
Tra il 1890 e il 1906, il Wild West Show di Buffalo Bill arrivò ben due volte in Italia, con numerose tappe lungo tutta la penisola. Nato pochi anni prima, si trattava di uno spettacolo western in cui era possibile assistere alle rappresentazioni delle gesta di cowboy e indiani d’America, alle ricostruzioni di battaglie e assalti alle diligenze. Il biglietto costava due lire, la metà per i bambini, e il “circo”, come spesso veniva chiamata la carovana dai giornali dell’epoca, arrivava a coinvolgere migliaia di spettatori. In una delle tappe romane, Buffalo Bill entrò persino nelle stanze vaticane e nella Cappella Sistina, per incontrare papa Leone XIII, a cui regalò un bouquet e un cuscino di fiori che disegnavano il suo stemma. Il suo nome, d’altronde, non era un nome qualunque, e non lo è nemmeno oggi. Basta pronunciarlo per evocare un’iconografia ben precisa, che ha contribuito a influenzare e formare l’immaginario storico e collettivo italiano del “Far West”, tra pianure e cavalli, e del mito della frontiera. È in questo amalgama, sospeso tra la realtà e il mito, che prende vita Testa o croce?, l’ultimo film dei registi italo-americani Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes di quest’anno, e che domenica 28 settembre sarà proiettato al Cinema Godard di Fondazione Prada, a Milano, seguito da una conversazione con i registi, Paolo Moretti e Daniela Persico.
All’inizio del Novecento il Wild West Show di Buffalo Bill (John C Reilly), nel suo secondo approdo in Italia, arriva a Roma, deciso a vendere agli italiani il mito della frontiera, appunto, a colpi di fucili a salve e spettacoli di cowboy. È qui che, durante una leggendaria sfida di doma tra cowboys americani e butteri italiani, Rosa (Nadia Tereszkiewicz) – giovane moglie di un ricco possidente, desiderosa di sottrarsi al suo matrimonio – si innamora di Santino (Alessandro Borghi), il buttero che trionfa nella gara. Secondo i reali racconti tramandati – da cui la trama prende ispirazione, anche se non sono sempre verificabili con precisione storica – i butteri dimostrarono infatti una grande abilità, riuscendo a domare i cavalli con maggiore maestria e in tempi più rapidi rispetto agli americani, tanto da rendere la sfida un simbolo d’orgoglio per la tradizione equestre italiana.
Dopo l’omicidio del marito, Rosa e Santino sono costretti a fuggire, ma la giustizia, corrotta e in vendita al miglior offerente, mette una pesante taglia sulla testa del giovane. Con Buffalo Bill sulle loro tracce, Rosa sogna l’America: non quella dei manifesti con i bisonti dello spettacolo folkloristico, ma quella vera, lontana. Un sogno che però è destinato a scontrarsi con la durezza della realtà e con il caso perché, come in ogni ballata western, il destino lancia una moneta del cui risultato non siamo artefici. È una storia che ci viene raccontata attraverso il diario di Buffalo Bill, un espediente narrativo per suddividere Testa o croce? in capitoli, certo, ma anche una scelta per riflettere in maniera più ampia sull’effettiva neutralità delle storie, sulla possibilità di prendere possesso della propria narrazione e di sottrarsi, in ultima istanza, alle “verità” altrui, che poco ci sembrano tali quando messe a confronto con la nostra esperienza.
Il film di Rigo de Righi e Zoppis nasce da una profonda passione di entrambi per le ballate popolari, le leggende tramandate a voce e i racconti che quando siamo bambini si confondo con la verità. Sono storie che passano di bocca in bocca, come le leggende di frontiera, dove la realtà è sempre incerta e si trasforma, diventando mito. Il loro lavoro si concentra sulle storie della tradizione contadina e sul meccanismo incompleto e imperfetto della tradizione orale che finisce per dare origine a nuovi racconti. Già in Re granchio, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes del 2021, i due realizzarono un film che sembrava provenire come da un sogno popolare, centrato sulla figura di Luciano, uomo marginale, folle e visionario costretto a fuggire da un borgo della Tuscia alla Terra del Fuoco, precipitando in un destino di violenza e fuga.
Re Granchio lavorava sull’ambiguità tra storia e leggenda, portando sullo schermo un personaggio che è al tempo stesso eroe tragico, bandito, santo e traditore, immerso in un mondo epico popolato da figure marginali e leggende locali. Il nuovo lungometraggio non è da meno, inserendosi lungo la stessa scia di ricerca. “Con Testa o Croce? abbiamo messo in scena una ballata western ambientata in Italia, un anti-western che parte da premesse classiche (il cowboy, il duello, la fuga) per poi trasformarsi gradualmente in qualcosa di più magico e surreale”, raccontano i registi. “I western sono sempre stati uno specchio attraverso cui scorgere il contesto socioculturale in cui sono stati realizzati, e questa è la nostra opportunità per fare un film che parli attraverso il genere del mondo in cui viviamo: un mondo di false apparenze, individualista, surreale, spesso ostile e malvagio, dove l’unico sentiero verso la redenzione è l’amore”.
