Macron non può essere il punto di ripartenza della sinistra europea

Un famoso trattato di strategia militare del IV secolo a.C. dello scrittore indiano Kautilya, l’Arthasastra, esporta il concetto “Il nemico del mio nemico è un alleato”; nella Bibbia (Esodo 23:22) si legge il passaggio: “Io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari”; un vecchio detto latino recita: “Amicus meus, inimicus inimici mei” (amico mio, nemico del mio nemico). È a questo pensiero, traslato e rinvigorito nel corso dei secoli, che si sta aggrappando un uomo sempre più solo: Emmanuel Macron.

Secondo un sondaggio realizzato dall’istituto Ifop (Institut Français d’Opinion Publique), soltanto il 31% dei francesi si dichiara soddisfatto per le scelte politiche del Presidente francese. Messo alle strette, Macron ha sorpreso tutti, imbastendo una strategia inedita per un politico: chiedere aiuto. Durante un discorso a Saint-Pierre, ha infatti dichiarato: “Ho bisogno di voi, giornalisti, popolazione, eletti per spiegare l’azione dell’esecutivo. Aiutatemi.” Ha poi aggiunto: “Nella pancia provo la stessa impazienza di 66 milioni di francesi.” In realtà non è a loro che sta parlando da mesi, ma a una platea più ampia: è partita la corsa per le Europee del 2019, la sua ancora di salvezza.

La carriera politica di Macron si è prevalentemente basata sulla figura dell’antitesi. L’opposizione alla destra sovranista di Marine Le Pen gli ha spalancato le porte dell’Eliseo, ma i francesi più moderati hanno tirato un sospiro di sollievo più per lo scampato pericolo di Le Pen presidente, che per esaltare le doti un politico ben distante dalla statura dei Mitterrand della loro memoria. Adesso Macron prova a replicare quell’escamotage, ma su ampia scala. Il suo scopo è quello di diventare il paladino in grado di raggruppare tutte le forze progressiste e democratiche europee, e compattarle per la sfida contro i sovranisti. Ma se le politiche autoreferenziali e nazionaliste – per non dire xenofobe – di Visegrad e dei Salvini di turno sono esplicite nel loro mostruoso anacronismo, Macron tenta di raggruppare gli alleati con la sola scusa del nemico comune. Questo ragionamento potrebbe anche filare, nel mondo delle utopie e delle marmotte che confezionano la cioccolata. In quello reale, se il nemico del mio nemico fa altrettanto ribrezzo, allora è meglio smarcarsi alla svelta.

Le contraddizioni e le ipocrisie di Macron hanno radici profonde. Nessuno può rimproverargli le malefatte dei suoi predecessori, come ad esempio le scellerate mosse di Sarkozy in Libia, paragonabili a quelle di un ubriaco davanti alla mappa del Risiko. Le conseguenze di quelle azioni le stiamo vivendo ancora adesso, e non sono facili da arginare. Ciò che invece Macron ha sulla coscienza è l’opportunismo politico che male si sposa con l’apparenza dei suoi intenti, i fatti che dicono altro rispetto alle parole. Da Calais a Ventimiglia, Macron sta professando l’innocenza dei santi, comportandosi come un Orbán qualunque.

Viktor Orban

L’Oxfam ha spiegato bene la situazione che si vive a Ventimiglia, tra minori e donne trattenuti come prigionieri, diritti violati e condizioni disumane per i migranti. La polizia francese non si fa scrupoli quando si tratta di respingimenti illegali verso l’Italia, quando i documenti vengono falsificati o si ricorre ad abusi e violenze. Non si acquieta nemmeno quando ha a che fare con una donna incinta, trascinata fuori dal vagone di un treno con brutalità. Le cose non vanno meglio a Bardonecchia, dove la gendarmerie entra armata nel territorio italiano giocando alla caccia al migrante – un caso borderline, la cui legittimità non è ancora stata appurata.

Per questo stridono le invettive di Macron contro l’Italia, ad esempio nella querelle sull’Aquarius. “Italia cinica”, “Vomitevole”, sono soltanto alcuni degli attacchi scagliati contro la nostra nazione. I comportamenti barbari di Salvini certamente meritavano tali epiteti, ma non per bocca della Francia.

