Perché essere paesaggisti non vuol dire piantare alberi in cerchio - THE VISION

C’è un problema nel Piano di Governo del Territorio di Milano. Il progetto per il Parco Orbitale, infatti, prevede l’unione della cintura verde dei parchi attorno a Milano, come il Parco Agricolo, il Parco Nord, il Parco Lambro, quelli di Forlanini, Trenno e altri, con l’obiettivo di formare uno spazio unitario che diventerebbe per dimensioni il più grande parco urbano del mondo. Questi parchi, tuttavia, hanno delle caratteristiche ecologiche molto diverse tra loro, che non possono essere dunque unificate o progettate allo stesso modo.

Bisogna inoltre tenere in conto quali sarebbero per la città le effettive conseguenze dovute alla realizzazione del Parco Orbitale. Secondo le ricerche di Vittorio Ingegnoli, Professore presso l’ESP (Environmental Science and Policy Department) dell’Università Statale di Milano, Milano verrebbe colpita da un fenomeno chiamato “Urban heat island” (UHI): la città, infatti, ha in generale una temperatura molto più alta nella sua parte interna, mentre la campagna registra una temperatura più bassa, e il movimento dell’aria avviene solitamente dalla zona più fredda verso quella più calda. La trasformazione del contorno della città da fascia agraria a parco “boscato” aumenterebbe la differenza di temperatura fra la campagna e il centro, con una conseguente crescita del trasporto di aria che raccoglierebbe le polveri delle zone periurbane, per poi lasciarle ricadere nel centro città.

Per evitare l’UHI, la città andrebbe letteralmente spaccata attraverso la creazione di cunei verdi (“stepping stones”) che penetrassero nel tessuto urbano, interrompendolo. La Regione Lombardia nel documento “Rete Ecologica Regionale e programmazione territoriale degli enti locali”, approvato con la deliberazione numero n. 8/8515 del 26 novembre 2008 (nell’allegato al documento al paragrafo 1.3), descrive la rete ecologica come un network composto da nodi e corridoi, cioè linee di connettività ambientale che possono essere costituite da fasce boschive continue o da unità di habitat discontinue – le stepping stones appunto – le quali svolgono la funzione connettiva, di distribuzione delle componenti naturali e di tutela dell’ambiente.

Perché allora il Documento di Piano della città di Milano (in particolare l’Allegato n.4, “Il prodotto strategico”) contiene dei macro errori di pianificazione – dalla previsione dell’anello verde attorno alla città, alla totale assenza di stepping stones, fino alla rappresentazione volutamente enfatizzata del verde esistente – che grazie alle esperienze maturate in alcune capitali europee, come la Green Belt a Londra, avremmo potuto facilmente evitare?

L’architetto urbanista Stefano Boeri ha previsto per la città di Tirana la realizzazione di un sistema boschivo orbitale continuo intorno alla metropoli, inclusivo di parchi e oasi naturalistiche protette. Il radiocentrismo sarà spezzato da un viale alberato, nato con il piano regolatore del 1925 di Armando Brasini. Il problema è endemico: si tratta infatti di una questione di salute del paesaggio, mentre si finisce per parlare in termini di assetto urbanistico, facendo spesso riferimento a modelli obsoleti.

Tirana 2030

Ho pensato per un istante che, chiara a tutti la lezione del razionalismo in ambito puramente architettonico, avessimo davvero cominciato a leggere il paesaggio come un “sistema in continuo movimento”, invece no, anche le piante devono fare profit. Infatti, come se non bastasse il nonsense ecologico del bosco verticale, ci mettiamo pure a piantare alberi in cerchio, augurandoci che fra trent’anni diano vita a delle vere e proprie “stanze alberate”, avendo cura del nostro senso estetico, di riconnettere il tessuto urbano attraverso un delirio di linee spezzate che tagliano il prato inverdito (e per lo più assolato), stando attenti che le radici non intacchino il delicato assetto metropolitano sotterraneo ma soprattutto curandoci di non usare specie autoctone. Non sappiamo a che altitudine esse sopravvivano, come i faggi di CityLife. Oppure lo sappiamo, ma ci è più comodo non vedere e far comunque parlare la città di sé, di quello che vuol sembrare, di ciò che deve apparire.

