Perché Sergio Mattarella è l'uomo dell'anno

Nel IV secolo d.C., l’imperatore Costantino fu costretto ad arginare l’avanzata dei barbari contro l’impero romano. Inizialmente combatté contro i loro eserciti, ma poi si rese conto di dover attuare una strategia politica diversa, più lungimirante. Firmò dunque trattati di pace, avviò con loro scambi commerciali e addirittura li assunse nell’amministrazione civile romana. In cambio ricevette il loro rispetto.

Il 2018 italiano è stato segnato dall’ascesa dei nuovi barbari, l’antipolitica che prende a picconate le istituzioni e la democrazia usando Facebook a mo’ di ascia. L’uomo non può quindi che essere colui che, nonostante abbia rischiato di essere defenestrato, ha impugnato l’arma della Costituzione e ha conquistato, con lucidità e pacatezza, il rispetto di tutti. Anche di chi diceva, a giorni alterni, di volere la sua testa. Quest’uomo è il Presidente Sergio Mattarella.

La svolta del 4 marzo ha dato il via a un periodo convulso, generato da quello che il Presidente della Repubblica temeva più di ogni cosa: una tornata elettorale senza vincitori. Tra mandati esplorativi, consultazioni e incontri per cercare di mettere insieme un esecutivo affidabile, Mattarella si è prodigato dall’inizio per raggiungere il miglior accordo possibile. Defilatosi il Pd, ieri come oggi alla ricerca di se stesso, l’equazione naturale ha portato Lega e M5S nella stanza dei bottoni a scrivere il famoso contratto di governo. Ma, proprio quando tutto sembrava risolto, è esplosa la grana Savona; in quei giorni gli italiani hanno aggiunto al loro vocabolario un nuovo termine, inizialmente storpiato e infine abusato: impeachment. Se è vero che fin dall’inizio i progetti del nuovo governo sembravano poter mettere a rischio la stabilità europea, aggiungere Paolo Savona all’Economia – con i suoi fantasiosi piani B per uscire dall’Euro in un weekend – avrebbe potuto rappresentare il colpo di grazia.

Mattarella per anni è stato vittima di una satira che lo dipingeva come l’uomo invisibile, il nonno che alle cene di Natale non parla mai e potrebbe anche essere sostituito da un cartonato. Eppure, in quella situazione estremamente delicata, pur senza abbandonare la sua compostezza ha  smentito tutti. Non ha ceduto ai ricatti gialloverdi e con la proposta di un governo Cottarelli ha dimostrato alle forze politiche che non avrebbe avuto paura di affidare il Paese a un tecnico per salvarlo dalla deriva. Di Maio non l’ha presa bene: ha telefonato in diretta a Che tempo che fa minacciando la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica. L’Impeachment, appunto. È stato uno dei punti più bassi della politica a Cinque Stelle, che già vola rasoterra in termini di coerenza e senso dell’opportuno. E probabilmente anche uno dei punti più bassi della televisione pubblica. Quel momento ha rappresentato in pieno il paradosso della democrazia gentista: un ragazzo laureato all’università della vita accusa il Presidente della Repubblica, nonché professore di diritto costituzionale dal 1965, di non rispettare la Costituzione. L’emblema politico del declino intellettuale del Paese.

Fomentati dagli strilli gialloverdi, quando si è paventata l’opzione Cottarelli, i fanatici del web hanno riversato la loro rabbia contro Mattarella. In molti hanno usato toni intimidatori nei suoi confronti. C’è persino chi è arrivato a prospettandogli la stessa fine del fratello Piersanti, ucciso dalla mafia nel 1980 dopo una carriera politica dedicata a combattere la criminalità organizzata. È stato in quel momento, quarant’anni dopo, che Sergio ha conosciuto il fiele degli sciacalli, la rabbia suina di chi grugnisce dietro lo schermo, credendo di essere immune alla legge. Ma, ancora una volta, Mattarella ha mostrato la propria superiorità, attutendo i colpi degli insulti infamanti e glissando sul vergognoso dietrofront dei gialloverdi, i quali non solo hanno accettato Tria all’Economia, ma si sono rimangiati tutte le minacce in un secondo, dimostrando la loro totale incoerenza.

E infatti, sette mesi dopo la sceneggiata dell’impeachment, Di Maio ha definito Mattarella “L’angelo custode del governo”; Conte l’ha difeso dagli attacchi di Grillo (il guru del Movimento aveva dichiarato: “Il capo dello Stato ha troppi poteri, dobbiamo toglierli”); persino Salvini ha fatto marcia indietro, non lesinando parole al miele per il Presidente. Il dato che però stupisce di più viene dai sondaggi: in un’Italia in cui il sentimento di sfiducia verso le istituzioni è diffuso e le persone sembrano sempre più pronte a cercare rifugio nel confuso baccanale del nuovo governo, il politico più apprezzato è proprio Mattarella. Un sondaggio di Demos gli attribuisce un gradimento del 65%, ben al di sopra di quello registrato da Salvini e da Di Maio. Persino tra l’elettorato di M5S (58%) e Lega (55%) il successo del Presidente della Repubblica è alto, diversamente da quanto avviene per gli esponenti dell’opposizione, i quali racimolano numeri da prefisso telefonico. Quindi è chiaro che l’opposizione al populismo non è quella di un Pd martoriato o di una sinistra che sta ancora raccogliendo i cocci; l’unico argine è rappresentato da Mattarella, che per questo raccoglie la stima persino dei barbari di costantiniana memoria. Questa lettura può apparire semplicistica, ma non si discosta molto dalla realtà.