Il mondo esterno crede erroneamente che Santino sia un assassino, a causa della taglia messa sulla sua testa, e così ben presto lui diventa un eroe popolare tra i rivoluzionari che la coppia incontra nel loro viaggio e che vogliono prendere il controllo dei mezzi di produzione. Invece di correggerli raccontando la verità, l’uomo abbraccia la fama appena acquisita, subendo una trasformazione che lo accomuna a Buffalo Bill: entrambi, infatti, indossano una maschera pubblica che poco ha a che fare con chi sono davvero. È qui che Rosa è costretta a scontrarsi con la realtà, con l’amara verità che le storie che raccontiamo a noi stessi, siano romanzi western da quattro soldi o epici racconti d’amore, sono spesso scritte dai vincitori e mistificate dai loro stessi inganni e desideri.
Proprio questo è un nodo centrale del film: Testa o Croce?, infatti, parte da un immaginario maschile ben preciso, quello dei cowboy, per decostruirlo progressivamente, smontando pezzo dopo pezzo l’eroe classico, quello a cui da sempre siamo abituati. Fino a un ribaltamento totale: è Rosa il nucleo del racconto. Santino non sa usare le pistole, non sa accogliere l’amore né riconoscere la pericolosità dei contesti in cui si ritrova, e si monta la testa appena ne ha l’opportunità. È un cowboy la cui determinazione vacilla, mentre Rosa, che riesce a restare in equilibrio senza cadere nel cliché della donna grintosa a ogni costo o della damigella in pericolo, è concisa e guardinga, persino quando spara con precisione spaventosa ai testicoli di un uomo. Sono la sua calma e il suo sangue freddo a permettere alla storia di evolversi, spostando il registro dal racconto popolare alla fiaba adulta, in cui le regole ordinarie della vita, della morte e della logica non valgono più.
La pellicola di Rigo de Righi e Zoppis non mette in discussione solo gli elementi e lo sviluppo cardine dei personaggi del western, ma il genere stesso, attraversandone le varie declinazioni storiche e sgretolandolo fino a costruire un nuovo mondo. Il western ha infatti attraversato diverse fasi evolutive, dando vita a numerosi sottogeneri che hanno riflesso i cambiamenti culturali, sociali e politici di oltre mezzo secolo. Rispetto ai western classici, il genere si è diversificato, esplorando nuove tematiche e stili narrativi: dagli anni ‘60 e ‘70, con lo “spaghetti western” dominato da Sergio Leone al “revisionist western”, che ha iniziato a metterne in discussione i miti tradizionali, passando per la declinazione “acid”, che ha sperimentato con elementi psichedelici e surreali. Il “neo-western” ha poi portato il genere nel contesto contemporaneo, affrontando temi moderni come la giustizia sociale e l’identità culturale. Testa o Croce? gioca con ognuno di essi, dimostrando come attraverso un’evoluzione continua il genere sia stato capace di di adattarsi e riflettere le trasformazioni della società, mantenendo viva la sua rilevanza nel panorama cinematografico mondiale.
Il risultato, nelle mani di Rigo de Righi e Zoppis, è un’opera che funziona come se scardinasse un algoritmo, riscrivendo la matrice di partenza per dare vita a un genere proprio, originale e già riconoscibile. Non si tratta infatti di un’imitazione del western tradizionale, né di una semplice parodia, ma di una reinvenzione radicale che mescola elementi classici con intuizioni moderne, folklore, leggenda e surrealismo, costruendo un linguaggio cinematografico unico. È un cinema che ha idee, il loro, che non teme di rompere le regole, di sperimentare con i tempi, i ritmi e i punti di vista, di giocare con i codici del genere per trasformarli in strumenti narrativi nuovi. In questo senso, Testa o Croce? non solo innova, ma rinnova, offrendo una visione che è insieme familiare e sorprendente, capace di evocare il mito della frontiera e al tempo stesso di spingerlo in territori inesplorati: più complessi, più poetici. Come in ogni buon racconto western, però, tutto si decide con il lancio di una moneta: testa o croce, le possibilità si spalancano davanti a noi e ci ricordano che il destino può oscillare tra vittoria e sconfitta, tra ordine e caos. Ma, soprattutto, che spesso la verità, almeno la nostra, si nasconde proprio in ciò che speriamo mentre la moneta vola in aria.
