“Credo che la democrazia prosperi quando il governo può compiere legittimi passi per mantenere i suoi segreti, e quando la stampa può decidere se pubblicare quanto sa.” Questa frase, pronunciata in un discorso nel novembre 1988 a Langley, il quartier generale della CIA – che solo qualche anno prima aveva più volte tentato si intralciare il lavoro del Washington Post – racchiude tutta l’importanza e la grandezza della figura di Katharine Graham, nata il 16 giugno 1917 a New York e diventata negli anni la leggendaria editrice del Washington Post.
Mrs. Graham nel corso della sua vita non ha solo deciso se e quando pubblicare quanto sapeva. Ha deciso di rischiare il proprio futuro – e quello del Washington Post – per ribadire questo fondamentale diritto della stampa americana. Quando tutti intorno a lei le consigliavano di mollare il colpo, ritirarsi per restare una ricca ereditiera casalinga, Mrs. Graham ha risposto: “Avanti, avanti, avanti. Andiamo avanti. Pubblichiamo.” Anche se erano in pochi, o forse nessuno, a credere in lei. Non il padre, che preferirà il genero Philip Graham come suo successore al The Post. Non i suoi collaboratori, tutti uomini in un ambiente maschile e maschilista.
Eppure, quando alla fine del 1988 Katharine Graham pronuncia quelle parole, ha 71 anni ed è CEO della Washington Post Company, una compagnia proprietaria anche della rivista Newsweek, insieme a una serie di emittenti televisive e radiofoniche: un vero e proprio colosso, diventato tale soprattutto grazie alle sue scelte.
Katharine Graham cresce in ambiente decisamente privilegiato. Suo padre, Eugene Meyer, dopo aver fatto fortuna a Wall Street, diventa governatore della Federal Reserve Bank e successivamente viene nominato primo presidente della Banca Mondiale. Nel 1910 sposa Agnese Ernst, donna piena di ambizione intellettuale e artistica, ma soprattutto madre molto severa e critica, in particolare con Katharine, la quarta di cinque figli. Anche per questo Mrs. Graham non si aspetta di diventare un giorno l’editore del Washington Post, sebbene sia nata nella famiglia che lo possedeva – era stato acquistato dal padre a un’asta dopo la bancarotta causata dalla Depressione del 1929 e una stravagante cattiva gestione.
Katharine ha da sempre manifestato una passione per il giornalismo e ha anche lavorato come redattrice all’interno giornale, ma come successore del padre, nel 1946, viene designato suo marito. “A quel tempo, naturalmente, l’unico erede possibile sarebbe stato un maschio,” scriverà Mrs. Graham. Così, la sua vita scorre fino a 46 anni come quella di una ricca ma diffidente casalinga, figlia di un magnate dell’editoria, madre di quattro figli e moglie del nuovo editore del Washington Post. Ma nel 1963, mentre si trova nella tenuta di famiglia in Virginia, Philip Graham, che da anni soffre di depressione, si toglie la vita.
Solo pochi giorni dopo, Katharine Graham si trova alle prese con la prima decisione cruciale della sua vita: vendere il giornale o prenderne le redini. Nella sua biografia scriverà che è l’imbarazzo il sentimento che più l’attanaglia in quel periodo: nel parlare con i suoi giornalisti, nel trattare con i dirigenti. Sia dentro la redazione del Washington Post che nella comunità giornalistica tutta, infatti, la signora Graham è l’unica donna presente alle riunioni e alle cene. Eppure, nonostante anche i suoi più stretti amici e collaboratori le consiglino di tirarsi indietro, Mrs. Graham decide che quello è il suo posto e che è nata per quello.
Due anni dopo assume Ben Bradlee come executive editor, dando il via così alla stagione più dinamica ed eccitante del The Post. Insieme a lui crea una squadra formidabile e forgia uno staff di giornalisti e redattori la cui qualità viene per anni inseguita dai concorrenti, ma mai eguagliata. La vera svolta però è datata 1971: nel giugno di quell’anno il New York Times comincia a pubblicare alcuni documenti segreti riguardanti la guerra in Vietnam, che provano come e quanto le varie amministrazioni statunitensi abbiano mentito riguardo l’andamento della guerra. Si tratta dei cosiddetti Pentagon Papers. Dopo pochi giorni dalla pubblicazione però, un giudice federale sottopone il Times a un ordine restrittivo temporaneo: è la prima volta nella storia americana che viene imposto a un organo di informazione un blocco simile.
Nello stesso periodo, la Washington Post Company sta attraversando l’ennesimo momento decisivo della propria storia: è in procinto di quotarsi in borsa, una situazione economicamente davvero delicata che potrebbe essere compromessa perfino da uno scoop. I reporter del Washington Post decidono comunque di mettersi al lavoro per cercare di ottenere una copia dei Pentagon Papers, nonostante la minaccia di possibili ripercussioni da parte dei federali. Quando Ben Bradlee si trova finalmente fra le mani quei documenti, la decisione se pubblicare o meno può spettare solo al suo editore: Mrs. Graham. “Ero tesa e spaventata, ho fatto un lungo respiro e ho detto: avanti, avanti, avanti. Andiamo avanti. Pubblichiamo.” Dopo le prime tre pubblicazioni, il ministero della Giustizia riesce a ottenerne la sospensione, sostenendo che “gli interessi degli Stati Uniti e la sicurezza nazionale avrebbero subito un danno irreparabile dalla diffusione del dossier”. Ma il 30 giugno 1971, la Corte Suprema degli Stati Uniti autorizza il Washington Post e il New York Times a procedere. Con una maggioranza di sei a tre, i giudici ritengono che il diritto alla libertà di stampa, in forza del Primo emendamento della Costituzione, debba prevalere “su qualsiasi considerazione accessoria intesa a bloccare la pubblicazione delle notizie”.
Ben Bradlee definirà la pubblicazione dei Pentagon Papers un momento chiave nella vita del giornale. “Uno dei nostri obbiettivi inespressi,” dichiarerà anni dopo, “era quello di indurre il mondo ritenere The Post allo stesso livello del Times. Grazie a quei documenti e alla loro pubblicazione, ci siamo riusciti.” Appena tre anni più tardi, Katharine Graham guiderà il suo giornale verso quella che è ritenuta una delle più grandi inchieste giornalistiche di tutti i tempi: la serie di articoli e di pubblicazioni passate alla storia con il nome di Watergate, che costrinsero alle dimissioni il presidente Nixon. Un evento che cambierà il corso della storia degli Stati Uniti, diventando anche metafora della potenza di una stampa libera.
Mrs. Graham ha guidato The Post fino all’età di 80 anni. Nel 1998 ha pubblicato la sua autobiografia Storia Personale, con la quale ha vinto un premio Pulitzer. La regista Nora Ephron, nella sua recensione al libro, ha scritto che “La storia del suo viaggio da figlia a moglie, da vedova a donna, è una perfetta metafora della storia delle donne in questo secolo”. La storia di chi scontrandosi con un mondo che la vedeva solo come una ricca ereditiera, madre di quattro figli, e moglie di un grande editore, ha deciso andare avanti per la propria strada con incredibile tenacia. Riuscendo alla fine a cambiare quel mondo.
Avere il coraggio e la forza di uscire al gregge non è scontato, così come non lo è rompere schemi già decisi e imposti come irreversibili. Quando la fiducia in se stessi prevale sul timore della sconfitta, essere voci fuori dal coro diventa a volte un’occasione per lasciare un segno nella storia. Il racconto della vita di questo personaggio rientra nel progetto “Born Confident” sviluppato da THE VISION in collaborazione con Volkswagen, per T-Roc.
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