Sono passati 21 anni da quando il ventiseienne cineasta Richard Kelly ha scritto e diretto Donnie Darko, film su un adolescente problematico calato nel contesto della science fiction. La pellicola uscì nelle sale statunitensi a ottobre, solo un mese dopo gli attentati dell’11 settembre, e la presenza di un disastro aereo nel film fu la principale causa che ne decretò l’insuccesso. Non era un buon momento per mostrare il motore di un aereo che cade su una villetta monofamiliare e così l’incasso al box office statunitense fu di appena 500mila dollari, a fronte di un budget produttivo di sei milioni. La critica però lodò in maniera convinta il film di Kelly e il tempo le diede ragione: pochi anni dopo, grazie al passaparola, Donnie Darko resuscitò nel mercato home video e finì per essere presentato nel 2004 alla Mostra del cinema di Venezia nella sezione Venezia Mezzanotte per poi essere distribuito lo stesso anno anche nelle sale italiane.
Con tutta la genuina foga dei suoi ventisei anni, Richard Kelly fece una grande scommessa decidendo di non farsi guidare dagli stilemi del cinema teen e pescando a piene mani dalla narrativa di fantascienza. Il giovane regista mescolò in un calderone di pellicola una videocassetta di Breakfast Club di John Hughes, simbolo del cinema adolescenziale statunitense anni Ottanta, e un cofanetto di Twin Peaks di David Lynch, arricchendo il tutto con alcune sue personali rivisitazioni di celebri teorie scientifiche. La principale omaggiata nel film è quella dei ponti di Einstein-Rosen, più comunemente noti come wormhole, cunicoli spazio-temporali che consentono di viaggiare istantaneamente da un punto all’altro dello spazio e del tempo. Teorie dal grande fascino ancora oggi, tanto da essere il motore narrativo di Interstellar di Christopher Nolan che, per realizzare il suo film, ha collaborato anche con il fisico teorico Kip Thorne (Nobel per la fisica nel 2017).
Non c’è molto di scientifico, invece, in Donnie Darko, se non le potenti suggestioni offerte dai portali spazio-temporali e dagli universi tangenti custoditi in un libro fittizio creato per la trama del film stesso: La filosofia dei viaggi nel tempo di Roberta Sparrow. Una volta amalgamati questi elementi così eterogenei, Kelly li ha contaminati con quelle che sono, per un ventiseienne dei primi anni Duemila, delle influenze inevitabili: la disillusa incazzatura del periodo grunge e il nichilismo dominante nella narrativa americana anni Novanta che trova in Fight Club di Chuck Palahniuk e American Psycho di Bret Easton Ellis i suoi manifesti più rappresentativi. In Donnie Darko si respira questa atmosfera grazie alla foga creativa di Kelly che ha dato vita a un singolare mash-up: un film cupo focalizzato sul disagio adolescenziale che però sembra spesso un episodio di Ai confini della realtà.
Il disorientamento del giovane liceale Donnie Darko viene trasferito sugli spettatori già dalla prima scena del film: sta albeggiando e il protagonista si risveglia in pigiama nel bel mezzo di un sentiero collinare, con la sua bicicletta adagiata sul ciglio della strada. Donnie torna pedalando verso casa, fornendoci così una panoramica della piccola cittadina di Middlesex in Virginia. Le strade sono ordinate e deserte e, mentre il padre di Donnie sta sistemando il prato, in sottofondo si fa strada The Killing Moon, brano tra i più celebri degli Echo and the Bunnymen. La scelta di The Killing Moon ammanta immediatamente la pellicola di un’atmosfera tipicamente anni Ottanta, ma è anche una sorta di inside-joke: bunnymen infatti vuol dire “uomo-coniglietto” e il personaggio simbolo del film è proprio Frank, un misterioso individuo che indossa un sinistro costume da coniglio. Frank si manifesta ripetutamente a Donnie, rivelandogli che mancano solo 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi alla fine del mondo: cifre la cui somma è 88, come l’anno in cui è ambientato il film.
A partire dai primi minuti accompagnati dagli Echo and the Bunnymen, la colonna sonora del film è un susseguirsi di pezzi molto evocativi, che vanno dai sintetizzatori di un classico come Love Will Tear Us Apart dei Joy Division a quelli di Head Over Heels dei Tears For Fears. A spiccare è anche la malinconica soundtrack originale realizzata da Michael Andrews che chiude il film con una cover di Mad World dei Tears For Fears cantata da Gary Jules. Il riarrangiamento realizzato appositamente per Donnie Darko è diventato cult a sé stante, ormai conosciuto come una vera e propria icona melodica della tristezza, ed è stato riutilizzato in decine di film, serie televisive, nella pubblicità del videogioco blockbuster della Microsoft Gears of War e, di recente, è diventato colonna sonora del video meme virale in cui un ragazzo allo stadio viene annichilito dalle chiacchiere della sua fidanzata.
