Ammetto di aver sempre subito il fascino acqua e sapone di Alessandro Di Battista: un parlamentare giovane, bello, telegenico, che gira il mondo spinto da una travolgente joie de vivre in sella al suo scooterone. Un moderno Che Guevara con la dizione di Dawson Leery, un personaggio politico molto distante da quelli che ero abituata a vedere negli studi di Santoro. Niente a che vedere con polverosi segretari di partito, anziani brizzolati che parlano una lingua da Prima Repubblica e non hanno fatto il DAMS. Alessandro è diverso, perché non è un politico, è un cittadino che fa politica. O almeno, così si presentano lui e il suo MoVimento. Ecco, l’unica cosa di Ale Di Battista che non mi entusiasma tanto quanto la sua capacità di rendere la politica italiana una sorta di serie tv americana – di quelle doppiate che andavano in onda su Italia Uno dopo pranzo, per intenderci – è il fatto che sia uno dei vertici del MoVimento5stelle. Un piccolo dettaglio che ho scelto di lasciare da parte, perché per me Alessandro non fa politica, fa puro intrattenimento. Potevo dunque lasciarmi sfuggire l’occasione succulenta di addentrarmi nella sua ultima performance letteraria, Meglio liberi, pubblicato da Rizzoli lo scorso 23 novembre? Alessandro però, questa volta, mi ha profondamente delusa, perché mi ha tirata con l’inganno verso la sua creatura editoriale, illudendomi di poter godere dell’ennesima prova del suo talento scenico. E invece ci ho trovato ben altro. Il libro alterna i deliri di un neogenitore e le descrizioni accurate delle funzioni fisiologiche del nuovo arrivato alle accese digressioni politiche in difesa del MoVimento. Io mi aspettavo di trovarci dello spettacolo, Alessandro mi ha dato un manifesto elettorale, con l’aggravante di aver sfruttato l’occasione offerta del lieto evento per farsi largo nel cuore dei suoi fedeli supporter.
Se dovessimo tracciare una mappa semantica di Meglio liberi, i nuclei più grandi sarebbero questi: “la politica dei Palazzi”, “i pannolini di Andrea”, “il seno quintuplicato di Sahra”, “il carattere forte di mio padre”, “le malefatte del PD e di Napolitano” e dulcis in fundo “le ricette di Ale” (tra le pagine ci sono almeno una decina di descrizioni accurate dei suoi pasti disseminate). Povera illusa, io che mi aspettavo una versione dibbattistiana di Father and son mi sono invece sorbita 183 pagine d’incomprensibili voli pindarici tra culetti da impomatare (i termini sono presi in prestito dal testo), invettive agguerritissime contro vari esponenti del Partito Democratico – anche quelli meno criticati e apparentemente più innocui come Alessandra Moretti, che racconta di aver dolcemente consolato tra i corridoi del Parlamento – e melense retoriche sul valore del viaggio come metafora di libertà.
A metà tra un episodio lunghissimo e abbastanza noioso di Dawson’s Creek, in cui il giovane Dibba entra nel mondo degli adulti diventando padre e raccontando al mondo cosa vuol dire amarsi quando ci si conosce da soli tre mesi e nonostante ciò si “rimane incinti” (altra espressione presa in prestito dalla penna di Alessandro), e un libretto di propaganda in cui si affrontano i temi più disparati – dal Porcellum all’incompreso ruolo di patriota di Beppe Grillo (lo descrive così a pagina 14) – Meglio liberi è la prova che non basta un buon editor a fare un buon libro, nemmeno quando si va sul sicuro con la carta vincente del neo papà che si emoziona davanti all’ecografia del suo “fagiolino”. Il tutto poi è condito da una meticolosa scelta del tono, confidenziale, attraverso espressioni giovaniliste come “stramaledetto” e “dannatissimo”, giusto per rimanere nell’immaginario da ballo studentesco. “Ebbene io ho provato a fare lo scrittore e, forse, ci sto riuscendo” (pagina 159): per fortuna Dibba ci va cauto con le autoproclamazioni e mette quel “forse” a separare la sua intenzione dalla certezza.
Dunque, per restare al testo, mi sembra di capire che il progetto di Alessandro Di Battista, come recita il sottotitolo della copertina – “lettera a mio figlio sul coraggio di cambiare” – sia quello di porgere al suo giovane erede appena nato una guida alla vita. Immaginiamo la scena: Andrea Di Battista, ormai adolescente in età di grandi lezioni, prende in mano il libro del padre per cercarci dentro insegnamenti densi di saggezza, la chiave di lettura del mondo. Immaginiamolo mentre sfoglia il suo piccolo manuale dell’uomo libero e ci trova una descrizione accurata del seno di sua madre che, letteralmente, “scoppia”: “Dice di sentirsi come una mucca, ma io la trovo bellissima” (e quello a pagina 71 non è l’unico momento in cui se ne parla).
