La scorsa estate ho trovato una scatola di diapositive vecchie di venticinque anni che non avevo mai visto. Erano sommerse da qualche parte in casa dei miei genitori e per colpa del disuso del supporto, tra proiettori e incastri, nessuno le aveva più tirate fuori. Centinaia di fotografie della mia infanzia, ma soprattutto, centinaia di fotografie dei miei genitori alla mia età di oggi. È stato emozionante ricostruire un pezzo sommerso della mia vita, risvegliando ricordi sopiti grazie ai colori vividi di quegli scatti, ma più di ogni altra cosa, a toccarmi è stato sentire la vicinanza anagrafica, e di conseguenza esistenziale, con due persone che do per scontato siano sempre state più grandi di me. So bene che anche i miei genitori sono stati bambini, figli a loro volta, poi adolescenti, ventenni, eccetera ma la sincronia che si risveglia quando ci si tuffa in una testimonianza visiva ha una risonanza diversa con l’idea non solo del tempo che passa, ma anche del proprio invecchiamento. E in tutte quelle sere che ho trascorso davanti al proiettore a recuperare la memoria e ad acquisirne una nuova, un pensiero mi ha accompagnata: come vorrei anche solo per un giorno che i miei genitori avessero trent’anni oggi. E chissà che effetto farebbe, essere coetanei dei propri genitori.
All Of Us Strangers, nella sua versione italiana Estranei, di Andrew Haigh, è senza ombra di dubbio un film sulla morte, sull’amore e sulla solitudine. Sono questi i temi centrali che affrontano i due protagonisti, Adam e Harry, interpretati da Andrew Scott e Paul Mescal, ma per quanto mi riguarda, sebbene siano fondamentali, non sono ciò che di questo film mi ha colpito di più. La storia di Adam, sceneggiatore televisivo che si trasferisce in un nuovo condominio alla periferia di Londra, ancora vuoto e in attesa di riempirsi di altre presenze che lo rendano un posto umano, è quella di un orfano che prova per la prima volta a esorcizzare il dolore della sua perdita mettendola per iscritto, ma è anche il racconto di un uomo adulto che si ritrova in maniera surreale a trascorrere intere giornate con i suoi genitori, in una nuova dimensione in cui non sono morti, e tutti e tre hanno la stessa età. È un cortocircuito spazio-temporale dentro il quale Adam precipita, alla ricerca di elementi del suo passato, nel tentativo di ricostruire la sua infanzia spezzata dalla cosa peggiore che possa succedere a un bambino, ossia la perdita improvvisa e simultanea dei propri genitori.
Anche Adam parte da una vecchia foto. Sono immagini dei primi anni Ottanta che ritraggono una villetta della periferia residenziale londinese, il luogo dove è cresciuto e da cui poi è andato via dopo che la sua vita è stata stravolta dagli eventi. L’Adam del presente decide di prendere un treno e tornare dove tutto è iniziato, in solitaria, consapevole di poter trovare un luogo completamente diverso da come lo ricorda lui. Contro ogni previsione, il protagonista scopre che la casa in cui è cresciuto è rimasta identica a com’era più di trent’anni prima e proprio mentre sta girando per il quartiere dove è cresciuto, un uomo gli si avvicina. Noi non lo sappiamo ancora, ma quel ragazzo, pochi anni più piccolo di Adam, è suo padre: gli abiti sono congelati in quel periodo storico che abbiamo intravisto dalla foto, la musica che ascolta è la stessa di quando Adam era piccolo, l’intimità con cui si parlano lascia intendere che si conoscano da sempre. Non è chiaro però quale sia il legame tra loro due e come mai questo sconosciuto riconosca all’istante il protagonista, e non è chiaro nemmeno chi sia la donna da cui lo porta.
Non passa molto tempo prima che diventi lampante dove si trova Adam. È a cena con i suoi genitori, cristallizzati nell’aspetto risalente giusto a un attimo prima della morte, con le sembianze che vivono nei ricordi del loro bambino, oggi adulto. Non sappiamo se si tratta di un’allucinazione, di fantasmi, di una sorta di portale dentro cui Adam è finito, in un sogno magari, o uno stato confusionale. Sappiamo solo che giorno per giorno Adam torna a trovarli, aggiornandoli sulla propria vita, facendo con loro coming out e incassando due reazioni molto diverse, ma entrambe figlie del periodo in cui le loro vite si sono interrotte, un momento storico in cui essere omosessuali poteva avere conseguenze sociali molto diverse da oggi. Voleva dire rimanere soli, come dice la madre di Adam, stupita e un po’ vergognata da questa confessione, evidentemente influenzata dal clima di anni in cui le battaglie per l’uguaglianza e i diritti del mondo LGBQT+ sono a uno stato iniziale. Ed è nel confronto tra coetanei che Adam ritrova la vicinanza con i suoi genitori, andati via troppo presto e ora presenti in questa strana forma evanescente, non solo attraverso una dolce regressione – rimettere gli abiti di quando era piccolo, rivedere la sua stanza ferma nel momento in cui è stata lasciata, andare nel loro ristorante preferito – ma anche attraverso confessioni dolorose, e la condivisione di tutto ciò che la loro morte, per lui, ha significato.
