È il pregiudizio che ostacola la carriera delle donne. Non la bravura innata degli uomini.

La settimana che si è appena conclusa ha riaperto il vecchio – ma a quanto pare sempre necessario – dibattito sulla discriminazione delle donne in ambito scientifico. Il fisico italiano Alessandro Strumia, durante un seminario sul tema “Fisica delle alte energie e gender” organizzato dal Cern, l’Organizzazione europea sulla ricerca nucleare, ha presentato alcune slide che hanno fatto molto discutere. Si parlava, appunto, di discriminazione ai danni delle donne nella fisica, e più in generale nell’area Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), e il ricercatore ha affermato, davanti a una platea composta prevalentemente da giovani ricercatrici donne, che “la fisica è stata inventata e costruita dagli uomini, l’ingresso non è su invito,” aggiungendo che, se davvero esiste una discriminazione nel mondo scientifico, questa è verso gli uomini, spesso scavalcati da colleghe con meno meriti di loro, assunte solo in nome della parità di genere. Il ricercatore mette a confronto due teorie: quella da lui definita mainstream, secondo la quale le donne sono effettivamente discriminate, e la teoria conservatrice, quella che lui ritiene giusta: “La fisica è una comunità di interesse ottimizzata per comprendere la natura, è aperta alle persone di valore di ogni background, richiede regole molto selettive e una grande cultura.” Se le donne in ambito scientifico non sono abbastanza rappresentate, dice Strumia nella sua presentazione, è semplicemente perché sono meno brave, e questo dipende dalle differenze innate tra uomini e donne. In conclusione, il fisico scrive anche di aver ricevuto il consiglio di non presentare queste slide per evitare conseguenze.

Conseguenze che, ovviamente, non hanno tardato ad arrivare. Il Cern   ̶ diretto proprio da una donna, l’italiana Fabiola Gianotti   ̶ dopo aver rimosso la presentazione incriminata dal proprio sito, con un comunicato stampa ha ribadito di essere un’organizzazione che rappresenta e accoglie ogni tipo di diversità, e ha sospeso Strumia con effetto immediato da ogni presente e futura attività. Stessa cosa che ha fatto l’Infn, Istituto nazionale di fisica nucleare, mentre l’Università di Pisa, con una nota del rettore ha dichiarato di aver aperto un procedimento a carico del ricercatore, e di aver trasmesso tutta la documentazione alla Commissione etica dell’Ateneo.

Fabiola Gianotti

Quello di Strumia, però, non è un caso isolato: nel 2005 Lawrence Summers, allora presidente di Harvard, rassegnò le dimissioni dopo aver affermato che le donne hanno minore successo nelle carriere scientifiche per differenze innate legate al sesso, non per colpa della discriminazione ai loro danni. Per restare in ambito scientifico, nonostante sia argomento di studio da molti anni, non ci sono evidenze di una differenza biologica importante tra il cervello maschile e quello femminile. In media, il cervello degli uomini è leggermente più grande di quello delle donne, ma la grandezza non è indice di abilità cognitiva. Le differenze che spesso vengono registrate sono imputabili più a fattori ambientali e culturali che a componenti biologiche o anatomiche. Una ricerca dell’Università dell’Arizona, per esempio, pubblicata sulla rivista Advances in Physiology Education, mostra che il genere di appartenenza può condizionare il modo in cui viene percepita la propria intelligenza. Attraverso un questionario somministrato agli studenti universitari, infatti, è emerso che le ragazze sono molto più insicure riguardo alla loro intelligenza e capacità, e temono di essere considerate stupide dai propri compagni di classe. I ragazzi invece, tendono a sovrastimare le proprie capacità anche quando i voti dimostrano il contrario. Sara Brownell, tra gli autori dello studio, ha affermato che spesso le ragazze scelgono di non continuare gli studi scientifici perché credono di non essere abbastanza intelligenti. Un dato confermato anche dall’Unesco, che imputa la scarsa presenza di ragazze nei corsi di studio scientifici al contesto culturale e sociale e al fatto che le studentesse siano spesso influenzate da pregiudizi e stereotipi di genere che iniziano in giovane età, a cui si aggiungono la mancanza di supporto e di incoraggiamento da parte della scuola e del nucleo familiare. Da uno studio americano, pubblicato sulla rivista Science, emerge che già dall’età di sei anni le bambine sono influenzate da stereotipi riguardanti l’intelligenza e le attitudini. Gli autori hanno intervistato 400 tra bambine e bambini, tra i cinque e i sette anni: mentre a cinque anni sia le bambine che i bambini associavano all’aggettivo “intelligente” immagini sia di uomini che di donne, dai sei anni in poi i risultati cambiavano completamente, e le bambine tendevano a non considerare intelligenti i membri del loro stesso sesso. Gli autori sperano che questo studio aiuti a sviluppare interventi che impediscano agli stereotipi di genere di influenzare la carriera delle giovani donne.

