L’anti-salvinismo è una copia dell’anti-berlusconismo. E come questo fallirà.

Credo che ce lo ricordiamo più o meno tutti, tranne forse gli eremiti o i nati nel Ventunesimo Secolo che non hanno avuto la fortuna di assistere a questo spettacolo, il periodo in cui Silvio Berlusconi era una specie di generatore automatico di gag del Bagaglino, oltre che presidente del Consiglio. Era un momento storico in cui, se si faceva parte dell’opposizione, si aveva accesso a una vasta gamma di possibilità di protesta e dissenso: la riforma scolastica dell’allora ministra dell’Istruzione Letizia Moratti, e poi quella di Maria Stella Gelmini, avevano dato spazio a un gran bel repertorio da manifestazione scolastica – ricordo in particolare il coro “Se la Moratti è magica, Cicciolina è vergine”. C’erano il Popolo Viola, il No B Day e il Vaffa Day – quando ancora il M5S era solo il potenziale nome per una confraternita di albergatori e Grillo infuocava le piazze d’Italia con la sua espressività boccaccesca. Oggi il clima è più pesante di quello che si viveva nell’era del berlusconismo acceso, e anche l’opposizione – forse perché non esiste più nemmeno una vera e propria opposizione, considerata la rilevanza attuale pressoché nulla del Pd – si manifesta con meno esuberanza e, se così si può dire, allegria. Non è vero che si stava meglio quando si stava peggio, che il passato è sempre più bello del presente e che “ai miei tempi qui era tutta campagna”, ma è vero che nel frattempo, dagli inizi del Duemila a oggi, sono successe delle cose che hanno inevitabilmente cambiato l’umore generale del Paese, e chi urlava i “vaffanculo” in piazza – per dirne una – ora è al governo al fianco di Matteo Salvini.

C’è una cosa che non è cambiata nel modo in cui ci si oppone ai politici che non ci piacciono, ed è un’arma a doppio taglio che, sia nel caso di Berlusconi che nel caso di Salvini, riesce nel sorprendente risultato di rafforzare ancora di più il consenso di chi viene bersagliato. Se è vero che ciò che non uccide fortifica, così succede anche per tutta la bile che si riversa nel luogo sbagliato e non fa altro che polarizzare ulteriormente il pubblico che assiste a questo spettacolo grottesco della politica italiana. Nel momento in cui ci si ritrova a commentare e a denigrare più l’esposizione quotidiana, privata, umana – se per “umano” intendiamo “fisiologico” – che l’effettivo operato politico di un qualsiasi esponente del governo, in questo caso di Matteo Salvini, ci si ritrova di nuovo in quel punto di non ritorno in cui, come un tempo esisteva il berlusconismo e l’anti-berlusconismo, adesso abbiamo il salvinismo e l’anti-salvinismo. Se caschiamo in pieno in questa trappola del fastidio, dell’indignazione, della superiorità morale basata non tanto sulle questioni etiche e politiche, ma sulla genuina e legittima antipatia che proviamo per un personaggio pubblico che sta al governo del nostro Paese, rischiamo di spostare il focus dai motivi giusti per cui dovremmo disprezzarlo – che di certo non sono pochi – e contemporaneamente di dargli la possibilità di crearsi un nemico da deridere. È un po’ come quel famoso meme di Mean Girls in cui Regina George chiede sprezzante alla sua vecchia amica: “Why are you so obsessed with me?” – sottintendendo che non è mica lei a essere stronza, ma gli altri che sono dei rosiconi fissati. Perché il lessico di base, e di conseguenza il livello del discorso, è questo: “rosiconi”, “criticoni”, o per citare la celebre invettiva del Cavaliere “dei poveri comunisti”.

Uno degli errori madornali dell’opposizione ai tempi di Berlusconi è stato proprio quello di aggrapparsi strenuamente alla critica dell’immagine pubblica di questo personaggio,  piuttosto che mantenere il centro del dissenso esclusivamente sul suo operato politico. Cosa che non fece altro che accrescere il suo ego, rendendolo non solo eroe ma anche una vittima degli attacchi provenienti da tutti i fronti – dalle toghe rosse ai tristi e bigotti moralisti di sinistra che non tolleravano la sua condotta libertina. Anzi, proprio questo senso di spregiudicatezza in pieno stile Casa della Libertà – dove “Facciamo un po’ come cazzo ci pare” – questo fare da sessantenne marpione che non perde occasione per complimentarsi con un’hostess ai congressi – perché, si sa, gli uomini sono fatti così e hanno il diritto di manifestare sempre e comunque la loro natura – ha creato un ulteriore legame tra Berlusconi e il suo elettorato, fiero di avere a capo un “vero” italiano.