Un paesaggista deve sapere che la forma ha un significato ecologico oltre che architettonico: le quantità in gioco, i tipi di albero e la loro disposizione sono fondamentali per la salute del paesaggio e, di conseguenza, anche per la nostra. Oggi alcuni progettisti, ad esempio quelli dello studio olandese Inside Outside con la “Biblioteca degli Alberi” a Porta Nuova, sono abituati a inseguire solo le funzioni sociali ed estetiche a discapito di quelle ecologiche, come la riduzione dello stress ambientale, la purificazione dell’aria o la disposizione delle piante. Argomenti come la rottura dell’isola di calore e il ripristino della rete ecologica principale non sono considerati degni di essere presi in considerazione.

Rendering della Biblioteca degli alberi

Lo stesso Vittorio Ingegnoli aveva proposto in fase di gara per CityLife di utilizzare il metodo delle stepping stones: secondo la sua proposta questa soluzione avrebbe impedito l’accumulo di polveri sottili sul centro città permettendo che la rete ecologica principale venisse ripristinata e connettendo il centro città alla macchia residuale di foresta più vicina a Milano, quella di Baggio Cusago, per arrivare poi fino al Ticino. A causa dell’insicurezza politica tipica del nostro Paese molti bravi progettisti sono stati ingiustamente rimpiazzati da nomi internazionali, in un continuo svilimento della competenza progettuale italiana in casa propria. È il caso appunto di CityLife, dove il bando internazionale è stato rifatto e vinto dall’inglese Gustafson Porter, che ha optato per la realizzazione un parco tradizionale piuttosto che di un parco ecologico.

Il legame fra la salute del paesaggio e quella umana è strettissimo, eppure viene sottovalutato, insieme ai problemi che possono nascerne. Il rapporto fra patologie dell’uomo e salute del paesaggio è di solito relegato al discorso sull’inquinamento, ma in realtà fra le possibili alterazioni del paesaggio, quelle dovute all’inquinamento costituiscono solo una piccola parte. Esistono e sono tangibili anche le patologie strutturali, quelle funzionali, quelle dovute alle trasformazioni e alle catastrofi. Nell’ambito delle trasformazioni, rientra anche quella della pianificazione prevista per la città di Milano.

Sarebbe necessario ammettere di essere sulla strada sbagliata e concentrare diverse forze e discipline nello studio di ciò che ancora ci è sconosciuto. Lentamente cominciamo a capire che le piante, in realtà, sono insiemi di individui che crescono e vivono come una grande famiglia, come spiega il prof. Stefano Mancuso in “Plant Revolution”. Le piante comunicano le une con le altre e sono in grado, attraverso la trasmissione delle informazioni, di prevedere i cambiamenti dell’ambiente. C’è una pianta in particolare che è in grado di prendere le sembianze degli elementi che la circondano, la Boquilla Trifoliata, una specie vegetale diffusa in Sud America con una straordinaria capacità mimetica: le sue foglie prendono le sembianze delle foglie della pianta su cui si arrampica, mutando la propria morfologia. Le foglie della Bouquilla possono diventare più grosse o più sottili e possono persino mettere le spine, anche se questo richiede un enorme sforzo da parte della pianta.

“Perché si possa imitare qualcosa, bisogna conoscere quello che si vuole imitare,” afferma Mancuso, “E invece siamo affetti da una persistente e inspiegabile plant blindness.” La progettazione del paesaggio si basa sulla conoscenza, sulla comprensione e, spesso, sull’imitazione del paesaggio stesso, passando anche per l’approvazione dei componenti della famiglia dell’albero che decideremo di piantare. Si tratta sempre di una questione di ascolto e di rispetto: è dunque il mondo vegetale a insegnarci i principi della democrazia e dello stare insieme, non il contrario.

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