Bullo, tronfio, spregiudicato: l’insostenibile arroganza di Trump di fronte a un mondo che muore - THE VISION

Dal suo account Twitter, il 2 ottobre Donald Trump ha annunciato di essere positivo al Coronavirus. Non è il solo: una serie di test sui membri dello staff della Casa Bianca hanno fatto salire a 34 il numero di persone contagiate nelle ultime settimane, tra cui anche la first Lady Melania e una serie di consulenti e addetti stampa. Molti speravano che provare in prima persona cosa significa essere affetti da COVID-19 avrebbe cambiato la prospettiva del presidente, aggiungendo un minimo di empatia a una campagna elettorale che fino a oggi ne è stata del tutto priva. Non è andata così.

Due giorni dopo l’inizio del ricovero Trump ha deciso di salire in macchina per salutare i sostenitori riuniti fuori dall’ospedale, mettendo ancora una volta a rischio la salute dei suoi collaboratori. Non appena dimesso si è presentato alla Casa Bianca togliendosi con ostentazione la mascherina di fronte alle telecamere dei giornalisti di tutto il mondo. Non è la prima volta che il presidente si prende gioco della scienza per rafforzare la sua immagine di leader invincibile, costruita in base alle aspettative dei suoi sostenitori e in continuo sprezzo delle normative e della competenza di persone ben più qualificate di lui. La sua idea di comandante in capo non può permettersi di mostrare crepe, e quindi, pandemia o meno, Trump non può ammalarsi. Non può essere debole.

Anche per questo, fino a pochi mesi fa si rifiutava di indossare la mascherina in pubblico, affermando che le persone con cui era in contatto venivano controllate di continuo e che, in fondo, proprio “non ci si vedeva” a portarla. Costretto anche da una copertura mediatica sempre più critica verso il suo comportamento pericoloso, solo nell’ultimo periodo Trump ha ammorbidito la propria posizione. L’incoscienza del presidente è ancora più evidente nei  raduni elettorali che il suo staff ha continuato a organizzare nel pieno della pandemia, mentre migliaia di persone morivano ogni giorno a causa del virus.

Lo abbiamo visto a Tulsa, in Oklahoma, dove lo scorso giugno il comitato elettorale del presidente ha riunito più di 6mila persone in uno stadio, senza prestare troppa attenzione alle precauzioni sanitarie raccomandate dalla sua stessa amministrazione. Il risultato è che nel giro di poche settimane i casi nella regione sono saliti drasticamente. Noncurante delle conseguenze, Trump lo ha rifatto in Nevada e, proprio pochi giorni fa, in Minnesota. Proprio durante un evento con più di 3mila persone la sua collaboratrice Hope Hicks ha iniziato ad avere i primi sintomi ed è stata messa in quarantena, per poi risultare positiva al test. Nonostante questo – e in chiara contraddizione rispetto alle norme del Centers for Diseases and Control Prevention (Cdc) – il giorno successivo Trump ha comunque presenziato a un altro evento elettorale in New Jersey con più di 100 invitati.

Più volte il presidente ha cercato di giustificare i milioni di casi registrati negli Stati Uniti citando l’alto numero di test che vengono effettuati ogni giorno. Già a luglio, però, la Cnn aveva spiegato che il legame tra i due fenomeni non è così semplice, e l’aumento dei contagi non va di pari passo con quello dei tamponi.

D’altra parte, Trump non è nuovo alla manipolazione dei dati, scientifici e non. Nel 2012 ha definito il cambiamento climatico una “bufala inventata dai cinesi” e ha poi ripetuto più volte che, dato che negli Stati Uniti fa freddo, allora non può esserci tanto di cui preoccuparsi. Nel settembre 2019 ha modificato una mappa che mostrava il percorso dell’uragano Dorian in modo da includere anche l’Alabama, e ha sostenuto la propria versione dei fatti anche dopo essere stato avvisato dell’errore da diversi esperti.

Il disprezzo delle regole è sempre stata una prerogativa della Casa Bianca di Donald Trump, come sanno tutte le minoranze che abitano gli Stati Uniti, gran parte della comunità internazionale e, di fondo, chiunque non sia funzionale in quel momento a compiacere la sua visione dei fatti. Sotto la sua guida, gli Stati Uniti sono diventati il Paese con il maggior numero di contagi, e di morti, al mondo per il COVID-19. Trump si è sempre detto contrario alla chiusura delle attività commerciali, affermando che “la cura non può essere peggiore della malattia”. Il problema, però, è che la cura non c’è. Le riaperture avventate, premature, decise dai governatori repubblicani hanno messo in crisi i centri urbani e sottoposto gli ospedali a livelli di pressione insostenibili. Nonostante quasi due terzi degli statunitensi fossero contrari alla revoca avventata dei lockdown locali, il presidente non poteva rischiare di scalfire la sua narrativa: la pandemia è finita, non c’è niente di cui preoccuparsi.