Non che si tratti di una strategia propagandistica inedita quella dell’immedesimazione tra popolo e leader – basti pensare a Mussolini che partecipa alla trebbiatura del grano – ma se in tempi remoti si trattava più di un avvicinamento in termini positivi – “anche un rappresentante di Stato può sporcarsi le mani col duro lavoro dei campi” – con Berlusconi si tendeva a empatizzare con i suoi vizi, con il suo libertinaggio sbandierato, non in termini di emancipazione dalla gabbia del pregiudizio cattolico, ma piuttosto dalla creazione di night club privati. E quindi, mentre la sinistra e suoi manifestanti provavano a ribellarsi a questa sovrapposizione indecorosa e inadeguata tra la vita privata di un uomo a capo dello Stato e le vicende di Ruby Rubacuori – la “nipote di Mubarak”, che tutto il Parlamento italiano riteneva tale tanto da dichiararlo con un voto, e che Signorini tentava di riabilitare con epopee strappalacrime – il Cavaliere sguazzava nell’ennesima opportunità di fare la vittima e diventare ancor più affascinante agli occhi dei suoi estimatori. E nel frattempo si moltiplicavano le leggi ad personam, e si dava spazio a leggi come la Bossi-Fini.

Certo, tutto ciò dava fastidio: quella perenne barzelletta, quella schitarrata al chiaro di luna da “pizza, spaghetti e mandolino”, quella bandana oscena, quel sorriso a trentadue denti, quelle gaffe imbarazzanti, quelle frasi che si ripetevano come mantra –“Mi consenta” e via dicendo. Ma era anche un gigantesco: “Why are you so obsessed with me?”. Era impossibile starsene zitti con le mani in mano ad aspettare di avere una nuova riforma da commentare se nel frattempo c’era uno stuolo di soubrette che diventavano consiglieri regionali e fuochi d’artificio che davano il benvenuto a Tony Blair nel più sobrio dei modi. Così come è molto difficile starsene zitti davanti a un ministro dell’Interno che usa i social come se fosse un admin di Camorra and Love, rispondendo a ogni accenno di critica e di dissenso con emoji di bacini e cuoricini. Eppure, tutta questa passione per il cambio di abito da cast di Village People, da spalmatore di Nutella professionista e food-blogger, da soap opera in itinere con i suoi selfie #aftersex con Elisa Isoardi e le relative rotture pubbliche, non è semplicemente uno sfoggio naïf e demenziale della sua ingenuità da bambinone su Facebook, ma una vera e propria strategia politica, tanto che se ne sono accorti anche oltreoceano. Demonizzando l’opposizione che gli si para davanti e recitando la parte del “Ma non si può nemmeno mangiare un po’ di pane e Nutella in santa pace?”, si crea un malsano senso di “Salvini c’est moi” che non fa altro che accrescere i suoi consensi e fare sprofondare nell’oceano dei risentiti tristi e acidi i suoi detrattori. Cosa succederebbe dunque, se tutto d’un tratto, tutti quelli che non gradiscono l’operato di Salvini non si lasciassero distrarre dando più un briciolo di conto a quelle foto di cibo e gattini che il nostro ministro ama tanto condividere?

Sicuramente Salvini non smetterebbe di postare quelle cose, né i suoi fan di apprezzarle, ma allo stesso tempo si creerebbe più spazio per contestare ciò che davvero questo governo sta facendo di orrendo e deprecabile, riportando l’attenzione sulle cose serie, che di certo non sono i selfie con le ruspe. La strategia migliore dovrebbe ispirarsi alla sempre mal riportata massima dantesca per cui “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. Forse l’opposizione – con tutto quello che significa oggi, ovvero qualcosa di molto diverso da vent’anni fa – ha proprio il dovere di non dare nessun credito a queste manifestazioni di insolenza, nonostante siano totalmente incompatibili con un’idea, a quanto pare ormai superata, di dignità del costume politico. L’errore dell’anti-berlusconismo è stato quello di legittimarsi ontologicamente solo in termini oppositivi, non in quanto soggetto a se stante ma come epifenomeno della politica di Silvio Berlusconi. Abbiamo il dovere morale di non cadere nella stessa trappola, se non vogliamo che l’anti-salvinismo si trasformi esclusivamente in un fenomeno di costume, in un automatismo linguistico e concettuale per cui ad azione ridicola di Salvini corrisponde una reazione indignata e sterile, per poi ricominciare da capo. Non è facile non rispondere a una pernacchia con un’altra pernacchia, ma sappiamo quanto poco funzioni. Ci sono talmente tante cose per cui possiamo opporci a questo governo, che dargli pure la possibilità di appellarci come criticoni che stanno sempre a trovare una scusa per odiare è davvero un autogol imperdonabile. Non scordiamoci che l’erede diretto dell’anti-berlusconismo è proprio il grillismo.

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