Come la sinistra può tornare a essere rilevante

Questa maggioranza di governo non ha ancora approvato un singolo provvedimento degno delle aspettative di cui è circondata: non in economia, non sul tema del lavoro, né tantomeno per quanto riguarda i rapporti con l’Europa. Eppure sembra una corazzata inarrestabile.

Si è risolto in un apparente nulla di fatto il braccio di ferro tra Matteo Salvini e Bruxelles, giocato vigliaccamente, da parte italiana, sulla pelle di qualche centinaio di profughi – alcune vittime si sarebbero forse potute evitare – con gli altri governi sovranisti che hanno fatto spallucce. Ma i rapporti con l’elettorato sembrano ancora quelli di una luna di miele. La lotta alla precarietà di Luigi di Maio sembra davvero poca roba, ma il Movimento 5 Stelle non sembra scalfito dalle critiche diffuse. Sei italiani su dieci hanno fiducia nei giallo-verdi e nel premier Giuseppe Conte.

Giuseppe Conte

A sentirsi gratificata dal risultato elettorale del 4 marzo c’è – almeno secondo la mia bacheca Facebook – un’umanità piuttosto variopinta: il figlio di noti professionisti dell’interland napoletano appassionato di moto; una giovane attivista pro-Palestina che aveva partecipato ai primi meet-up grillini dieci anni fa; un laureato in filosofia che sta finendo il dottorato in Inghilterra; un cinquantenne nostalgico dei Borbone, passato dal postare video complottistici contro i Savoia alle vignette di Ghisberto, che non che starebbero male nella Germania del 1938. E così via: una varietà simile all’interno dello stesso bacino elettorale credo non si sia mai vista nella storia della Repubblica. Per ora si tratta di una macchina perfetta, indistruttibile. Pura dinamo, senza resistenze. E la cosa ci dovrebbe far paura.

Qualunque mossa faccia quell’ammasso informe e nevrastenico che va sotto il nome di “sinistra”, è sbagliata. Il Partito democratico si muove come un turista ubriaco finito nelle sabbie mobili: farfuglia frasi sconnesse e ogni movimento sembra portarlo più a fondo. Addirittura, con la Lega che negli ultimi sondaggi pare aver superato il 25%, alcuni rappresentanti del partito hanno sostenuto una petizione online che chiedeva una mozione di sfiducia contro Salvini: un tentativo a dir poco suicida. La sinistra di movimento e i partiti più radicali sembrano invece limitarsi a pratiche di testimonianza, per dire “siamo ancora vivi”, piuttosto che cercare di capire gli errori commessi e le possibili soluzioni. Del resto, tra sinistra moderata e quella massimalista non si capisce quale soggetto politico si vorrebbe costruire, quale organizzazione, quale tipo di dibattito innovativo, quale unità, quali alleanze sociali, e con quali tempi.

Matteo Renzi

Mentre il governo presenta visioni economiche contraddittorie e farneticanti rispetto a quanto promesso in campagna elettorale, la sinistra sembra paralizzata e il Paese è preda alla xenofobia: molti – senza troppe distinzioni di provenienza, reddito o età – provano odio nei confronti degli stranieri e sembrano convinti che per ritrovare la felicità si debba tornare indietro di trent’anni: fuori dall’Europa, fuori dal bipolarismo liberale, e soprattutto fuori dal multiculturalismo. Persino un istituto innocuo come l’Erasmus diventa sinonimo di cosmopolitismo egoista. Il 4 marzo l’Italia sembrava aver votato per un mondo nuovo, ma in realtà stava pensando al 1984: sia per trasformare la società in un incubo orwelliano di controllo e repressione, sia forse nel rimpianto dell’epoca craxiana, che per molti oggi sembra un Bengodi.

