Perché il governo sta festeggiando l’aver rischiato una procedura d’infrazione?

Lo scorso 3 luglio il governo ha salutato con toni trionfali la decisione di Bruxelles di non avviare la procedura di infrazione nei confronti dell’italia, facendo credere ai suoi elettori di aver vinto un impegnativo braccio di ferro con l’Europa dei burocrati. Nonostante i toni compiaciuti dell’esecutivo, lo stop è solo merito della manovra correttiva da 7,6 miliardi di euro, che segue le indicazioni arrivate nelle scorse settimane dalla Commissione europea.

Secondo l’articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Commissione può avviare la procedura di infrazione per eccesso di debito quando uno Stato membro non rispetta alcuni requisiti. Ad esempio, il deficit di bilancio pubblico non deve oltrepassare la soglia del 3%, mentre  il debito non deve superare il 60% del Pil. Per i Paesi che sono già oltre quella percentuale (in Italia la percentuale ha raggiunto il 132%) ), è richiesto un calo annuale di un ventesimo del debito pubblico. La “letterina” dell’Unione europea è arrivata a fine maggio in seguito a una promessa mancata dall’Italia: nel Def il governo italiano aveva fissato  un deficit del 2,04%, venendo incontro alle direttive europee e all’accordo di dicembre con la Commissione, ma il tetto è stato superato nel tentativo di mantenere le promesse elettorali di Lega e M5S. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria si è trovato a gestire negli ultimi mesi le richieste dei partiti di governo per trovare le coperture necessarie per Reddito di cittadinanza, Quota 100, Flat tax, e quelle dell’Europa di mantenere in ordine i conti italiani.

Giovanni Tria

Mentre in questi giorni gli account social dei partiti di governo cercano di cavalcare anche questo ennesimo fallimento, il commissario Ue per gli affari economici, Pierre Moscovici, ha spiegato la situazione, parlando di una conformità raggiunta dall’Italia grazie a un aggiustamento sui conti e al ritorno a quel 2,04% di deficit che era stato promesso a dicembre. Di Maio ha subito scaricato le colpe della marcia indietro sui precedenti governi a guida Pd, ma la realtà è che lo scontro delle ultime settimane poteva essere evitato semplicemente rispettando gli accordi già sottoscritti. Dopo anni di propaganda contro l’Europa guidata dai burocrati francesi e tedeschi, i leader di Lega e M5S non possono mostrarsi ai loro elettori come sottomessi ai dettami di Bruxelles. Per questo cercano di costruire un messaggio trionfale su quella che è stata una sconfitta politica e diplomatica per la credibilità italiana in Europa.

Pierre Moscovici

I 7,6 miliardi di euro utilizzati per evitare la procedura d’infrazione sono diventati il nuovo strumento di propaganda del governo. Questa somma comprende anche 1,5 miliardi originariamente destinati alle misure cardine del loro programma: Reddito di cittadinanza e Quota 100. Le domande per queste misure sono risultate inferiori alle attese, permettendo di usare il denaro avanzato per rimpinguare la “manovrina” anti procedura di infrazione. Anche se l’esecutivo li ha descritti come “risparmi”, si tratta a tutti gli effetti di una somma che rientra a far parte del debito dello Stato. Un altro espediente per indorare la pillola ai loro sostenitori è stato cambiare il nome delle cose. Un anno fa Lega e M5S hanno presentato un’alleanza come un contratto di governo e un condono come una pace fiscale. Nel solco di questa tradizione, pochi giorni fa il ministro Tria ha spiegato che questa non è stata una manovra correttiva, ma “una correzione molto forte, un assestamento del bilancio in base agli andamenti della finanza pubblica”.

La più cospicua fetta dei 7,6 miliardi arriva dall’incremento delle entrate tributarie, merito soprattutto delle misure che l’attuale governo in passato criticava ampiamente. Il caso più eclatante è quello della fatturazione elettronica, con i dati del gettito Iva del primo semestre di quest’anno che fanno stimare un aumento dell’incasso per lo Stato pari a 4 miliardi di euro. La fatturazione elettronica, misura del governo Renzi, ha aiutato gli avversari del Pd a  trovare i fondi necessari per evitare la procedura di infrazione. Eppure, meno di sei mesi fa Matteo Salvini scriveva su Twitter che “La fatturazione elettronica è una ‘genialata’ messa da chi ci ha preceduto, rimuoverla ci costerebbe due miliardi”. Ora la “genialata” ha contribuito a salvare il suo governo dall’umiliazione della procedura di infrazione.

Memori della precedente figuraccia, Di Maio e compagni di partito non hanno festeggiato sul balcone e nessuno ha fatto dichiarazioni simili a quella di “aver abolito la povertà”. Anche perché non c’è nulla da festeggiare: i parametri economici dello Stato restano negativi, e tutti gli indicatori – export, consumi, fiducia e investimenti – sono in calo. La pressione fiscale è salita al 48%, la produzione industriale continua a seguire un trend negativo ed è possibile, secondo l’Istat, che il Pil nel secondo semestre dell’anno possa ulteriormente calare. Sono questi i reali problemi del Paese su cui il governo dovrebbe trovare i mezzi e la capacità per intervenire, al posto di continuare a monopolizzare la sua agenda con la gestione di una invasione migratoria inesistente e una lotta senza quartiere contro l’Europa che può vincere solo nella fantasia dei suoi lettori. La propaganda sui social fa sempre più spesso i conti con le cifre che descrivono un Paese in piena stagnazione economica: se con il tanto vituperato governo a guida Pd il Pil aveva raggiunto una quota di crescita dell’1,6%, oggi è arrivato allo 0,1% e rischia di peggiorare ancora. Sarebbe il caso di iniziare a superare la fase degli slogan da tifoseria calcistica e iniziare a riflettere su questo tipo di dati.

I numeri non sono dei nemici, attacchi dell’opposizione o strumenti di un complotto organizzato dall’Europa. Arriverà un momento in cui gli slogan di alcuni politici perderanno il loro potere persuasivo, lasciando i loro elettori con la consapevolezza di non aver sconfitto la povertà, né la fatica di arrivare a fine del mese e che l’arrivo dei migranti o meno nel nostro Paese non ha cambiato di una virgola la loro esistenza. In quel momento i loro insulti arriveranno nella lingua reale, mentre i politici non potranno più difendersi dietro allo scudo del politichese.

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