Letta, “di' un Presidente di sinistra”. Ora! - THE VISION

Mentre nel centrodestra il triumvirato di Verdini, Dell’Utri e Berlusconi lavora per l’assalto del Cavaliere al Quirinale, con l’appoggio di Salvini e Meloni, nel Pd è in corso quello che sembra essere il riassunto degli ultimi decenni del centrosinistra: non proporre nulla e approfittare dell’impresentabilità degli avversari.

Per un bizzarro meccanismo, il Pd sale nei sondaggi quando non fa niente. Forse perché con il basso profilo si limitano i danni. Oppure si potrebbe tirare fuori una più sofisticata riflessione tratta da The Young Pope di Paolo Sorrentino: vince l’assenza, chi non si fa vedere, come Mina, Salinger e i Daft Punk. Analizzando però le dichiarazioni di queste settimane del segretario Enrico Letta, sembra che il motivo sia più semplice: non hanno nessun nome da proporre per il successore di Sergio Mattarella.

Sergio Mattarella

Letta ha dichiarato che la candidatura di Berlusconi “è un vicolo cieco” e ha chiesto agli altri partiti di lavorare su un “nome d’unità”. Incalzato dai giornalisti, ha continuato a glissare. Draghi? “Non è il momento di fare i nomi, dobbiamo deciderlo con i nostri alleati e con il centrodestra”. Un Mattarella-bis? “Non è il momento di fare i nomi, serve un accordo tra le forze politiche per un patto di legislatura”. Però la destra ha candidato ufficialmente Berlusconi, mentre il gruppo misto ha proposto Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale. La scelta del Pd di arrivare a ridosso del 24 gennaio senza un candidato, e quindi senza una presa di posizione forte, è un rischio da non sottovalutare, considerando che nel segreto dell’urna la sconfitta elettorale è sempre dietro l’angolo, e il partito di Letta dovrebbe ricordarlo bene.

Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni

Alle votazioni del Presidente della Repubblica del 2013, il Pd arrivava con una vittoria a metà alle elezioni e dei numeri fragili in Parlamento. L’allora segretario Pierluigi Bersani propose la candidatura di Franco Marini, ex presidente del Senato. I renziani all’interno del partito si opposero. Si arrivò quindi al quarto scrutinio giocando tutte le carte sul nome di Romano Prodi. Sembrava fatta, ma arrivò la carica dei 101 franchi tiratori a votare contro, costringendo Giorgio Napolitano a un secondo mandato; Bersani si dimise da segretario del Pd e come presidente del Consiglio venne eletto proprio Enrico Letta, che a distanza di nove anni è segretario del Pd, sempre minacciato dalle strategie di Matteo Renzi che, seppur fuori dal partito, può decidere di favorire le mosse del centrodestra.

Giorgio Napolitano
Pierluigi Bersani con Enrico Letta
Matteo Renzi si insedia al Palazzo Chigi

Formalmente Letta potrebbe contare sull’alleanza non scritta con il Movimento Cinque Stelle, che nonostante la crisi nera in termine di sondaggi e il crollo alle Europee e alle ultime amministrative, conserva ancora un elevato numero di parlamentari e dunque un potere decisionale che si porta dietro dalle elezioni del 2018. Dall’assemblea dei parlamentari pentastellati però non sono arrivate proposte concrete, se non un No a Berlusconi e Draghi e un timido tentativo di convincere Sergio Mattarella a un bis che lui stesso ha dichiarato in diverse occasioni che preferirebbe evitare. Il partito di Conte fatica a trovare una quadra tra le sue correnti e deve risolvere i problemi interni prima di accordarsi eventualmente con il Pd. In poche parole, mentre il centrodestra candida il nome impresentabile di Berlusconi, sull’altro versante nulla si muove.

Giuseppe Conte

L’impostazione di Letta basata sul fair play sembra una strategia persa in partenza. I No a Berlusconi sono stati troppo timidi, e insistere sull’accordo con la destra è un azzardo giustificato soltanto dai fragili equilibri del governo tecnico. È il prezzo da pagare quando si sceglie di avviare un esecutivo sedendosi allo stesso tavolo con la Lega e Forza Italia. Questo partorisce un istituzionalismo sbiadito, a tratti democristiano, in cui Letta è vincolato alle decisioni di altri attori politici. Soprattutto quando c’è in mezzo il nome di Mario Draghi, che per aver accettato di guidare per meno di mezza legislatura un Paese nel suo periodo più critico potrebbe aver ricevuto garanzie sul futuro sostegno per l’elezione a Palazzo Chigi. Un sostengo che al momento il Pd non ha ancora chiarito, prima di tutto con i suoi elettori. 

Mario Draghi

Un altro sentore poco confortante è che l’immobilismo del Pd sia legato a un compromesso per salvare la faccia, ovvero un’eventuale elezione di un altro nome gradito al centrodestra. In quel caso Letta e il suo partito potrebbero poi sostenere di aver evitato l’arrivo di Berlusconi alla Presidenza. Ripiegare su Pier Ferdinando Casini o sull’ennesima “ipotesi Amato”, costante che ritorna da trent’anni, sarebbe però una sconfitta politica per il partito.

Non è possibile scendere a compromessi con questo centrodestra, e un partito di centrosinistra, o presunto tale, dovrebbe comprenderlo. Arrivare alle elezioni del Presidente della Repubblica senza alcuna proposta ufficiale alimenta diversi dubbi. O è già tutto deciso per Draghi, oppure il Pd sta davvero scegliendo di affidarsi al voto segreto senza alcuna certezza. Da quando Letta è tornato alla segreteria del partito, il processo di traghettamento del Pd verso un liberismo moderato sembra aver subito un’accelerata. Gli si chiedeva un rinnovamento, una virata progressista, e invece il partito si è trasformato ne La Margherita. 

Letta in realtà non è nemmeno il colpevole di questa deriva, ma sta solo seguendo il solco che i precedenti segretari del partito hanno tracciato, compresi gli anni in cui il Pd ancora non esisteva e si era riuniti sotto la bandiera de L’Ulivo. Poche proposte concrete e tanta voglia di restare a galla solo grazie all’opposizione agli avversari. Per vent’anni gli elettori non hanno votato per far vincere il centrosinistra, ma per non far vincere Berlusconi. Poi per non far vincere Salvini. Domani sarà per non far vincere Meloni. Funziona, se sei un politico e in qualche modo riesci sempre a rientrare in qualche governo di coalizione. È un fallimento se sei un elettore di sinistra che ha perso la sua identità e la sua rappresentanza in Parlamento. E le posizioni pilatesche quando si parla del prossimo Presidente della Repubblica non fanno che alimentare questo meccanismo di passività politica. Forse servirebbe davvero una doccia fredda, con Berlusconi al Quirinale, e il Pd vicino all’implosione. Ma non siamo così masochisti da augurarci questo scenario. La più alta carica dello Stato deve essere occupata da una persona adatta al ruolo di garante della Costituzione. Letta la trovi presto, o ammetta il suo fallimento.

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