Il cinema, come quello del MUBI Fest, ci dà modo di capire che vita stiamo vivendo - THE VISION
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A dicembre Milano mi piace sempre più del solito (nonostante l’aria purtroppo come sappiamo tutti peggiore in questa stagione), è come se il freddo a livello visivo le donasse particolarmente: i profili severi dei suoi palazzi di pietra appaiono ancora più algidi ed eleganti, e le luci sembrano brillare un po’ di più; si cammina per le strade sentendosi in un romanzo di Scerbanenco, in una vecchia canzone, o come dentro a un film. A dicembre si pensa all’inaugurazione della stagione alla Scala, e ai balletti, in primis allo Schiaccianoci, ma quest’anno l’atmosfera si carica di una nuova suggestione, legata a un’arte decisamente più moderna: il cinema. A Milano infatti dal 13 al 15 dicembre all’ADI Design Museum si terrà la prima edizione italiana del MUBI Fest.

MUBI ha deciso di continuare nel suo percorso di messa a terra dal mondo virtuale a quello reale, con un festival vero e proprio, in cui atterrare, incontrarsi, scambiarsi e condividere idee, e soprattutto immergersi nella magia della proiezione, quando in sala si fa il buio, e parte la sigla e iniziano le storie, in cui calarsi da soli o magari con una compagnia speciale. Perché il cinema è un po’ come il mare, oggi più che mai non ci si porta mica chiunque, e quei festival che abbiamo passato con certe persone, non importa quanto tempo abbiano poi passato nella nostra vita, ce li ricorderemo per sempre, per via di qualche strano fenomeno possibile solo al cinema. Davanti allo schermo, in quel silenzio elettrico che precede ogni inizio, si sente subito l’energia di chi ci sta a fianco. Ma non divaghiamo. Questi tre giorni proporranno un viaggio immersivo nel cinema d’autore, come una parentesi d’ossigeno tra i cinepanettoni, con anteprime, talk, installazioni e dj set. Insomma, a quanto pare il MUBI Fest sarà un luogo in cui parlare della filmografia di Aki Kaurismäki come se fosse normale farlo.

Aki Kaurismäki

Tra i titoli più attesi c’è Queer di Luca Guadagnino – tratto dall’omonimo romanzo autobiografico pubblicato nel 1985, ma scritto tra il 1951 e 1953, da William S. Burroughs – con uno straordinario Daniel Craig che lascia lo smoking di James Bond per esplorare le complessità e le ombre del desiderio e della sessualità. Per quelli a cui piace strano verrà proiettato anche Grand Theft Hamlet, un’opera girata interamente in-game che trasforma il capolavoro di Shakespeare in un’esperienza visiva che promette di essere tanto innovativa quanto folle. Sarà presente anche il co-regista e protagonista, Sam Crane, per raccontare cosa passa nella mente di chi decide di dirigere un adattamento di Amleto all’interno di videogame. Se come me siete appassionati di gaming e/o reduci dalla lettura di Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow di Gabrielle Zevin direi che non dovete farvelo scappare. Inoltre, ci sarà la possibilità di rivedere sul grande schermo The Fall, girato da Tarsem Singh Dhandwar nel 2006 e diventato istantaneamente un cult grazie alle scenografie mozzafiato e all’estetica di grande impatto – che se già sullo schermo 13 pollici lasciano il segno figuratevi proiettate su diversi metri di superficie. The Fall parla del potere della narrazione nel costruire la nostra esistenza, nel tessere legami profondi con gli altri e anche nel sanare i nostri traumi, ipnotizzandoci grazie a un’estetica e un montaggio capaci di trasportarci in una dimensione completamente altra e lontanissima, eppure profondamente intima e vicina alla parte più fragile e autentica che custodiamo.

Queer
Grand Theft Hamlet

MUBI FEST offrirà anche un mix di ospiti di tutto rispetto, che spaziano da grandi nomi del cinema ai talenti emergenti, oltrepassando il cinema e arricchendolo con la musica e le arti visive. Tra i nomi emergono Alice Rohrwacher, Luca Marinelli, ma anche Francesco Bianconi e Margherita Vicario. La contaminazione tra arti visive e musicali sarà uno dei pilastri del festival, con concerti e dj set firmati da artisti come N.A.I.P. e Ciao Discoteca Italiana. Per chi ama le storie di debutti e “prime volte” la rassegna omonima punta proprio a celebrare i migliori esordi del cinema italiano degli ultimi dieci anni, con Irene Dionisio, Yuri Ancarani e Tommaso Santambrogio che racconteranno come hanno fatto a trasformare le loro prime idee in opere che sono state capaci di lasciare il segno.

Alice Rohrwacher

La sezione “Piccoli Film, Grandi Nomi” è invece un tributo al cortometraggio d’autore, con opere di registi come Sofia Coppola, Bong Joon-Ho e Aki Kaurismäki. Perché non serve girare un film di tre ore per raccontare qualcosa di memorabile, così come non serve scrivere un romanzo di 600 pagine o una sinfonia di un’ora. L’intensità artistica e la capacità di lasciare il segno seguono regole non scritte e probabilmente immisurabili con i nostri strumenti scientifici, hanno più a che fare con l’alchimia, se non proprio la magia tout-court. Infine, “Millennial sull’Orlo di una Crisi di Nervi” (sì, si chiama proprio così, e sì, sta proprio parlando di noi, non possiamo certo negarlo, noi che odiamo i film doppiati e che amiamo le matinée, ma pure le pomeridiane e che pure non sappiamo difenderci tanto bene dalla vita), una rassegna che esplora le ansie generazionali con titoli come il piccolo cult generazionale Shiva Baby e My First Film. Perché, diciamocelo, nulla rappresenta meglio i Millennial di una protagonista che piange disperata mentre cerca di evitare i parenti invadenti a un funerale.

My First Film

MUBI FEST vuole impegnarsi a combinare alta cultura e accessibilità, rifuggendo la spocchia e l’arroganza che a volte accompagna il cinema d’autore. MUBI FEST offre semplicemente e finalmente uno spazio per chi ama i film premiati a Cannes, ma anche per chi cerca qualcosa di nuovo, come una discussione sulla gestione del glucosio post-film (sì, a quanto pare succederà davvero, d’altronde ormai chi non è ossessionato dal glucosio?). In un periodo in cui davvero ci sentiamo sul baratro della crisi di nervi, data dall’avvicinarsi del Natale e dalla gimkana delle mille deadline che si accatastano e si accavallano prima della pausa invernale, questo festival sembra tenderci una mano, darci l’occasione per procrastinare ancora un po’, a fin di bene, dimenticandoci di tutto il resto e immergendosi per tre giorni al sicuro del buio delle sale, circondati da persone che amano ciò che amiamo, che si emozionano per ciò che ci emoziona, e con cui condividiamo la stessa lingua, la stessa visione. È l’occasione perfetta per rallentare, immergerci nella bellezza del cinema e prenderci il tempo per farci magari un paio di domande su come stiamo vivendo le nostre vite, se siamo felici, dove stiamo andando, o dove vorremmo andare, cosa vorremmo fare per essere ciò che vorremmo essere. E chissà che la magia che ogni volta si compie in sala non sia in grado di portarci anche quella risposta che cercavamo da tempo. Chissà come. Milano ha bisogno di occasioni così, per creare comunità a partire da una delle poche grandi e brucianti passioni che ci sono rimaste, e che continuano a segnarci e darci forma, a raccontarci, a farci diventare ciò che siamo: il cinema.


 

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