Immaginiamolo mentre cerca di afferrare il segreto dell’emancipazione dalla società opprimente e invece trova nero su bianco un elogio ai suoi bisogni corporei: “i suoi angelici escrementi erano piuttosto appiccicosi ma era roba di mio figlio” (pagina 45). Bene, io non so se il piccolo Andrea deciderà mai di leggere quello che promette di essere solo il primo di una serie di successi letterari del padre parlamentare, viaggiatore, scrittore, esploratore e chef. Ma se così fosse, non oso immaginare il brivido che percorrerà la schiena del Di Battista Junior quando si troverà sotto gli occhi una rappresentazione dettagliata del suo cordone ombelicale che pulsa (Andrea, nel caso volessi evitarti questa parte, ti suggerisco di non andare a pagina 177).
È risaputo che quando si diventa genitori anche un cosa insignificante come la pipì del proprio figlio può diventare degna di essere ricordata negli anni a venire. E Alessandro Di Battista, come ha già dimostrato più volte, è un animo gentile, per non dire puro: non è difficile immaginarlo sensibile ai tanti momenti colmi di emozioni che la nascita di un pargolo regala. Insomma, non è una sorpresa che si sia spinto ancora più in là con il suo spirito romanticamente retorico da zaino in spalla in viaggio per il Mondo, e non è nemmeno un caso che con l’arrivo del figlio abbia deciso di non ricandidarsi nel MoVimento per passare alla politica fuori dai Palazzi (ho perso il conto delle volte in cui viene usata questa parola nel libro), quella della gente per la gente. Ok, Andrea potrà pure comprendere che alla fine il papà Dibba stava solo esprimendo pubblicamente la sua gioia per la nascita di un “cucciolo d’uomo” e che l’entusiasmo fosse tanto forte da non riuscire a trattenersi dallo scriverci un libro. E tutto il resto? I fiumi di parole dedicati al culto della sua persona, alla propaganda anti-PD, alla demolizione di Napolitano dipinto come il “nemico pubblico numero uno” della nostra Repubblica, ai dialoghi surreali avvenuti in Parlamento riportati come una sceneggiatura di qualche commedia romantica (“Guarda che qua non è mica una gara, qua si tratta di eleggere un buon presidente della Repubblica”, si dice nel dialogo colmo di buonsenso tra il buono Di Battista e la cattiva Moretti a pagina 89)? Cosa penserà Andrea quando leggerà che suo padre ha infilato tra le lettere che gli ha scritto anche il racconto di quando, per “prendere una decisione politica” in merito alla candidatura di Roma alle Olimpiadi, chiamò in raccolta un summit con Massimo, il suo meccanico, e un think tank composto da “l’edicolante, il fruttivendolo del quartiere, un paio di parenti, un pensionato”, poi decretare che “la stragrande maggioranza dei romani sta dalla nostra parte”?
La verità è che Meglio liberi è un libro di una noia mortale perché è non è nient’altro che un racconto imbevuto di retorica grillina. Non so quali siano i piani subdoli del MoVimento5stelle riguardo alla candidatura di Di Maio, né cosa significhi veramente da un punto di vista politico la ritirata di Di Battista – che ufficialmente è motivata dalla sua irrefrenabile voglia di mordere la vita come quella famosa “famiglia danese” citata nel libro, quella che viaggia per il mondo con il bambino in spalla (del resto, come astenersi da un po’ di sana retorica sulla civiltà dei Paesi scandinavi?). Non mi sento di fare illazioni su possibili piani futuri legati a questa faccenda. Una cosa però è certa: Ale, mi hai deluso. Ti sei servito della metafora della tua paternità per raccontarti come il personaggio politico più integerrimo e incorruttibile che abbiamo in Italia, e con te tutti i tuoi colleghi pentastellati, compreso Casaleggio, “l’intellettuale disinteressato”. Hai usato la scusa del racconto tenero e goffo della tua scapestrata vita sentimentale, tra terapie di coppia e pranzi coi parenti, per servire su un piatto d’argento una lunghissima sviolinata di “controinformazione”.
Non mi pare leale, Ale, anzi direi proprio che è di pessimo gusto, molto più dei tuoi racconti stucchevoli sulle pipì, sui sederini arrossati, sulle coliche e sulle tue rustiche alle zucchine.