Chi crede che Roberto Fico sia di sinistra non ha idea di cosa sia la sinistra

La Casaleggio Associati, unico vero guru del M5S, non pecca certo in termini di strategia comunicativa. Probabilmente, per far digerire ai suoi elettori l’alleanza con la Lega, la deriva destrorsa che ha infettato il Movimento e ha sancito la fine degli arabeschi intorno al “mai come gli altri, mai con gli altri”, serviva un’astuta mossa riparatrice: creare una nemesi all’interno dell’azienda stessa, così da non disperdere l’anima di sinistra di una parte del suo elettorato, facendola convivere con l’ala sovranista e succube di Salvini. Il M5S ha sempre espulso, o comunque emarginato tutti i dissidenti interni al partito. Roberto Fico ha più volte contestato questa linea, eppure non è mai stato messo in discussione. Per questo, a un occhio esterno, verrebbe da pensare che sia stata creata come una seconda narrazione, parallela e solo all’apparenza inconciliabile con le mosse del governo, di cui Fico è diventato un personaggio chiave.

Fico assume un triplice ruolo all’interno del M5S: termometro, exit strategy e bilancia. Per termometro intendo lo strumento attraverso cui testare il polso e gli umori del popolo, costantemente in funzione. Quello di Fico sembra essersi inceppato, segno che la salvinizzazione procede spedita. In quanto exit strategy, rappresenta il piano B nel caso in cui dovesse mettersi male con Salvini: ecco che Fico potrebbe trasformarsi in collante per scenari alternativi. Un accordo con un Pd ripulito da Renzi, un governo del presidente sorretto dall’ala più moderata del M5S, o persino un progetto più europeo e meno legato alle tenaglie di Visegrad e di Putin. Quando Salvini spinge sull’acceleratore in una direzione, è necessaria la sterzata di Fico in quella opposta. Quando Di Maio parla di “taxi del mare” riferendosi alle Ong, Fico diventa il liquido di contrasto per equilibrare le funzioni organiche del M5S.

La tattica sembra funzionare, perché adesso Fico viene visto come un corpo estraneo all’universo gialloverde, un voltagabbana contagiato dallo scranno che un tempo apparteneva a Laura Boldrini. Contemporaneamente, sull’altro versante, viene dipinto come il più umano tra i disumani, il vecchio compagno di tante feste dell’Unità che si ritrova a fare opposizione al suo stesso partito. Come a sottintendere un’estensione del progetto della Casaleggio Associati, l’emblema del tentativo di estirpare destra e sinistra, indossando però i panni di entrambi; travestendosi da leghisti (il governo) o da trotskisti dei giorni nostri (Fico e qualche altra figura di contorno). E il popolo ha abboccato.

Per acquisire credibilità, Fico doveva essere inserito in un contesto di prestigio, ma fuori dall’esecutivo. In quest’ottica, il ruolo di terza carica dello Stato, quello di presidente della Camera, è risultato perfetto. Ecco che Fico può permettersi di stare sul piedistallo e prendere, simbolicamente, le distanze dal Salvini di turno, portare avanti battaglie di civiltà e lanciare stilettate senza minare la solidità del governo. Perché a Bonafede o a Toninelli non verrebbe mai concessa questa libertà di critica, considerati i ruoli che ricoprono. A Fico sì: serve la proiezione dell’anima candida che non china la testa di fronte ai soprusi leghisti, la resistenza solitaria dell’eroe. Sembra l’unica maniera per non perdere gli elettori di sinistra delusi dal Pd.

Fico non è Togliatti, e mai lo sarà, qualunque ruolo gli vogliano conferire i vertici del Movimento. Allo stesso tempo non è Di Maio e nemmeno Di Battista; alberga in lui un pensiero politico che viene da una formazione di sinistra. Salamelle alle feste dell’Unità, voti dati a Rifondazione Comunista, per poi, nella scorsa legislatura, essere favorevole a gran parte delle proposte oltraggiate dalla Lega e dal lato destro del M5S – su tutti lo Ius Soli. Eppure non può essere identificato come un paladino della sinistra, né tanto meno come un politico che ha sbagliato partito. Non si è dimesso e probabilmente non lo farà: è uno dei grillini della prima ora, membro di una vecchia guardia ormai quasi del tutto scomparsa. Inoltre, questo ruolo sembra non sia utile soltanto alla Casaleggio Associati: Fico è al secondo e ultimo mandato, dunque è conveniente per lui mostrare l’anima da voce-fuori-dal-coro, per poi riciclarsi tra quattro anni. Cosa che non potranno fare Di Maio e Di Battista, troppo militanti e legati al Movimento per poter seguire un giorno un’altra strada.