Nel mondo, quindi, la percentuale di ragazze che decide di iscriversi a una facoltà scientifica è inferiore a quella dei ragazzi, ma le cose cambiano quando parliamo di risultati accademici: secondo uno studio pubblicato su Nature, le studentesse ottengono risultati migliori di quelli dei coetanei maschi, ma hanno poi più problemi a fare carriera. Troviamo una situazione del tutto simile anche in Italia. I dati Ocse relativi all’Italia mostrano che il 40% di tutti i laureati in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica è rappresentato da donne, contro una media del 31% negli altri Paesi. Ma anche qui i problemi arrivano dopo, come riporta uno studio dell’Infn. A parità di formazione – e nonostante le ragazze abbiano in media voti più alti – già durante il dottorato le donne diminuiscono sensibilmente finché, nel passaggio al mercato del lavoro, è solo una sparuta minoranza a raggiungere i livelli più alti della carriera. E quando ci riesce, ecco che arrivano altri problemi. Lo scorso anno, ad esempio, tre ricercatrici hanno denunciato il Salk Institute, in California, perché nonostante i loro successi e riconoscimenti, hanno ottenuto meno avanzamenti di carriera, meno finanziamenti e uno stipendio inferiore rispetto ai loro colleghi maschi. Un rapporto redatto dal Pew Research Center mostra che il 50% delle donne occupate nell’ambito Stem è stata discriminata o oggetto di molestie sessuali sul lavoro, percentuale che aumenta negli ambienti a più alta concentrazione di uomini.

Una situazione che va avanti da tempo, quella della discriminazione: emblematico il caso di Jocelyn Bell Burnell, astrofisica britannica che, nel 1967, durante il suo dottorato di ricerca aveva scoperto le stelle pulsar. Nel 1974 a questa scoperta, una delle più importanti del ventesimo secolo, venne assegnato il Nobel per la fisica, ma non a Burnell, bensì al suo professore, Antony Hewish.

Jocelyn Bell Burnell, 1967

Finalmente, a 50 anni di distanza, alla studiosa è stato assegnato il Breakthrough Prize in fundamental physics, finanziato da vari miliardari della Silicon Valley. La ricercatrice ha dichiarato che devolverà i 3 milioni di dollari ricevuti al finanziamento di borse di dottorato per studenti sotto-rappresentati in fisica. “Molto, nella scoperta delle pulsar, è successo perché ero una studentessa di dottorato e facevo parte di una minoranza,” ha detto al Guardian, “Aumentare la diversità nella fisica può fare solo del bene”.

Da questa settimana, le ragazze che si affacciano al mondo della ricerca scientifica avranno nuovi modelli a cui ispirarsi. Proprio il giorno dopo l’infelice presentazione di Alessandro Strumia, infatti, è stata annunciata l’assegnazione del premio Nobel per la fisica, che quest’anno si divide tra tre ricercatori: Arthur Ashkin, Gérard Mourou e Donna Strickland, per le loro “invenzioni rivoluzionarie nel campo della fisica dei laser.” Quello della ricercatrice canadese è il terzo Nobel per la fisica assegnato a una donna, dopo Marie Curie, nel 1903, e Maria Goeppert-Mayer nel 1963. E una donna, Frances H. Arnold, è anche tra i vincitori di quest’anno del Nobel per la chimica.

Marie Curie
Maria Goeppert-Mayer

Qualcosa si sta muovendo, insomma, ma non è abbastanza. E un grosso problema continua a essere rappresentato dall’atteggiamento dei media. Un esempio è quello raccontato dal fisico e divulgatore scientifico Carlo Rovelli sulla sua pagina Facebook, subito dopo il caso Strumia: “Sky TG24 mi chiama per chiedermi di intervenire in diretta domattina sul dibattito su donne in fisica. Suggerisco che invitino una donna. Mi rispondono che è meglio sia un uomo a dire che ci sono donne scienziate, perché detto da un uomo ‘è più autorevole’.”Un bel tentativo, non c’è che dire, quello di combattere la misoginia con altra misoginia. E anche il modo in cui è stata data la notizia dei Nobel a Donna Strickland e Frances H. Arnold non è stato dei migliori.

Donna Strickland
Frances H. Arnold

In pochi, si sono concentrati sulla storia e l’importanza delle loro scoperte, quanto esclusivamente sul fatto che fossero donne. Ma purtroppo finché, più che l’assegnazione stessa di un Nobel, la notizia sarà il fatto che è stato assegnato a una donna, ci sarà ancora tanta strada da fare verso un’effettiva parità.

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