E ora non fateci vergognare del nostro voto

Il Partito Democratico, ovvero un coacervo di reggenti, segretari dimissionari o dimessi e pentiti, ex primi ministri, ex comunisti, ex democristiani, adesso si sente al riparo da questi tumulti politici. Il realtà ne è responsabile e fino in fondo.

Non solo non sono stati in grado di vincere – il tonfo del 4 marzo è stato epocale – ma sono persino riusciti nell’impresa di non essere in grado di perdere. Quando il Pd si pone un obiettivo, e in questo caso era un lungo periodo di riflessione-espiazione all’opposizione, arriva sempre un qualche impedimento a frenarlo, vuoi per casualità, vuoi per dabbenaggine o incapacità di leggere le situazioni.

Nessuno (quanto meno non la base e i suoi elettori) chiedeva un’alleanza con il Movimento 5 Stelle. Il rimprovero è motivato piuttosto dall’assoluta inefficienza che in questi mesi ha contraddistinto il modus operandi del partito. Dopo una sonora sconfitta è necessario ripartire da zero, comprendere i propri errori e fare in modo di invertire la rotta. Il Pd ha invece adottato la tattica dello struzzo: testa sotto la sabbia, e che vadano a schiantarsi gli altri.

Non si esce da una crisi di partito abbozzando qualche sorriso su Rai1, pubblicando filippiche su Facebook cariche di vanagloria e chiudendosi nella solita, cara, vecchia torre d’avorio. La fotografia del partito, ormai consolidata negli anni, è racchiusa nel gesto di Calenda che fa la tessera del Pd e il giorno dopo vorrebbe già bruciarla. Si staranno accorgendo di essere un partito di musichette, mentre fuori c’è la morte?

Lo scontro istituzionale di questi giorni non ha fatto altro che confermare un dato già inconfutabile: Mattarella è l’unica vera opposizione al mostro giallo-verde. E questo crea un cortocircuito politico, trattandosi del Presidente della Repubblica. Il Pd l’ha lasciato solo, nello stesso modo in cui ha abbandonato i pochi elettori rimasti, e continua a rinviare qualsiasi tipo di decisione – anche perché tra Martina, Renzi, Gentiloni, chi è a dettare le linee guida?

Nel 2002, in piazza Navona, Nanni Moretti salì sul palco e rivolgendosi all’assemblea la apostrofò come un branco di perdenti. Sì, non si chiamava ancora Partito Democratico, ma le facce erano pressappoco le stesse, e l’indole non è cambiata. La preoccupazione è sempre stata quella per la quantità dei voti, e non per la qualità. Il problema non è quel misero 19% racimolato il 4 marzo, quanto il fatto che molti di quei voti siano stati dati “con il naso tappato”. Nessun’altra forza politica può vantare elettori sfiduciati già al momento di entrare in cabina elettorale, a combattere con se stessi mentre mettono un paio di crocette di cui ormai provano vergogna, frutto di quel ricatto che suona come un “cerchiamo almeno di non far vincere gli altri”.

Fa tutto parte della storia del Pd, che prima raccattava voti non tanto grazie a proposte ben strutturate, né a una coesione tesa a mettere in atto serie politiche di sinistra (o perlomeno di centrosinistra), quanto grazie alla contrapposizione con Berlusconi. Adesso accalappia gli elettori che cercano di contrastare i Cinque Stelle, ma in fondo non è cambiato nulla. Anzi, hanno perso anche gli operai. La classe proletaria vota Lega al Nord e M5S al Sud. Evidentemente qualcosa è andato storto, tra Jobs act, articolo 18 polverizzato e Buona scuola (sì, con questo hanno perso anche i professori). Il problema sorge quando, anche di fronte all’analisi di questi fenomeni, emerge la loro natura autodistruttiva. La scissione dell’atomo è una bazzecola, paragonata a quella del centrosinistra. Abbiamo Orfini che dice A, Orlando che sbraita B, Cuperlo che ammorba con C, Delrio che predica D, mentre i cittadini usano un alfabeto differente.

Quando sono saliti al governo, loro e gli antenati dell’Ulivo (perdenti piddini ante litteram), non sono mai riusciti a portare a termine una legislatura completa. Hanno fatto crollare Prodi due volte, hanno fermato Bersani sul nascere, hanno azzannato Letta e poi si sono impantanati nella palude renziana, facendoci ingoiare il boccone amaro di un governo con Alfano e Verdini. Gentiloni poteva mettere tutte le pezze che voleva, ma ormai la frittata era fatta. Non si sono mai accorti del malcontento popolare, associandolo esclusivamente al populismo e quindi rigettandolo. No, il popolo non è soltanto quell’agglomerato di insulti da bar, di analfabeti funzionali che guardano il cielo per scovare le scie chimiche, di invasati che sbraitano contro gli immigrati e i poteri forti: il popolo è quella gente con cui il Pd non è mai stato in grado di dialogare, perché parlava una lingua diversa. Noi chiedevamo il pane, loro c’hanno dato un cracker scaduto; noi chiedevamo l’acqua, loro ci hanno infilato la testa in una pozzanghera. C’è poco da stupirsi, adesso.

Torneremo presto al voto e il Pd non potrà certo imbastire una campagna elettorale sui congiuntivi di Di Maio e sulla foto di Elisa Isoardi che stira le camicie di Salvini. Il Paese intanto è allo sbando e il Pd ha le sue responsabilità: il mea culpa è doveroso, perché con una forte compagine di centrosinistra, compatta ed efficiente, non sarebbe mai nato il M5S, né la Lega avrebbe mai raggiunto certe vette. Poi però, dopo aver cosparso il capo di cenere, sarà necessario presentare delle proposte. Umili, realistiche, senza voli pindarici. Proposte di sinistra. Andranno rispediti i cavalli di Troia (Renzi e compagnia) al mittente e rinnovato il parco amministrativo. Creata un’unica forza capace di racchiudere anime diverse (LeU, Bonino, perché no Potere al popolo, e tutti quei partiti satelliti che valgono lo zero-virgola-niente) in un progetto credibile. Se vorranno davvero fare sana opposizione, che partano da qui: gareggiare non per vincere, perché tanto non vinceranno; concentrarsi sulla qualità del voto e combattere per un 15% reale, e non per un 23% in coalizione, gonfiato e contaminato; far sentire gli elettori rappresentati, che è poi quello di cui hanno realmente bisogno.

Occorre armarsi per una sconfitta onorevole, abbandonare la boria e la retorica spicciola. Occorre tornare a usare il giusto alfabeto e ricollocarsi politicamente. Perché se la gente deve votare un partito di destra vota la destra vera, e se deve fantasticare sulla Democrazia Cristiana si fa una sega pensando a De Mita. Far vergognare gli elettori del loro voto è quanto di più riprovevole in ambito civile possa esistere.

C’avete consegnato ai barbari, c’avete reso barbari. Non lasciateci ancora una volta soli, altrimenti continuerete a esserne i responsabili.

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