Il successo dei referendum su eutanasia e cannabis mostra che la politica è troppo lontana dal Paese - THE VISION

In questi giorni si sta discutendo del successo delle raccolte firme per i referendum sulla depenalizzazione della cannabis e sulla legalizzazione dell’eutanasia. Secondo l’articolo 75 della Costituzione, si può indire un referendum al raggiungimento di 500mila firme, traguardo più che superato in entrambi i casi, in meno di una settimana per quanto riguarda quello sulla cannabis. I promotori delle iniziative, i firmatari e coloro che condividono questi temi giustamente festeggiano, ma occorre riflettere su due punti. Il primo riguarda l’ennesima sconfitta di una classe politica disconnessa dalle tematiche che interessano il Paese e refrattaria nell’assumersi le proprie responsabilità. La seconda è il rischio di fondo che si nasconde dietro l’esasperazione del referendum come mezzo di sollecitazione popolare.  

Per quanto riguarda il tema cannabis, abbiamo alle spalle anni di procrastinazione. Ogni tanto sbucava fuori qualche proposta, un timido ddl sull’argomento, ma l’ostruzionismo ha prevalso su tutto. L’ultimo esempio è recente, quando l’8 settembre si è votato in commissione Giustizia alla Camera il testo base presentato dal deputato del M5S Mario Perantoni. Tutto il centrodestra si è schierato per il No, Italia Viva si è astenuta. Nel testo si discuteva della possibilità di coltivare un massimo di quattro piantine per uso personale. Prima di arrivare in Parlamento, la proposta è stata subissata di emendamenti. Come il per il ddl Zan si tratta di escamotage per bloccare la legge rallentandone i tempi: cambiare una dicitura o un pronome, spostare una virgola. Solo che stavolta, dove non è arrivata la politica è arrivata la raccolta firme, e non c’è emendamento che tenga: possono opporsi al referendum soltanto la Corte Costituzionale e la Cassazione.

La proposta referendaria è chiara, e si basa su tre punti. Il primo è l’abolizione del reato di coltivazione di cannabis per fini personali, mentre se è volta allo spaccio e ad altre pratiche illegali resta punibile. Il secondo è una conseguenza del primo, ed elimina le pene (reclusione da due a sei anni) previste al momento dal codice penale. Il terzo elimina la sospensione e il ritiro della patente di guida per chi coltiva cannabis, ma resta illegale mettersi alla guida dopo aver assunto la sostanza. In pratica sono proposte sensate, e in caso di vittoria ci sarebbero più controlli e verrebbero sottratti enormi introiti alla criminalità organizzata. Questo la destra fa finta di non comprenderlo, e probabilmente anche una parte della sinistra.

Anche per il referendum sull’eutanasia il percorso parte da lontano. Addirittura il primo testo di legge risale a quello di Loris Fontana del 1984. Rispetto al discorso della cannabis, su questo tema c’è stata una vittoria sancita in Parlamento, anche se non completa. Riguarda infatti il Testamento biologico, diventato legge sotto il governo Gentiloni nel 2017.

La differenza sostanziale dell’attuale quesito referendario riguarda l’eutanasia attiva. Mentre quella passiva in alcuni casi è considerata lecita, e si parla di sospensione di una cura considerata accanimento terapeutico, quella attiva è illegale sia se diretta, con il medico a somministrare il farmaco del fine-vita, che indiretta, con il paziente stesso ad assumerlo sotto osservazione del medico. L’intento della raccolta firme è quella di consegnare una dignità totale ai pazienti affetti da patologie incurabili e/o pesantemente debilitanti e compromettenti per l’esistenza stessa. Già in diversi Paesi nel mondo l’eutanasia attiva è legale, ma in Italia la classe politica di tutti gli schieramenti vive ancora nella sudditanza del Vaticano, che non appoggia una simile proposta.

Entrambe le raccolte firme hanno avuto successo grazie anche all’opportunità di sottoscrizione online, attraverso la firma digitale, permessa soltanto di recente con il decreto Semplificazioni di luglio. Si tratta di due casi di politica attiva da parte dei cittadini su temi che necessitano di un dibattito, ma il rischio è che in futuro vengano raccolte firme per argomenti più controversi. Intanto la soglia delle 500mila firme, come spiega anche il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, è troppo basso, perché è stato impostato nel 1947, ovvero quando gli italiani erano circa 45 milioni (oggi sono quasi 60 milioni). E poi la modalità delle firme online può si facilitare e promuovere le iniziative, ma allo stesso tempo creare uno spazio dispersivo dove ogni richiesta rischia di finire sotto i riflettori se a promuoverla è un individuo con un buon seguito, con il rischio di una crescita delle proposte inutili, se non pericolose.

Una prova l’abbiamo avuta con l’ultimo referendum votato dagli italiani, ovvero quel “taglio dei parlamentari” che se si fosse chiamato “taglio di rappresentanza in cambio di un risparmio quasi nullo” avrebbe probabilmente avuto un esito diverso. Lì si è vista la differenza tra azione popolare e populista, con il M5S a promuovere una proposta distorcendola.

Luigi Di Maio

Sullo stesso filone, è partita la raccolta firme per il No Green Pass, con l’obiettivo di averne 500mila entro il 30 settembre, in prospettiva di un eventuale referendum da svolgersi tra la primavera e l’estate, cioè quando molto probabilmente il Green Pass non sarà più in vigore. 

Ogni opinione deve essere espressa e va ascoltata, ma dopo un anno e mezzo sentire parlare ancora di dittatura sanitaria fa capire quanto la classe politica sia stata inefficace nel chiarire ai cittadini la situazione contingente e perché questa richiede determinate misure. Qualcuno ribatterà dicendo che non tutti i No Green Pass sono No vax. Vero, ma rappresentano la maggioranza assoluta. Lo storico Alessandro Barbero ne è un esempio. È bastata una sua presa di posizione contro il Green Pass per accendere un dibattito sulla sua figura, dando adito agli strumentalizzatori seriali di appropriarsi delle sue parole omettendone alcune. Infatti Barbero è sì critico sul Green Pass, ma è vaccinato e sarebbe addirittura favorevole all’obbligo vaccinale. Ma quest’ultimo aspetto è stato inserito dai giornali italiani solo in fondo agli articoli, mentre i titoloni parlavano di altro.

Alessandro Barbero

La posizione di Barbero, che comunque non è collegata alla raccolta firme per il referendum, è rischiosa perché va a inserirsi in un contesto avvelenato, pur essendo frutto di riflessioni più articolate. Il suo discorso potrebbe anche filare (l’obbligo è molto meglio del Green Pass, e così suona anche condivisibile), ma si incasella in uno spazio già occupato da No vax e altri individui che di certo non hanno elaborato un pensiero indipendente come quello del professore. 

Se ci fosse stata una classe politica più decisa e competente di certo non saremmo arrivati a questo punto, con i comuni cittadini a fare pressioni sull’immobilismo della classe politica. Questa nuova forma di democrazia diretta potrebbe essere una grande occasione o una minaccia alla democrazia, visto che il Parlamento ha ormai abdicato al suo ruolo di mediatore tra cittadini e iter legislativo. L’unico argine è diventata così la Corte Costituzionale. Seguendo questo andazzo i politici sono destinati a sparire come i giudici di linea nel tennis, ormai inutili con le nuove tecnologie.

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