Migranti sulla nave Aquarius

La scorsa settimana, è stata avvistata una nave carica di migranti diretta a Marsiglia, l’Aquarius. Sos Méditerranée, l’organizzazione che gestisce l’Aquarius insieme a Medici senza frontiere, intendeva chiedere al governo francese un’autorizzazione eccezionale, inizialmente negata, per far sbarcare a Marsiglia i 58 migranti a bordo. I ministri francesi hanno fatto fronte compatto per impedire lo sbarco, usando le stesse scuse dei politici italiani di qualche mese fa: “Deve attraccare nel porto più vicino”, “Vada a Malta”, e altri ghirigori verbali per negare il loro aiuto. Tutto questo ha rafforzato la propaganda di Salvini, che non aspettava altro. Il leader leghista ne ha approfittato per ribadire il suo mantra – “In Italia non sbarcheranno” – e, in una gara a chi ce l’ha più lungo (il pugno di ferro), ha criticato Macron per le sue ipocrisie riguardo alla gestione del fenomeno migratorio.

Alla fine, la Francia ha trovato un accordo per la spartizione dei migranti con Germania, Spagna e Portogallo, con l’aiuto decisivo della “base” Malta. Spartizione, come se fossero barili o casse di pomodori, e non esseri umani.

Le ultime vicende hanno portato Macron a spingere ancor di più sulla frattura tra sovranisti e resto d’Europa. Ha attaccato l’Italia dicendo: “L’Italia ha scelto di non seguire più le leggi internazionali e in particolare quelle umanitarie del mare, secondo cui quando una nave è in una situazione umanitaria va nel porto più vicino.” Sarebbe giusto, per una politica progressista, non imitare le barbarie altrui, dopo averle aspramente criticate. Invece Macron si sta perdendo nell’emulazione della parte sbagliata della luna, nel copia-incolla dei ricatti sulla pelle degli innocenti. E il problema, per l’Europa intera, è che sono molte le forze progressiste che gli stanno andando dietro, come il Pd in Italia.

Maurizio Martina, segretario nazionale del Partito Democratico

La Stampa, qualche giorno fa, ha pubblicato un documento particolare, il manifesto degli antisovranisti, firmato da Macron e altre sette figure europee di rilievo, tra cui Matteo Renzi. I leader progressisti hanno tracciato un percorso per le elezioni Europee, così spiegato: “Proponiamo di rifondare l’Europa per finalmente rispondere alle aspettative dei cittadini e per ricongiungerci alle promesse dei padri fondatori.” Questo accade in un momento in cui le “aspettative dei cittadini” sono della stessa materia della bava che cola dalla bocca dei sovranisti, purtroppo; e alle prossime elezioni comunitarie questo sarà evidente. Il manifesto continua così: “Piuttosto che le minacce di ‘pulizia di massa’ di Salvini, dello ‘sbarazzarsi dell’Islam’ de l’AfD tedesco o dello ‘smetterla con l’Europa’ della signora Le Pen, rivendichiamo con fierezza i valori fondatori di pace, di libertà, di prosperità e di solidarietà.” Sembra il discorso di Miss Italia dopo la proclamazione, non la ricetta per rinvigorire un’identità progressista ormai, per essere ottimisti, dormiente.

A prendere le distanze da Macron ci pensano le due facce nuove del Pd: Nicola Zingaretti e Roberto Fico.  Il primo ha dichiarato di sentirsi “Diverso da Macron”, e di non doversi appiattire sulla scia di En Marche. Il secondo ha detto: “L’asse di Visegrad è contro gli interessi italiani, ma non è che con Macron abbiamo questa grandissima scelta, dopo quello che hanno fatto i francesi a Ventimiglia e in Libia.” È quindi doverosa l’interruzione della logica dei cattivi contro i buoni, della merda contro la cioccolata, quando in realtà l’Europa arranca dietro le due facce della stessa medaglia.

Roberto Fico

Ha scritto bene Ian McEwan nel suo ultimo romanzo, Nel guscio: “La Vecchia Europa si gioca a testa o croce i propri sogni, incerta fra paura e compassione, fra accoglienza e rifiuto. Commossa e generosa questa settimana, ruvida e pragmatica la prossima, vorrebbe essere d’aiuto ma detesta condividere o rinunciare a ciò che ha.” È  la retorica dell’unità a giorni alterni, della solidarietà flessibile; e la sinistra, termine ormai ammaccato e antidiluviano, dovrebbe rinnegarla a gran voce. Giusto seguire un modello, un punto di riferimento per il futuro di un continente che adesso ha più crepe che Stati. Serve la stella polare per la riscossa, ma quella stella non può essere Macron.

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