Considerando che il momento politico non lascia molto spazio, la sinistra non ha molte possibilità per provare a emergere nel dibattito pubblico. La prima, per quanto assurda possa sembrare, è abbracciare la logica della caccia all’immigrato, in nome del popolo italiano oppresso. Questo però, oltre a essere improbabile, perché costringerebbe la sinistra ad alterare per sempre il proprio Dna e mutare gli slogan iscritti da decenni nella mente dei suoi militanti, sarebbe anche inutile, perché è impossibile rinnovare la reputazione di un “marchio” nel giro di pochi mesi: sono troppi i mezzi di informazione, i personaggi televisivi e in generale mediatici che associano – quasi sempre in modo infantile e pretestuoso – il termine “sinistra” all’utopia dell’abolizione delle frontiere. In ogni caso, il terreno della xenofobia lo stanno già sfruttando brillantemente i partiti al governo, e non lo molleranno con facilità. La deriva xenofoba, inoltre, sarebbe una mossa sbagliata perché – piaccia o no ai bulletti che si rimbalzano la responsabilità di salvare le vite umane nel Mediterraneo e demonizzano le Ong – sono ormai parte integrante del nostro tessuto sociale. Chi sogna magici incentivi per aumentare la fertilità nazionale dovrebbe confrontarsi con la realtà: chiamatela, se volete, “illusione da mamme pancine” – da quel discutibile blog  del Signor Distruggere che tanto vi piace seguire: negli ultimi trent’anni nessun Paese occidentale ha visto aumentare in modo sensibile il tasso di natalità senza l’apporto degli immigrati. In questa situazione, le uniche alternative alla riapertura dei flussi migratori legali sarebbero la svalutazione brutale della moneta o l’incremento delle ore lavorative. O, più probabilmente, un mix tra le due cose.

Laura Boldrini
The-vision-Pietro-Grasso
Pietro Grasso

Un’altra opzione per la sinistra sarebbe farsi carico della battaglia contro l’Europa. Non mancano le formazioni ultra-socialiste che hanno fatto dell’eurofobia il loro vessillo, ma non sono andate granché bene. Eurostop, Lista del popolo, la mezza dozzina di variazioni del Pci, micropartiti che hanno in programma di uscire da Ue e Nato e hanno sempre raccolto consensi microscopici. Né la sinistra interna al Pd, né quella di Liberi e Uguali riescono a fare dell’Italexit la propria bandiera, e farebbe ridere se lo facessero, considerando che molti degli esponenti di spicco sono stati tra i più fervidi fautori dell’ingresso nell’Eurozona. E poi, anche qui, si tratterebbe di mentire all’elettorato: nulla garantisce che un’uscita dall’Euro e dall’Unione, con questi rapporti di forza in società, si tramuti in un riscatto popolare piuttosto che in un “liberi tutti” per il capitalismo tricolore, notoriamente truffaldino e restio agli investimenti. Per non parlare del fatto che le conseguenze finanziarie di un’eventuale uscita, almeno in un primo momento, sarebbero così dolorose da far scatenare una rivolta dei forconi contro la sinistra, saltata per ultima sul carrozzone sovranista.

Si potrebbe, allora, concentrare tutto lo sforzo per dimostrare al popolo che la caccia al migrante serve a distrarre dai veri problemi; che prendersela con l’Europa è inutile, se prima non regoliamo i conti con gli evasori fiscali italiani, con i nostri dirigenti corrotti, con i nostri sfruttatori. In effetti lo sta già facendo Potere al Popolo, l’unico partito impegnato seriamente in questa battaglia, ma non è che lo ascoltino in molti. E poi, attenzione: questo non è populismo. C’è una bella differenza tra il cercare di parlare agli ultimi e volersi appiattire sul senso comune di una borghesia ignorante e rancorosa, in cerca di qualunque rivalsa sulle élite, mentre prevede l’eliminazione delle classi più deboli.

Viola Carofalo, leader e portavoce di Potere al popolo

A prescindere dal fatto che non esistono partiti paragonabili a quello laburista inglese, a Podemos in Spagna o a France Insoumise – che comunque non se la passano benissimo e sono pieni di conflitti – né potenziali leader carismatici, a mio parere l’unica strada percorribile è quella che porta al terreno definito dai grillo-leghisti e alzare, di molto, il livello dello scontro. Chiamando i simpatizzanti – che siano attivisti di lungo corso o gente comune – a organizzare una strategia di inclusione degli immigrati nelle strutture dei partiti e dei movimenti. Ma anche, più in concreto, organizzare un sistema di autodifesa, fisica e legale, che faccia da argine alle iniziative discriminatorie, che sicuramente cresceranno nei prossimi mesi, quando il governo non potrà mantenere le sue promesse in economia e cercherà consenso nell’elettorato in altri modi.