E infatti Trump era contento quando, già in aprile, il governatore della Georgia Brian Kemp ha deciso di riaprire tutte le maggiori attività nello Stato. Sono però bastati pochi giorni a fare degenerare la situazione, e tanto è servito al tycoon per dimenticare le lodi e passare alle critiche, accusando Kemp di aver preso decisioni affrettate che lui non aveva in alcun modo incentivato.

La presunta onnipotenza (e ignoranza) del presidente è evidente anche nelle sue continue pressioni per accelerare l’arrivo di un vaccino. “Sarà pronto entro poche settimane”, ripete ormai da mesi, in aperta contraddizione con le previsioni molto più caute e realistiche delle persone che stanno effettivamente lavorando a nuove cure e terapie, a partire dai responsabili del Cdc. Il virologo Robert Redfield, direttore dell’agenzia, ha infatti recentemente affermato che il vaccino – anche quando sarà pronto – almeno nella fase iniziale non permetterà di tornare alla normalità, e le mascherine rimarranno un alleato fondamentale per rallentare i contagi. Nel corso della pandemia, inoltre, Trump ha sostenuto l’utilizzo dell’idrossiclorochina come possibile cura contro il nuovo Coronavirus, senza avere alcuna prova oggettiva della sua efficacia. Il farmaco è stato inizialmente approvato dalla Food and Drug Administration (Fda), ma la licenza è stata ritirata a giugno.

Robert Redfield

Durante il breve ricovero in ospedale al presidente è invece stato somministrato il REGN-COV2 della Regeneron, un farmaco ancora in fase sperimentale, ma fino a ora promettente. In un video su Twitter Trump non ha risparmiato gli elogi: “Mi hanno dato il Regeneron, ed è stato incredibile, sono subito stato meglio. Abbiamo già centinaia di migliaia di  dosi pronte”. Il caso vuole che Leonard Schleifer – Ceo della compagnia farmaceutica – sia un conoscente di lunga data di Trump, e nel 2017 il tycoon possedesse anche alcune azioni di Regeneron (non più presenti nelle dichiarazioni del 2020).

Il trattamento ricevuto da Trump è stato ovviamente un’eccezione rispetto alle normali procedure seguite per i quasi otto milioni di americani contagiati dal COVID-19. Come ha fatto notare il magazine americano Stat, a un normale cittadino nelle condizioni di salute di Trump – positivo e con sintomi lievi – sarebbe stato chiesto di mettersi in quarantena e auto-monitorarsi. Solo in caso di serio peggioramento sarebbe stato portato in ospedale. Intanto, i suoi bambini o i genitori più anziani sarebbero rimasti a casa senza cure, e il datore di lavoro si sarebbe infastidito a causa dell’assenza del suo dipendente.

L’immagine di Trump come leader invincibile, immune ai problemi quotidiani e forte davanti ai tanti attacchi si sta sgretolando giorno dopo giorno, scontrandosi con una messa in ginocchio da numeri e fatti oggettivi. Tutto questo a meno di un mese dal voto. “Bisogna partire dal presupposto che Trump è interessato solo alla vittoria, non alla perdita di vite umane”, ha detto a The Vision Howard Rosenthal, docente di economia politica alla New York University. “Anche prima di ammalarsi, era vicino alla sconfitta, ma adottare la posizione di Biden ormai non gli gioverebbe più di tanto”. Secondo Rosenthal, al momento l’alternativa per Trump è cercare di aumentare l’affluenza ai seggi dei suoi sostenitori e cercare così di strappare la vittoria. “C’è il rischio che questo non faccia altro che aumentare il suo margine di sconfitta, ma è l’unica strategia con qualche speranza”. Meno di una settimana dopo aver ricevuto la diagnosi, Trump ha già fatto sapere che intende riprendere a breve gli eventi live con i suoi sostenitori, oltre ad aver ribadito che intende partecipare al secondo dibattito con lo sfidante democratico Joe Biden del 15 ottobre. Ancora una volta Trump non ha perso l’occasione per confermare di essere quello che è stato negli ultimi quattro anni di presidenza: una minaccia concreta non solo al sistema democratico statunitense, ma soprattutto alla vita di milioni di suoi concittadini.

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