La novità delle ultime ore è che finalmente Luigi Di Maio, leader elettorale del Movimento Cinque Stelle, ha voluto dirci se lui uscirebbe dall’Euro o no. Messo alle strette da Myrta Merlino all’Aria che tira (La7), ha ammesso che: nel caso in cui si arrivasse a un referendum; come extrema ratio; dopo averle provate tutte; se proprio l’Europa non ci volesse ascoltare… Di Maio voterebbe per uscire. Anche se le cose non stanno più come nel 2013, ha spiegato, l’Europa sta cambiando, ci sono molte opportunità… e a questo punto la Merlino, impaziente, ha cambiato argomento.
Insomma, è stata tutto tranne che una risposta categorica. Di Maio ha preferito dilungarsi in premesse, in distinguo, in quella cautela così tipica dei leader politici pre-Berlusconi. Se Di Maio è sempre sembrato tra i grillini il più morbido, diplomatico – insomma il più democristiano – Matteo Renzi tra i post-democristiani è sempre parso il più irruente: e anche in questo caso non ha perso tempo a replicare, via tweet. “Stavolta Di Maio ha fatto chiarezza, bisogna ammetterlo: lui voterebbe per l’uscita dall’Euro. Io dico invece che sarebbe una follia per l’economia italiana”.
Dunque, i giochi sono fatti: il M5S vuole uscire, Renzi vuole restare, votate di conseguenza. Nessuna sfumatura, nessuna cautela, Renzi è così. C’è un bivio – c’è sempre un bivio per lui – e lui sa sempre da che parte stare. Il M5S promette referendum, Renzi li fa. Poi al massimo li perde. Ma se Renzi sposa la causa europeista e perde, quanto margine avranno i vincitori per fingere che gli italiani non abbiano un parere preciso sull’uscita dall’Euro? Da cui la domanda: di chi deve aver più paura, oggi, un europeista? Di un leader del M5S che glissa, prende tempo, mette le mani avanti, o di un leader del PD che abbraccia convinto la causa dell’Euro, salvo che rischia di perdere le elezioni, tornare nell’ombra e trascinare con sé anche questa causa?
Beh, in fondo perché scegliere? Possiamo avere paura di entrambi.
Certo, il M5S sull’argomento dà la sensazione di giocare sporco. A parole sembra anti-Euro, nei fatti è un po’ più guardingo. Benché molte dichiarazioni di Beppe Grillo e compagnia non siano più rintracciabili sul blog, i titoli di certe pagine sono inequivocabili: per esempio se uno clicca su www.beppegrillo.it/fuoridalleuro non ci trova distinguo, non ci trova cautele, ma un bello slogan: “ORA PUOI SCEGLIERE SE VIVERE O MORIRE”. Eppure, se uno si mette a cercare qualche tirata antieurista di Grillo su Youtube può rimanere colpito da quante volte lo stesso Beppe è stato sentito gridare: “io non voglio uscire dall’Euro! Io non ho mai detto di uscire dall’Euro!” Forse Grillo non l’avrà mai detto (l’ha detto), ma senz’altro i voti degli antieuro non gli hanno mai fatto schifo. È la stessa ambivalenza che il M5S ha adottato coi vaccini, quella capacità di comunicare su più livelli e a volte lasciar passare anche qualche contenuto contraddittorio, grazie alla quale il Movimento rimane un punto di riferimento per i NoVax anche dopo aver dichiarato ufficialmente di essere a favore della “massima copertura vaccinale”.
Il punto è che l’ambivalenza e la cautela di Di Maio non sono caratteristiche di facciata che servono a stemperare i contenuti senza compromessi del M5S. Anzi: Di Maio è un buon leader del M5S proprio perché riesce a mantenere quell’ambiguità che è sempre stata congeniale al M5S. La stessa ambiguità che gli consente di attirare i voti degli sciachimisti, anche se non si trovano più dichiarazioni ufficiali del Movimento sulle scie chimiche.
