Roma non ha le Olimpiadi perché il meccanico di Dibba era contrario. Ma oggi il M5S le celebra.

La scelta di Milano-Cortina come sede dei Giochi Olimpici Invernali del 2026 ha portato alla luce una serie di ipocrisie, goffi tentativi di salire sul carro dei vincitori e retromarce grossolane. È una storia tipicamente italiana, nonché l’emblema della forza politica che maggiormente si distingue per inconcludenza e pressapochismo: il Movimento 5 Stelle.

Luigi Di Maio ha voluto celebrare “Una giornata importante, proprio perché ha vinto lo sport, la sua purezza e l’entusiasmo di un intero paese, lontano da ogni logica di potere, lontano da ogni logica di interesse,” aggiungendo che “L’Italia saprà dare il meglio di sé e saprà vincere come fa ogni volta che gioca da squadra”. Più che una squadra, però, quella del goveno sembra una combriccola di liberi tiratori con un unico punto in comune: rinnegare se stessi. Lo stesso Di Maio, infatti, negli scorsi mesi non nascondeva la sua contrarietà all’evento, dichiarando che non aveva intenzione di investirci nemmeno 1 euro, né in costi diretti, né indiretti. Il leader grillino deve aver ingoiato il boccone amaro, considerando che le Olimpiadi costeranno 1,3 miliardi di euro.

La sezione lombarda del M5S è andata oltre, scrivendo su Facebook che l’assegnazione di Milano-Cortina è da considerarsi “una vittoria del M5S”. Per quale motivo, non è dato sapersi. I dubbi sono venuti anche ai piani alti del Movimento, che hanno prontamente fatto rimuovere il post, memori delle precedenti prese di posizione sull’argomento. In primis perché inizialmente la candidatura prevedeva anche l’apporto della città di Torino. Il capoluogo piemontese si è poi defilato, tra polemiche che continuano tutt’oggi. Mentre la sindaca Chiara Appendino ha fatto i complimenti ai colleghi di Milano e Cortina, tra i grillini torinesi sono emersi dei malumori. Il consigliere Mario Chessa è stato il primo a fare autocritica, dichiarando: “Le Olimpiadi a Milano e Cortina sono una vittoria per l’Italia e una sconfitta per Torino, maturata per meri interessi di bottega politica di una parte del M5S, che ha preferito opporsi a un’opportunità incredibile per la città, quando l’80% dei torinesi era favorevole all’evento”. Il collega Aldo Curatella ha rincarato la dose: “Le colpe sono sicuramente nostre per non essere stati capaci di riuscire ad affrontare la questione in modo sereno, e anche di chi a Roma non comunica correttamente con i territori ma manda messaggi a convenienza che poi cambia”. Citando la capitale ha toccato un tasto dolente, perché se Torino piange, Roma sprofonda in un baratro dal quale è difficile riemergere.

Mentre Milano festeggia la vittoria olimpica, infatti, la città eterna è alle prese con l’ennesima emergenza rifiuti. Ormai è palese: siamo di fronte a città che viaggiano a due velocità diverse. Se Milano, soprattutto dopo l’esperienza dell’Expo, sta diventando a tutti gli effetti una metropoli aperta a investimenti e progetti faraonici, Roma collassa nei suoi “No”, sempre più accartocciata su se stessa, simulacro di un tempo che fu e che non tornerà. Un meraviglioso cimitero monumentale, ben distante dall’immagine di una vera capitale. Le aziende fuggono e spostano le loro sedi a Milano, gli investimenti latitano, la corruzione dilaga e l’esperienza di Virginia Raggi ha portato ulteriore immobilismo e sciatteria a una situazione già di per sé delicata. La manfrina “vi meritate Buzzi e Carminati” non può reggere a lungo, quando in tre anni chi è stato eletto per risollevare la città non solo non c’è riuscito – e l’impresa era difficile – ma ha fatto piombare la città nel Medioevo del decoro, della pulizia, delle iniziative, peggiorando notevolmente le condizioni di una Roma già martoriata e facendo addirittura peggio di quelli di prima – e l’impresa era quasi impossibile.

Su Twitter Virginia Raggi si è complimentata per la vittoria di Milano-Cortina, seguendo la strada di Di Maio e Appendino, ovvero rifugiarsi nei convenevoli istituzionali e nel scurdammoce ‘o passato. Ma quel passato brucia ancora: il M5S tre anni fa ha rinunciato a candidarsi alle Olimpiadi del 2024 a Roma, trovando giustificazioni alquanto bizzarre.