I tre ruoli di Fico sono chiari, ma ancor più interessante è quello della sua platea, gli spettatori non paganti che assistono allo spettacolo e giudicano senza pietà. Inizialmente Fico era tra i grillini più amati: quando Le Iene hanno tirato fuori la vicenda della colf in nero, è partita la difesa incondizionata di tutto il popolo pentastellato. La stessa riservata al padre di Di Maio, per intenderci. Solo che qualcosa si è presto guastato, a seguito delle svariate prese di posizione di Fico contro la demonizzazione delle Ong. Ha incontrato delegazioni di Medici senza frontiere e Amnesty International proprio nel periodo in cui Salvini stava scagliando i suoi anatemi contro queste organizzazioni. Si è inoltre recato a San Ferdinando, dove viveva Soumayla Sacko, per portare le condoglianze dello Stato alla famiglia del migrante ucciso a fucilate in Calabria. Proprio sui migranti si è allargata la crepa tra Fico e Salvini, con continue frasi nemmeno troppo sibilline a rimarcare la sua vicinanza alle persone tenute in ostaggio nella nave Diciotti, o contro la chiusura dei porti. Ha inoltre criticato aspramente le politiche di Orbán e dei nazionalisti di Visegrad. Salvini gli ha sempre risposto per le rime, mentre i suoi colleghi grillini si rifugiavano nel silenzio, consci che tutto faceva brodo. Il culmine si è toccato giorni fa, quando Fico alla Camera si è assentato durante le votazioni per il Decreto Salvini. Ha successivamente spiegato ai giornalisti che il gesto era voluto, e che ha voluto prendere categoricamente le distanze dal decreto.

Gli elettori grillini si erano però già defilati dalle posizioni di Fico, prediligendo una marcata propensione sovranista, cioè l’indirizzo del governo. Basta dare un’occhiata alla sua pagina Facebook per percepire un malcontento diffuso. La sua è una pagina convenzionale, a tratti solenne, ben distante dal retorico protagonismo di quella di Di Battista o dall’autoritarismo di quella di Salvini. Nessuna traccia di esodi divinizzati con famiglia al seguito, nessuna foto di piatti di polenta o selfie con le capre in montagna. Sono però i commenti a determinare il prolasso della sua credibilità tra gli elettori grillini. Nei messaggi più pacati viene paragonato alla Boldrini, invitato a emigrare verso altri lidi (leggasi Pd) o redarguito per le sue idee distanti da quelle della Lega – e di conseguenza del M5S. In mezzo agli schiamazzi è però possibile trovare quei commenti (una minoranza, a dire il vero) che finiscono per far comodo alla Casaleggio – e che forse era proprio nelle loro intenzioni generare.

L’obiettivo è stato raggiunto, complici anche analisi politiche di giornalisti che hanno esasperato la distinzione tra Fico e la Lega, tra Fico e gli altri grillini. Lui e gli altri, come se fossero due mondi separati e incompatibili. Fino a eccedere nell’iperbole di Fico “nuova speranza della sinistra”.

No. Il M5S è un partito populista, tendente a destra o all’antipolitica. La favola del compagno Fico che risolleverà la sinistra è una forzatura che non ha basi solide su cui reggersi, anche perché il “grillino di sinistra” non esiste, se non come figura mitologica rispolverata ad hoc nei casi più spinosi legati a ideologie che, a dirla tutta, i grillini non hanno. Adesso è comodo per la stampa innalzarlo a obiettore di coscienza di un governo nauseabondo, mentre in realtà il confine tra Pizzarotti 2.0 e atipico Yes-man è più vasto di quanto si possa pensare.

Sono positivi gli slanci di umanità di Fico, questo è indubbio, così come la sua statura più elevata rispetto a tutto l’esercito dei Fontana presenti nel governo. Il suo posto però è il M5S, perché lui l’ha scelto e ci si riconosce. La sinistra è un’altra cosa.

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