Il disco in vinile è un oggetto affascinante: puoi tenerlo tra le mani, ammirarne la copertina e sentire il profumo del cartoncino, leggere i testi conservati all’interno, passare i polpastrelli su quella spirale in PVC. E non l’hai ancora messo sul piatto. È lì che si sprigiona tutta la sua magia, con il calore – mi raccomando, questa è una parola chiave nella questione – di quel suono analogico – qui invece spingete bene quella g, come faceva il geometra Calboni commentando La Corazzata Potemkin.
Insomma, dopo l’ubriacatura da mp3, peer-to-peer, streaming, etc., finalmente chi ama la musica ha un modo facile per staccarsi in volata dal gruppo e conquistare un po’ di classe: comprarsi un disco in vinile – come se bastasse quello. Dimostrare di amare così tanto la musica da spenderci addirittura dei soldi, e manco pochi. Chi ascolta vinili si sente indubbiamente una spanna sopra gli altri. Il resto sono pischelli che fanno casino col cellulare sull’autobus e sfigati che la ascoltano dal laptop mentre lavorano o cazzeggiano in rete.
Io, però, sono contro il vinile e adesso vi spiego perché.
Sono da sempre un grande collezionista di dischi, ma ho vissuto l’avvento della musica online con entusiasmo: dopo aver accumulato tonnellate di plastica da esporre in bella vista, finalmente ho trovato un modo più green di ascoltare la musica. Per ogni brano che decidevo di comprare negli store virtuali non erano stati prodotti milioni confezioni, nessun camion aveva inquinato per consegnarle in negozio e io non avevo buttato via del cellophane, dopo averlo scartato.
Per cui, quando quasi una decina d’anni fa ho visto ricomparire i vinili, pensavo si sarebbe trattato di un capriccio del momento. D’altro canto, mi ero detto, chi sarebbe mai così folle da recuperare seriamente una tecnologia vecchia, scomoda e costosa, per puro vezzo? E invece è stato un ritorno sulle scene in grande stile, durato addirittura qualche anno.
Mi sono tenuto i miei dubbi per un bel po’, per la precisione finché non ho trovato un post di Benn Jordan, in cui il musicista spiegava perché aveva deciso che non avrebbe più stampato la sua musica in vinile. Fondamentalmente si era posto le stesse domande che mi ero posto anche io, ma aveva deciso di approfondire la questione. Il succo della sua riflessione era il seguente: nel 2017 i dischi si stampano con le stesse identiche tecniche e modalità che si usavano nel 1977, e il nostro pianeta non era in grado di sostenerle allora, figuriamoci oggi. Le macchine che stampano i vinili, infatti, sono le stesse del tempo, non proprio classe A nei consumi: molte sfruttano tecnologie industriali antiquate, a pressione idraulica, che comportano un enorme dispendio di energia. Ma gli stessi dischi sono quanto di più anti-ecologico possa esistere: sono ancora fatti in PVC, il cloruro di polivinile, un composto chimico che potrebbe essere riciclabile, se non fosse che farlo ha dei costi molto alti. Inoltre, le compagnie che si occupano di questo tipo di riciclo tendono a evitare di ritirare dischi in vinile, perché insieme al PVC nella loro composizione ci sono metalli pesanti e polveri sottili, o, peggio ancora, diossina, che posso sprigionarsi con gravi rischi per la salute di chi viene a contatto con queste sostanze.
Per questo non troverete mai i dischi in vinile nell’elenco dei materiali riciclabili da differenziare, e scordatevi che ve li ritirino ai centri di raccolta. Ma, in fondo, chissenefrega: i dischi stampati oggi sono capolavori assoluti della musica, quindi chi mai avrà bisogno di riciclarli? Diventeranno tutti pezzi da collezione su discogs.com. Designer annoiati vi consiglieranno di usarli in maniera creativa per ricavarne divertenti soluzioni di arredamento e decorazioni, ma pensateci bene prima di mettervi a tagliare, rompere o bruciacchiare un vecchio disco, visto che il PVC è dimostrato possa avere possibili effetti cancerogeni. No, non sto dicendo che mettere un disco sul piatto equivalga a cancro. E probabilmente sì, fa molto più male lo smartphone attraverso cui ascoltiamo gli mp3, ma la domanda, in questo caso, è: se proprio dobbiamo rischiare, in questo 2017, ci servono di più vinili o telefoni, tablet e laptop? D’altronde sono tutte tecnologie che con un singolo oggetto permettono di fare molte cose, mentre se non ci giocate anche a frisbee, con il vinile ne fate una sola.
So che siete già pronti per dire cose come “la musica è cultura”: ma se ascoltate Steve Reich a 320kbs, vi assicuro che le note restano quelle, non diventa un pezzo di Zarrillo. E no, le frequenze di differenza che credete di riuscire a sentire tra un vinile e un Flac non fanno testo, a meno che non dimostriate di essere dei delfini.
Fatto sta, qualcuno tra le righe ha ammesso l’esistenza di un problema di sostenibilità ambientale nel topic “che bello il vinile che belli i dischi”, e qualcun altro si è anche scomodato a tentare di fare qualche piccolo passo avanti: per soldi, ovviamente. Per esempio da quest’anno sono state inventate delle macchine nuove: le prime in 30 anni. Consumano meno e ci mettono soltanto 20 secondi a stampare una bella copia fumante di quello che volete.
Meno energia, meno tempo, e ovviamente materiali più vicini alla presunta sensibilità ecologica odierna – non a quella di quando la gente fumava in sala al cinema. In realtà, loro usano ancora tanto PVC. C’è chi tenta di rinunciarvi completamente, attraverso tecnologie che permetterebbero un risparmio del 70% dei consumi standard nella produzione di dischi. Certo, se a livello di qualità audio non si dovesse riuscire a raggiungere le prestazioni del buon vecchio e tossico vinile, saremmo da capo o, cosa ancora più irritante, il mercato potrebbe rifiutarlo, perché visivamente troppo diverso dal classico disco che permette di giocare a fare le cose come una volta.
Il mercato continua a espandersi, a sufficienza perché le stesse major comincino a decidere di riaprire i vecchi impianti: quelli al momento ancora attivi risultano una manciata per continente, e devono gestire l’intero fabbisogno della richiesta di mercato, lavorando no-stop e senza riuscire a rispettare i tempi di consegna (chiedete a qualsiasi piccola etichetta, lasciata sempre in coda rispetto a clienti con budget e tirature più alte).
Se c’è un momento per una nuova direzione, più sostenibile, è esattamente questo in cui gli attori in gioco sono pochi. La musica è meravigliosa, ma ci serve un pianeta sul quale continuare ad ascoltarla.