Da qualche mese a questa parte, Milano e il resto della Lombardia sono state tappezzate di strani cartelloni pubblicitari. “22 ottobre 2017, referendum per l’autonomia” si legge, il tutto accompagnato da quella grande rosa camuna verde che è il simbolo della Regione.
I cittadini lombardi sono stati in effetti chiamati alle urne per un referendum consultivo. “Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?”, questo il quesito referendario, promosso dal Presidente della Regione Roberto Maroni. Senza alcun tipo di quorum né risultato vincolante, la consultazione ha voluto essere uno strumento di pressione nei confronti del governo, per aprire un tavolo di trattative per l’autonomia regionale in caso di vittoria del sì. Comunque vada il voto, insomma, il giorno dopo la Lombardia si sveglierà uguale a com’era prima.
Il referendum del 22 ottobre è stato anche l’occasione per sperimentare quella che è stata una novità assoluta nel panorama italiano, e cioè il voto elettronico. Lo scorso luglio la Regione Lombardia ha firmato un contratto da 23 milioni di euro per l’acquisto di 24mila tablet destinati agli 8mila seggi allestiti per il referendum. «Cambiando i software [le scuole] potranno poi riutilizzarli per le attività didattiche», ha spiegato Maroni. La gara di appalto per la fornitura dei devices elettronici si era conclusa con la presentazione di tre offerte: quella di Smartmatic International Holding B.V., quella di RTI Indra Italia S.p.A. e quella di Lutech S.p.A. A spuntarla è stata la Smartmatic, con un’offerta ritenuta la più vantaggiosa da parte della Regione. Nei giorni successivi sono montate le polemiche tanto per la spesa sostenuta, quanto perché in molti hanno sottolineato le difficoltà di “riciclare” i 24mila tablet in sede scolastica. “Se si guarda ai prodotti che Smartmatic offre per la sua piattaforma di voto, si capisce che siamo davvero lontani da quello che è un vero tablet commerciale”, si legge su Digital Day.
Se sui costi eccessivi Maroni ha ribattuto sottolineando che «il ‘Sì’ al referendum sull’autonomia della Lombardia significa portare 27 miliardi in più ai lombardi» sotto forma di imposte che oggi finiscono allo Stato, e se sulle possibilità di riutilizzo dei tablet la Regione ha più volte tranquillizzato l’opinione pubblica, resta un’ultima zona d’ombra su cui nessuno dei promotori della consultazione si è pronunciato. Vale a dire il curriculum vitae della società Smartmatic che ha vinto l’appalto. «Smartmatic è, per chiunque si occupi di politica internazionale, il simbolo di un’opacità (aziendale e di prodotto) di cui solo Maroni sembra non essersi accorto», denuncia su Possibile Giulio Cavalli, sottolineando le controversie che hanno accompagnato la società nei vari Paesi in cui ha operato in passato.
La Smartmatic, nata Bizta, si forma a fine anni ‘90 in Venezuela per mano di un gruppo di ingegneri locali, guidati da Antonio Mugica, oggi Ceo della società. Una vecchia inchiesta condotta dal New York Times sottolineava che “la società è stata praticamente inattiva fino a quando ha ricevuto un finanziamento di 200.000 dollari da un fondo controllato dal Ministero delle Finanze venezuelano, che ha ottenuto una quota societaria del 28%”. Questo è avvenuto nel 2003 e pochi mesi dopo, continua l’articolo, “il governo ha posto un alto funzionario del Ministero della Scienza, Omar Montilla, nel consiglio di amministrazione di Bizta”.
Nel 2004, il Consiglio nazionale elettorale venezuelano, in occasione del referendum revocatorio sulle sorti del mandato di Chavez, avvia una gara d’appalto per scegliere una società che modernizzasse il sistema di voto del paese. A vincere la gara è la Smartmatic, società in cui nel frattempo è confluita la Bizta. La vittoria dell’appalto da parte della compagnia fa sorgere alcuni sospetti nell’opinione pubblica, visti i precedenti finanziamenti governativi e la presenza di personale ministeriale nel consiglio di amministrazione. Nell’agosto del 2004 viene effettuato il referendum, dove il ‘No’, favorevole a che Chávez resti alla presidenza sino al 2006, ottiene il 58,25% dei voti. Le opposizioni accusano il governo di brogli e nei mesi successivi vengono fornite prove di manomissioni del voto elettronico.
Un articolo pubblicato nel dicembre 2006 sull’International Statistical Review afferma che “la percentuale di voti ‘Sì’ contro il presidente Chávez è del 56,4%, al contrario del risultato ufficiale che è stato del 41%”. Lo studio dunque ipotizza che il risultato possa essere stato alterato da circa il 58% contro il presidente, al 58% a favore del presidente. Un altro studio pubblicato dal Journal of the Institute of Mathematical Statistics afferma che “l’analisi dei modelli di comunicazione consente l’ipotesi che i dati nelle macchine possano essere stati modificati da remoto”.
Ad alimentare i dubbi sulla società c’è poi un file del 2006 svelato da Wikileaks, dove l’ambasciata americana a Caracas afferma: “Smartmatic è un enigma […]. La società è comparsa dal nulla strappando un contratto di milioni di dollari per un processo elettorale che ha ribadito il mandato di Chavez […]. La nostra ipotesi è che ci siano probabilmente molti uomini d’affari venezuelani ben conosciuti che sostengono l’azienda e che preferiscono l’anonimato sia per la loro affiliazione politica, o forse perché gestiscono gli interessi degli alti funzionari del governo venezuelano”.