La migliore per originalità è sicuramente quella narrata da Alessandro Di Battista in una sua precedente fatica letteraria. Dibba spiega che era contrario, ma non era sicuro che i romani la pensassero come lui. Tra le opzioni paventate c’era quella di un referendum cittadino, ma preferì farne uno tutto suo, affidandosi a pareri autorevoli. Chiamò Massimo, il suo meccanico di fiducia, e gli chiese di radunare un po’ di persone. Massimo convocò l’edicolante, il fruttivendolo del quartiere e un paio di parenti. Dibba li raggiunse all’officina e ricevette il parere negativo dei suoi titolatissimi amici, come ricorda nel precedente libro – quello pubblicato dalla casa editrice di Berlusconi: “Uscii dall’officina, dal mio “soviet” personale tra bulloni, pezzi di ricambio e olio, e mandai un messaggio a Virginia: “Sulle Olimpiadi nessuna esitazione, linea durissima. La stragrande maggioranza dei romani sta dalla nostra parte”. In questo passaggio c’è tutta l’essenza del Movimento Cinque Stelle, nonché il motivo per cui Milano corre verso il progresso, mentre le città governate dai grillini arrancano in una spirale di arretratezza e paura del futuro.

L’errore di fondo della politica del M5S è proprio l’idea che un meccanico e un fruttivendolo – magari i più bravi nei loro rispettivi campi – possano avere gli strumenti e la preparazione per prendere decisioni che richiedono competenza e studio in ambiti a loro lontani. Il mantra dell’uomo qualunque al potere non solo è un insulto alla meritocrazia, ma il paradigma della faciloneria, della demagogia da quattro soldi che riduce le scelte politiche a un reality show. E non è classismo: può valere per un fruttivendolo come per un dentista che fattura cifre esorbitanti. Semplicemente, i ruoli e le competenze vanno rispettati: affidare a qualche migliaia di utenti su una piattaforma online, o a un pugno di persone in un’officina polverosa, il destino di una nazione, fatto da decisioni importanti su temi come economia e sviluppo, è sinonimo di impreparazione, e le conseguenze le stiamo vivendo sulla nostra pelle.

Il M5S ha sempre rifiutato le Olimpiadi soprattutto per una questione di costi. Anche in questo caso i grillini vengono smentiti dai numeri. Alcune prestigiose università italiane hanno realizzato degli studi sull’impatto economico-finanziario dell’evento di Milano-Cortina. I costi, stimati in 1,3 miliardi di euro (inferiore rispetto alle Olimpiadi invernali Torino 2006), di cui 400 milioni a carico del Cio, saranno nettamente inferiori rispetto ai guadagni. Secondo La Sapienza, l’evento olimpico influirà positivamente sul Pil per 2,3 miliardi (un incremento che inizia nel 2020 e termina nel 2028). La Bocconi invece parla di ricavi che possono raggiungere i 3 miliardi. Inoltre, sono previsti più di 8.500 nuovi posti di lavoro, ripercussioni positive per il turismo e per le infrastrutture.

Membri della delegazione Milano – Cortina d’Ampezzo esultano dopo l’assegnazione del bando per la sede dei Giochi Olimpici Invernali del 2026

Un altro motivo che ha spinto il M5S verso tante, troppe rinunce, è il rischio corruzione. I grillini rievocano gli arresti per tangenti durante il periodo dell’Expo di Milano, ma è una semplificazione di basso livello. Intanto perché, al netto delle mele marce, l’Expo ha proiettato Milano in una dimensione internazionale attraverso investimenti, riqualificazione di aree, turismo e progetti ad ampio respiro. E poi è da sottolineare il cortocircuito del pensiero grillino: decidono di non organizzare eventi del genere per il rischio della corruzione, per le mazzette dietro l’angolo e il pericolo di nuove costruzioni lasciate come cattedrali nel deserto, ma essendo loro al potere (come nel caso di Roma) avrebbero avuto in mano il controllo sulla trasparenza dell’organizzazione. Invece, con i No hanno semplicemente palesato la loro incapacità a gestire certi eventi, con la scusa che “in Italia si mangiano tutti i soldi”. Ma l’Italia non è un’entità astratta, l’Italia sono anche loro: sono al governo del Paese, di Roma e di Torino. Quindi, eventualmente, i soldi se li sarebbero mangiati loro.

La verità è che rinunciare non ha alcun costo, consegnarsi all’immobilismo è la più comoda delle rese, quella di chi chiude le porte al progresso e non resta allacciato al resto del mondo per paura dei nemici immaginari. È una guerra senza senso e contro nessuno, come quella di Caligola contro Nettuno, dio del mare, quando ordinò ai suoi soldati di pugnalare il mare. Lo stesso Caligola che voleva nominare console il suo cavallo. Forse è questo il destino del M5S: pugnalare il mare, portare in parlamento l’equivalente dei cavalli e poi seguire il vento, tradendo se stessi per non scomparire. Ma il loro tentativo di restare a galla sta facendo affondare il Paese, e la colpa non è di Nettuno.

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