Anche grazie a una colonna sonora molto azzeccata, Richard Kelly riuscì a richiamare alla perfezione le atmosfere degli anni Ottanta senza ricorrere al citazionismo ammiccante di Stranger Things, ma raccontando la realtà scolastica e sociale di una piccola cittadina sullo sfondo del duello per la Casa Bianca tra il repubblicano George Bush senior e il democratico Michael Dukakis, fonte di dibattito tra il padre di Donnie (pro Bush) e la sorella (pro Dukakis).
Middlesex è presentata quasi come un non-luogo, un microcosmo alienante dove tutti, protagonista escluso, sembrano recitare il ruolo che la società impone loro. È una città ipocrita e medio borghese, terreno fertile per il predicatore laico Jim Cunningham e le sue Vhs motivazionali new age. Interpretato dal Patrick Swayze di Dirty Dancing, è considerato un maestro di vita persino dal preside della scuola di Donnie e da alcuni membri del corpo insegnanti. A questo proposito lo stesso Kelly ha dichiarato di aver visto nel suo film un mezzo per denunciare il sistema educativo statunitense, da lui giudicato troppo repressivo. Donnie, infatti, è un ragazzo insubordinato per gli stilemi della società in cui è costretto a vivere e, seguendo i “consigli” del coniglio Frank, mette in atto gesti vandalici che finiscono però per portare alla luce la falsità che nasconde il perbenismo dei suoi concittadini, come quando l’incendio in casa di Cunningham finisce per svelare che il motivatore puritano è in realtà un pedopornografo.
Nonostante la tematica adolescenziale sia il cuore della vicenda, Donnie Darko ha l’aspetto di un mistery fantascientifico. Il film si svolge come un loop durante l’intero mese di ottobre del 1988 e lo fa con un approccio molto peculiare alla questione dei viaggi nel tempo e degli universi tangenti. La filosofia con cui viene affrontato l’inflazionato espediente del what if è molto originale (viene approfondita soprattutto nella director’s cut del film più lunga di venti minuti), ma la principale astuzia di Kelly è stata la scelta di presentare il viaggio di Donnie come una delirante sogno lucido con tanto di psicoterapia e sedute di ipnosi. Un viaggio, però, di cui è impossibile decifrare le coordinate e gli obiettivi fino alla conclusione del film.
Proprio il finale è un altro dei suoi principali punti di forza. Per quanto compiute, le ultime scene di Donnie Darko sono circondate dall’ambiguità. Collasso del multiverso, universi tangenti che non dovrebbero esistere, fine del mondo, sacrificio, amore, sono tutti elementi che mettono Donnie di fronte a una scelta dolorosa, ma resta un interrogativo: Donnie al termine di quell’ottobre del 1988 ha davvero una scelta? La decisione finale del protagonista è figlia del libero arbitrio o la visione di Kelly è di stampo determinista ed era tutto inevitabile? Non è facile capire se il sorriso finale del giovane Jake Gyllenhaal sia figlio del sollievo o dell’inconsapevolezza. Questo è solo uno dei tanti interrogativi che lasciano acceso il dibattito su di un film che, a distanza di quasi vent’anni, offre ancora tanti spunti di discussione e che, anche per questo, ha fatto breccia nel pubblico e continua ad appassionarlo.
Ricordato anche per aver lanciato la carriera di Jake Gyllenhaal e di sua sorella Maggie (che nel film interpreta proprio la sorella del protagonista), Donnie Darko rimane l’unica opera degna di nota di Richard Kelly, il cui ultimo e poco fortunato film risale al 2009. Quello che resta oggi della sua produzione è un’esperienza cinematografica straniante e coinvolgente in cui ha usato un ponte di Einstein-Rosen per raccontare il male di vivere di un adolescente nei confronti del bigottismo borghese della provincia statunitense (e non solo) che sembra uscito dal videoclip di Black Hole Sun dei Soundgarden. Un azzardato tentativo di ibridare teen drama e fantascienza pieno di intriganti suggestioni pseudoscientifiche, elementi che hanno reso Donnie Darko un instant classic della cultura pop.