Tutte queste accuse sono state prontamente smentite dalla società, che ha negato ogni tipo di legame con membri del governo Chavista. Rapporti di agenzie di osservazione elettorale internazionali – legati a Carter Center, Organizzazione degli Stati Americani e Ue – hanno poi attestato che le elezioni del 2004 sono state giuste, accurate e conformi ai criteri di validità e affidabilità.
Alek Boyd, attivista venezuelano per i diritti umani e collaboratore di diverse università e Ong, sottolinea però come i sospetti sulla Smartmatic non si siano placati dopo il 2004. «La tecnologia elettorale di Smartmatic non è mai stata controllata in modo indipendente» mi spiega, sottolineando come l’unica volta che i tecnici hanno permesso un audit, a Filas de Mariches nel novembre 2005, hanno dimostrato che la segretezza del voto era stata compromessa. «Smartmatic è stata coinvolta in altri processi elettorali, soprattutto nelle Filippine, dove è accusata di aver ottenuto i contratti tramite corruzione e ha subito accuse di frode», continua Boyd. «Ovunque Smartmatic ha operato, è stata accusata di non garantire il rispetto delle norme di voto». Un caso eclatante è quello delle elezioni municipali di Chicago del 2006, dove a posteriori risultò che alcune votazioni vennero effettuate da persone in realtà decedute. Nelle Filippine invece, dove Smartmatic si è occupata di numerose tornate elettorali fino a quelle del 2016 che hanno eletto il dittatore Duterte, la società è finita al centro di un vortice di contestazioni relative alla vittoria degli appalti, le tecnologie utilizzate e il fatto che in certe aree alcuni bug nelle votazioni siano stati corretti ex-post, dimostrando la possibilità di intervenire sui devices da remoto.
Prima di approdare in Italia, quest’anno la Smartmatic si è occupata delle elezioni dell’Assemblea costituente in Venezuela, vinte dal Presidente Maduro. Pochi giorni dopo, il Ceo della società Mugica ha affermato che «le cifre sull’affluenza delle votazioni del 30 luglio sono state manomesse». Una dichiarazione di questo tipo è stata considerata da alcuni come la prova dell’assenza di legami tra il governo venezuelano e la Smartmatic. Ma Alek Boyd non è convinto, e vede tutto questo come una strategia societaria volta a scrollarsi di dosso le accuse accumulate nel corso degli anni. Secondo lui «è un modo quasi perfetto per uscirne puliti: “guarda, ho denunciato le irregolarità elettorali in Venezuela”, detto dalla mente di tutte le magagne elettorali nel Paese».
Se tutto questo appartiene comunque al passato, la nuova sfida per la società si chiama Lombardia. Come si legge sul sito della regione: “Il voto è espresso dall’elettore mediante apposito apparecchio elettronico che consente di visualizzare il testo del quesito referendario e le relative opzioni distinte in ‘SI’, ‘NO’, e ‘SCHEDA BIANCA'”. Poche righe più in basso si legge che la stampa della ricevuta di voto, meccanismo ideato come garanzia di sicurezza, non avverrà in tutti i seggi: “La Voting Machine è dotata di un meccanismo che può anche consentire l’eventuale stampa su carta del voto espresso automaticamente, al momento della conclusione di ogni singola operazione, possibilità prevista per le sezioni elettorali sorteggiate pari almeno al 5% degli aventi diritto in ciascuna zona omogenea o comune, individuate con decreto del Presidente”. Oltre a questo, alcuni articoli hanno sollevato il tema dei possibili attacchi hacker nei confronti della piattaforma: Carsten Schürmann, professore della IT University di Copenhagen, ha sottoposto un prodotto ormai fuori produzione, la WinVote della compagnia AVS, a una serie di attacchi e ha preso il controllo della macchina in meno di due ore. Sebbene si trattasse di un device fuori produzione – peraltro appartenente a una compagnia concorrente della Smartmatic – va sottolineato come la macchina in oggetto sia comunque stata in servizio fino al 2015.
Alla luce di tutti questi dubbi su alcune vicende societarie, hacking e rischi di brogli, ho contattato direttamente la Smartmatic. Non mi è stato detto che tipologia di device sarebbe stato utilizzato in Lombardia né se si sarebbe trattato degli stessi modelli oggetto di accuse nelle tornate elettorali degli altri Paesi: «Alla Smartmatic personalizziamo le nostre soluzioni elettorali per soddisfare le esigenze specifiche di ogni cliente», mi ha spiegato dalla Florida Samira Saba, Direttrice Comunicazione della società, che sottolinea come in Uganda, in Belgio o nelle Filippine il modello sia stato adeguato alle particolarità del singolo Paese. «Nel caso della Lombardia, abbiamo lavorato con le autorità locali per costruire un sistema di voto a schermo tattile su misura, che facilitasse il voto e il conteggio, garantendo al contempo la massima sicurezza e precisione». Quando le chiedo delle controversie che hanno accompagnato l’operato della società in passato, la direttrice non si scompone: «Dopo aver partecipato a tornate elettorali in cinque continenti, abbiamo capito che le controversie fanno parte del mondo delle elezioni».
Se queste sono state da una parte le rassicurazioni della società, Alek Boyd dall’altra ha espresso le sue perplessità sull’opportunità che questi dispositivi di voto abbiano fatto il loro ingresso in Italia e si è interrogato su come Smartmatic sia arrivata sul mercato nostrano, auspicando comunque che la sua tecnologia venga sottoposta a un controllo indipendente a tutela della democrazia nel nostro Paese.