Questa ambiguità la si potrebbe liquidare come uno dei limiti del M5S, che lo condanna a rappresentare il dissenso e a non trasformarlo mai in proposte politiche concrete… ma se uno si guarda un po’ intorno, nello spazio e nel tempo, non fatica a rendersi conto che le cose non stanno così. Il M5S è ambivalente su tanti argomenti, proprio come tanti grandi partiti europei, la cui forza consiste proprio nel riuscire a far coesistere dietro una stessa bandiera elettori che hanno idee diverse. Il M5S non ha una linea precisa sull’Euro? Neanche i Tories l’avevano – tant’è che hanno trasformato una lotta interna in un referendum. Già, a proposito, il famoso referendum sull’Euro.
È abbastanza chiaro che sarebbe un disastro – chi aveva ancora dei dubbi, dopo l’esempio inglese dovrebbe averli superati. Il caso italiano sarebbe ancora più catastrofico, perché non si tratterebbe di uscire da una comunità economica, ma da un’area monetaria. Ammesso che ciò si possa realizzare, sappiamo quale sarebbe l’effetto nell’immediato: risparmiatori e investitori cercherebbero di abbandonare i titoli italiani (e le banche italiane). Per fortuna che un referendum del genere è incostituzionale – no, la fortuna non c’entra niente, fu la saggezza dei nostri padri costituenti che nell’articolo 75 esclusero esplicitamente il ricorso al referendum autorizzativi alla ratifica dei trattati internazionali. Sia come sia, l’abbiamo scampata bella? Non esattamente. A dispetto di chi continua a liquidarli come novellini della politica, i pentastellati non ignorano affatto la questione costituzionale, e quando raccolsero firme per un referendum, non le raccolsero per uscire dall’Euro (quesito inammissibile), ma per modificare la Costituzione e introdurre i referendum propositivi.
Lo ripeto perché l’ho sempre trovato divertentissimo: quando misero fuori i banchetti #fuoridalleuro, i grillini non stavano davvero chiedendo un parere ai cittadini sull’uscita dall’Euro. Stavano raccogliendo firme per… proporre in Parlamento una legge che… consentisse di raccogliere altre firme per… indire un referendum sulla proposta (non vincolante!) di… uscire dall’Euro. Dove si capisce un’altra straordinaria intuizione politica di Grillo e Casaleggio: se vuoi fidelizzare i tuoi elettori, devi dare a loro degli obiettivi di massima, ma anche dei traguardi intermedi, che si possano raggiungere facilmente e che ti diano la soddisfazione del percorso compiuto. Dall’Euro non siamo ancora usciti, ma quando nel novembre 2014 i grillini riuscirono a raccogliere 50.000 firme in un week-end, non esitarono a gridare #vittoria! A quel punto l’importante non era più uscire dall’Euro o no, ma ridare voce ai cittadini o no.
A Renzi, che irride l’antieuropeismo irresponsabile degli avversari, bisognerebbe ricordare che ai tempi in cui viaggiava verso il 40% dei consensi, lui stesso non si esprimeva nei confronti di Bruxelles con parole molto diverse da quelle che adesso usa Di Maio. Anche lui sosteneva che molte cose sarebbero dovute cambiare, ed era pronto a fare la voce grossa con la Merkel se necessario. Minacciare un referendum anti-Euro è il modo in cui anche i pentastellati provano a fare la voce grossa. È un bluff pericoloso? Senza dubbio. E a questo punto i renziani ne sanno qualcosa, di bluff pericolosi. Peraltro fino all’anno scorso non avevano nulla in contrario all’idea di introdurre i referendum propositivi: anzi, era uno dei punti della riforma Boschi. Se non fosse stata sconfitta nelle urne, a quest’ora forse i grillini starebbero già raccogliendo firme per indirne uno. Quindi, sì, l’abbiamo scampata bella. Ma non grazie a Renzi, almeno fin qui.