Si potrebbe agire in un frangente in cui, in Italia, finora si sono mosse solo le vituperate Ong e le associazioni di settore: andando incontro agli immigrati. Aiutandoli nel processo di regolarizzazione, sostenendo le loro lotte sindacali; affiancandoli nella domiciliazione, assicurandosi che vengano pagati in tempo e che i loro figli abbiano un auto per andare a scuola; facendo lobbying per l’iter legislativo che possa dar loro – sì, persino adesso – diritto di voto al più presto. E anche via social: rispondendo a provocazione con provocazione, seguendo una precisa strategia, anche comunicativa, che si appropri dell’agenda del nuovo fascismo, e lo capovolga.

L’ascesa di Lega e Cinque Stelle ha responsabilità diffuse: gli “expottimisti” renziani che credevano di anestetizzare qualunque conflitto con fiducia e razionalità, e che poi, quando le cose dopo il referendum costituzionale del 2016 hanno iniziato a precipitare, hanno inseguito, già troppo tardi, le destre sul loro terreno, lasciando a Marco Minniti il compito di fare il lavoraccio di cui loro non si volevano prendere gli oneri. Ma soprattutto, su un piano macroscopico, politiche di austerità che non hanno saputo prevedere le reazioni barbariche laddove quelle ricette venivano applicate senza che ci fosse alcuna crescita economica. Su un piano minore, ma rilevante, la complicità dei media, degli stessi “poteri forti” che hanno sobillato gli stereotipi gentisti senza che la società avesse gli anticorpi necessari per contenerli. Tutto questo è innegabile, e una strategia di lungo periodo non può che tenerne conto. Ma qualunque eccessivo mea culpa in questo momento apparirebbe come insincero, oltre che inservibile.

Alla sinistra non resta che inserirsi nelle contraddizioni del blocco politico grillo-leghista e sostenere qualunque messaggio che possa spingerli alla radicalizzazione e alla polarizzazione, costringendoli al cortocircuito. Persino insultare, di tanto in tanto, se fatto con classe, non farebbe male. I partiti non servono solo a trasformare gli umori del senso comune in voti, ma anche per cambiarli. È vero che non saranno le magliette rosse, le copertine arcobaleno di Rolling Stone o le bandiere Refugees Welcome a fare da argine all’ondata reazionaria – iniziative del genere sono in realtà pratiche buone per chi ha fretta, dai contenitori vuoti non dissimili ai tormentoni sui Rolex e Capalbio tipici dalle destre. Roberto Saviano, da questo punto di vista, si sta rivelando un baluardo progressista piuttosto inadeguato. Ma se l’alternativa sono i discorsi sulla sostituzione etnica, le ruspe e il razzismo istituzionalizzato con Salvini, ben venga anche questa forma di provocazione, e guai a chi non sceglie da che parte schierarsi.

Roberto Saviano

Molte teste nell’universo progressista tradizionale salteranno, certi modi di comunicare e fare attivismo andranno in soffitta per sempre: l’ignoranza delle dinamiche economiche e anche dei vecchi rapporti di classe non sarà più tollerata. Servirà una nuova divulgazione finanziaria, in questi tempi di propaganda asfissiante e di indignazione perpetua. Ma la sinistra che verrà non potrà riacquisire un nuovo rapporto con le classi sociali dall’oggi al domani. Se molti hanno scelto questo linguaggio è perché in Italia c’è posto. Pensate: una Lega che in quattro anni quintuplica i propri voti; il gap più alto tra i paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico tra percezione reale e percepita di presenza straniera sul territorio; un italiano su quattro che non accetterebbe un ebreo come membro della propria famiglia e quasi uno su due se parliamo di un musulmano: numeri senza pari in Europa occidentale. Davvero tutto questo ha a che fare solo con la crisi economica, le presunte privatizzazioni selvagge e la disoccupazione al Sud?

Si dovrà anche pensare, probabilmente, a una politica su più piattaforme: trovando anche una sintesi, per molti indigeribile, tra liberalismo e socialismo. I difensori dell’esistente fissati con i numeri e il progresso dovranno essere meno superbi nei confronti di chi sta in piazza e di chi ha a cuore il divario tra ricchi e poveri e il recupero degli sconfitti della globalizzazione. Entrambi i gruppi dovranno sopportare prove simboliche terribili e capire che la deriva razzista non si arginerà accarezzando chi non si può più recuperare, o rimboccandogli le coperte prima di raccontargli una favola. Quando c’è da argomentare si argomenta, ma molto spesso è meglio limitarsi a trollare e insolentire. Se in realtà il desiderio, nemmeno tanto recondito, è quello di inseguire i fascisti sul loro terreno: andate avanti, c’è spazio.

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