Mentre nel Pd cercavano di organizzare improbabili cene o rimandavano di mesi le riflessioni post-sconfitta, Mattarella ha frenato gli istinti primordiali del governo. Non è facile avere a che fare con un leader, Di Maio, che grida al complotto un giorno sì e l’altro pure, e con un altro, Salvini, che è presente ovunque, spesso in modo inopportuno. Quando quest’ultimo ha imbastito la sua personale crociata contro gli immigrati, ordinando di chiudere i porti e tenendo 177 persone bloccate su una nave ormeggiata al porto di Catania, è stato Mattarella a sbloccare la situazione. Ha telefonato a Conte e ha fatto sbarcare i migranti, evitando incidenti diplomatici e limitando i danni sulla salute di quelle persone. Inoltre ha più volte lanciato messaggi forti, ricordando ad esempio i 26 milioni di italiani che nell’ultimo secolo sono stati migranti, invitandoci a riflettere sul rispetto che accordiamo a coloro che arrivano oggi. Allo stesso tempo, ha chiesto all’Europa di non lasciarci soli, mostrando un’alternativa credibile alle tattiche da sceriffo di Salvini e alla dilagante xenofobia che ha preso piede nella nostra nazione. Questa è la strategia di Mattarella: rispettare gli ultimi pur chiedendo equità nell’accoglienza attraverso i canali adibiti, senza minacce o dirette su Facebook al vetriolo.

Se i momenti di crisi si sono susseguiti nel corso dei mesi, l’ultimo è stato forse uno dei più difficili: l’approvazione della Legge di Bilancio 2019. Anche in questo caso, sempre senza perdere le staffe, Mattarella ha impugnato la Costituzione, facendo notare che “La Carta chiede i conti in ordine”. Dopo una guerra con l’Ue e una danza delle percentuali piuttosto grottesca, il risultato è una manovra orrenda. Ma forse, senza la mediazione silenziosa del Presidente della Repubblica, sarebbe andata molto peggio.

Il ruolo di Mattarella è stato fondamentale proprio nel mettere le toppe laddove gli esponenti del governo creavano buchi grandi come voragini. Si sa, nella nuova politica fatta di pane e slogan il ruolo del pompiere risulta antiquato; eppure è necessaria una figura rassicurante e allo stesso tempo decisa, istituzionale ma vicina alla gente – una vicinanza priva di scopi elettorali. Mattarella, per il ruolo che ricopre, rappresenta infatti l’unico politico che non ha bisogno di raccattare voti o di ingrossare il suo consenso; i suoi discorsi non devono essere accattivanti ma costruttivi, le sue azioni sono volte a raggiungere il benessere del Paese, non le prossime elezioni.

Nel gioco dei media legato all’uomo dell’anno c’è chi ha seguito l’onda della provocazione citando Soros, e c’è stato chi invece ha voluto premiare i giornalisti in pericolo (il Time, che però annovera nel suo albo d’oro anche Hitler e Stalin). La personalità di Mattarella è poco incline ai riflettori e alle celebrazioni, semmai è propensa a incensare gli altri. In questi giorni ha infatticonferito onoreficenze al merito a 33 persone che si sono distinte per il loro esempio di civiltà nel 2018. Tra gli “eroi normali” di Mattarella ci sono anche la donna del treno che ha difeso uno straniero dagli insulti razzisti, la barista che si è opposta ai Casamonica, la presidente di una Onlus impegnata nella lotta contro il cancro in Africa, la novantatreenne che è andata in Kenya per una missione umanitaria e l’ambulante marocchino che ha salvato una dottoressa da un’aggressione. La scelta di queste persone rappresenta il miglior messaggio possibile contro l’orda che demonizza le onlus e il volontariato, contro il razzismo capillare che sta infestando il Paese e contro i tentacoli di tutte quelle mafie che ancora imperversano in Italia.

I travagli di Mattarella non sono terminati. Ad attenderlo c’è un 2019 caratterizzato dalle elezioni europee e da una campagna elettorale che si preannuncia (ammesso che sia mai finita) più che cruenta. Dovrà tenere a bada gli estremismi del governo e quell’attitudine a violare il galateo politico e la funzione del Parlamento. Che, tradotto, significa che dovrà salvare la democrazia e acquietare i barbari. Anche senza un profilo Facebook, è l’unico in grado di farlo.

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