una donna incapace di esprimere un lucido consenso, o il rimanere a osservarlo per solidarietà di gruppo, come affermazione positiva della propria specificità di genere.
Una donna promettente ci chiama a una forte presa di posizione. Le sue tesi rimangono indimostrate, dato che a oggi non ci risulta che un campione statisticamente significativo di donne si sia messo a fare quello che fa Cassie nel film per valutare le reazioni degli uomini. Questa opera fa quello che dovrebbe fare qualsiasi buon prodotto artistico: induce la società da cui è germinata a riflettere. Sicuramente suscita disagio, e questa è una prova sufficiente per dimostrare che colpisce nel segno e che qualcosa deve cambiare.