Il percorso di Adam però non è solo un viaggio a ritroso nella sua infanzia congelata dal lutto. C’è Harry, un ragazzo più giovane, anche lui inquilino di questo nuovo condominio ancora spopolato, freddo e silenzioso, che arriva a rivoluzionare la sua esistenza. Mentre Adam prende il treno ogni giorno per andare a trovare i fantasmi del suo passato, Harry lo porta nel presente, nella carnalità di una vita fatta di desideri, piacere e sentimenti. Nonostante la ritrosia del protagonista, Harry riesce a intrufolarsi nella sua vita, accompagnandolo nella dimensione liberatoria della sottocultura queer londinese, nei club; e attraverso l’uso della ketamina, Harry conduce Adam in una catarsi collettiva, vissuta come una sorta di estasi mistica, uno stato allucinatorio pari a quello che potrebbe star vivendo con le visioni dei suoi genitori, ma che non sappiamo da dove derivi. L’amore che nasce tra i due diventa così un contraltare del dolore e della morte di cui è fatta l’altra metà della vita di Adam in questo viaggio a ritroso nel suo passato.
Tra i vari commenti che si possono fare su All Of Us Strangers, c’è la critica al fatto che due attori belli e perfetti come Andrew Scott e Paul Mescal non sono adatti a raccontare verosimilmente una storia di solitudine e alienazione. Al contrario, credo invece che la scelta di Scott e Mescal sia in perfetta linea non solo con l’estetica di Estranei, un film che, al di là della trama, ha uno stile e una forma molto eleganti e ricercati, sia per la colonna sonora che per i costumi, che per la ricostruzione dello scenario primi anni Ottanta. In particolare, trovo interessante e puntuale la scelta di Mescal che, per la seconda volta in poco tempo, si trova in un film che ha come tema quello dell’incontro con i propri genitori in una dimensione surreale che li mette sullo stesso livello dei figli, alla stessa età, Aftersun. Questa sovrapposizione di piani temporali e di pezzi di passato che ritornano, perfettamente preservati, non è una novità neanche per il regista, Andrew Haigh.
Nel suo film del 2015, 45 Years, il regista inglese racconta la vita di una coppia, Kate e Geoff, che si appresta a festeggiare i quarantacinque anni di matrimonio. L’organizzazione della festa però viene interrotta da una notizia che sconvolge Geoff: il corpo della donna con cui stava cinquant’anni prima, morta in un ghiacciaio svizzero mentre stavano facendo una passeggiata insieme, è stato ritrovato intatto. Da questa rivelazione comincia il viaggio nel passato non solo di Geoff, ma anche di Kate, follemente gelosa di questa presenza, un vero e proprio fantasma che infesta il loro amore ormai più che consolidato, portando dubbi e incertezze. In modo diverso da All Of Us Strangers e da Aftersun, 45 Years mette in scena l’incontro con qualcuno che non c’è più, riportato alla vita tramite una semplice fotografia che invade la casa di Kate e Geoff e nella possibilità concreta di vedere un corpo che è rimasto identico, mentre tutti loro sono invecchiati.
Non so se questo filone di racconto che mescola i piani della vita e della morte attraverso le immagini sia qualcosa di particolarmente attuale proprio grazie agli strumenti che abbiamo per immortalare il presente in ogni momento e per ricercare nel passato. Grazie alla tecnologia contemporanea, qualsiasi foto di qualsiasi persona è in potenza una fonte rintracciabile sul web, che è diventato un archivio globale e accessibile di tutte le informazioni che l’essere umano ha accumulato nei millenni. Forse è anche per questo che ritrovare una vecchia scatola di diapositive, in un’epoca in cui la distanza tra la memoria e la possibilità di accedervi è così breve, sembra un evento così pregno di significato, non solo per ciò che le diapositive contengono, ma anche per il modo complesso e inattuale in cui queste si possono guardare. Estranei, nella sua tristezza alienante e nei suoi tratti più surreali, mi ha ricordato la sensazione che ho provato nell’immergermi in un passato che mi appartiene ma che mi è anche estraneo, appunto. Un passato che, tramite le immagini, nel caso più verosimile, o tramite la forma di un fantasma, nel caso della finzione di un film, può vivere nel presente.