Perché l’impeachment di Mattarella è una stronzata

Vi sono momenti in cui è necessario – e anzi sarebbe estremamente pericoloso non farlo – ribadire con forza quella che è l’unica e indiscutibile realtà: l’impeachment non c’entra assolutamente niente. Ma manco per sbaglio. Sostenere il contrario rispetto a quanto deciso ieri da Mattarella non è altro che una prova di magistrale ignoranza costituzionale.

Il vero tema da chiarire è se questa mastodontica prova di analfabetismo istituzionale – mai avrei pensato di trovarmi in pieno accordo con la Camusso – sia dovuta solo a un’atavica mancanza di preparazione, o non sia, piuttosto, una mossa comunicativa ben precisa, consapevolmente messa in atto.

Per quanto la prima opzione sia più che verosimile, per una volta sono tentato dal concedere un po’ di credito alla “banda della messa in stato d’accusa”– incredibile notare la trasversale eterogeneità di questa cricca che include soggetti come Di Maio, Meloni, Santanché e persino il roboante Generale Pappalardo, ma anche esimi commentatori come Travaglio e Scanzi e non da ultimo il pensatore più ubiquo che ci sia, Diego Fusaro, capace di scrivere per Il Fatto Quotidiano e nello stesso giorno per il giornale di Casapound.

Diego Fusaro

Primo piccolo ripasso della struttura della Costituzione italiana – che poi è la stessa che solo qualche mese fa veniva osannata con incredibile zelo (probabilmente eccessivo anche in quel caso) dalle stesse persone che oggi invece gridano al Gomblotto dei poteri forti. Dopo i dodici articoli dei “Principi fondamentali”, la Carta è divisa in due parti, che si chiamano proprio Parte prima e Parte seconda (sì, i padri costituenti avevano tentato renderla a prova di scemo, ma tant’è).

La parte seconda è dedicata agli articoli inerenti l’ordinamento della Repubblica, e al Titolo II trovano spazio quelli dedicati a disciplinare il ruolo e i compiti del Presidente della Repubblica. È qui che troviamo l’articolo più in voga del momento, l’articolo 90 – che nella smorfia napoletana è il numero associato alla paura (coincidenze? Io non credo). Durante quell’imbarazzante momento di televisione andato in onda su Rai Uno ieri sera grazie a Fabio Fazio, il leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha dichiarato: “Chiedo di parlamentarizzare questa crisi istituzionale utilizzando l’articolo 90 della Costituzione che riguarda le responsabilità del Presidente della Repubblica.” L’ha detto così, senza che nessuno obiettasse o domandasse nulla, neanche chi in diretta nazionale sulla prima rete della televisione di Stato era seduto su uno sgabello ad ascoltare la telefonata. Ricordo la doverosa indignazione per le telefonate di Berlusconi, mentre di ieri resta un tweet che ne fa un discorso di educazione: “Per la mia cultura televisiva è impensabile dire No a una persona che chiama.”Bene, adesso sappiamo a chi andrà il Telegatto per la trasmissione più educata.

Tornando all’articolo 90, nel testo si legge che “Il Presidente non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento e attentato alla Costituzione. In tali casi è messo sotto stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri.” Il Capo dello Stato, dunque, può essere giudicato solo qualora ci siano violazioni della Costituzione tali da stravolgere i caratteri essenziali dell’ordinamento, e sovvertirlo con metodi non consentiti dalla Carta. Come nel caso in cui qualcuno dica che “Se la democrazia rappresentativa fallisce… allora dovremo inventarci qualche altra cosa.” Ah no, quello era Di Maio.

È del tutto assurdo pensare che il comportamento del Presidente Matterella – che, come fatto notare da più parti, non è un novità nella storia della Repubblica – fosse volto a sovvertire il nostro ordinamento. Per attivare la procedura di impeachment, le Camere dovrebbero votare un testo in cui si chiariscono le ragioni per cui Sergio Mattarella può essere imputato di attentato alla Carta. I Cinque Stelle, quelli che hanno lanciato l’idea insieme a Giorgia Meloni, dovrebbero trovare le ragioni costituzionali per circostanziare le accuse, magari tenendo fuori le sirene e il gruppo Bilderberg. Questo perché, se spetta alla Corte Costituzionale emanare la sentenza, l’ammissibilità della procedura spetta solo ed esclusivamente al Parlamento che – visto il clima da ripasso generale – è quella cosa formata da due Camere e 950 parlamentari e non una piattaforma online gestita da un’associazione X di cui non si conosce neanche il numero esatto degli iscritti (certificati e non).

Ed è proprio l’ineluttabilità del passaggio parlamentare a rendere tutta questa discussione esilarante. Mentre è già partita la campagna elettorale e si minaccia, neanche troppo velatamente, una nuova marcia su Roma qualora la data del voto non fosse imminente, il M5S deve decidere se andare alle urne subito oppure procedere con lo stato di accusa a Sergio Mattarella. Una cosa esclude l’altra, pazzesco eh? Una richiesta di andare al voto, con conseguente scioglimento delle Camere, è ovviamente incompatibile con l’impeachment. Di fronte a una tale accusa, infatti, il Capo dello Stato non può sciogliere un bel niente. E a quale maggioranza si appoggeranno i prodi combattenti pentastellati per avere i voti necessari, ora che l’alleato Salvini non ha appoggiato questa strabiliante iniziativa di impeachment?

Negli ultimi paradossali e grotteschi tre mesi di crisi politica, gli unici ad aver agito ben al di là di quanto previsto dalla Carta sono proprio coloro che adesso inveiscono contro il Suo Garante. Quelli che hanno esternalizzato le consultazioni con lo scopo di redigere un contratto che trasuda anticostituzionalità – probabilmente esagero, ma ogni volta che sento parlare di Comitato di conciliazione non riesco a smettere di pensare al Gran consiglio del fascismo. Quelli che hanno scelto il nome di un presidente del Consiglio che mai si era avvicinato alla politica, né tantomeno alle forze politiche che lo spingevano a Palazzo Chigi – sappiamo tutti che preferisce trascorrere le sue estati negli States; che volevano che a nominare i ministri non fosse il Presidente della Repubblica, su proposta di quello del Consiglio, ma i leader delle forze politiche di maggioranza. Per questo punto in particolare c’è un articolo apposito, il 92, ma a quanto pare ci siamo fermati a sfogliare la Costituzione alla fine del Titolo II, anche perché, dai, 139 articoli sono troppi.

La realtà è che da ridere c’è molto poco. Le accuse, che più infondate non si può, rivolte al Presidente Mattarella altro non sono che mera propaganda da campagna elettorale. L’ideologia grillina, che ora comincia a mostrare a tutti la propria pericolosità in maniera manifesta, ha il costante bisogno di identificare un nemico capace di far serrare i ranghi di simpatizzanti e sostenitori, uniti soprattutto dal senso di rivalsa verso un Altro che può essere prima Berlusconi, poi Renzi, e sempre e comunque il Sistema le Banche l’Unione Europea e così via.

Siamo giunti a quello che purtroppo era prevedibile: l’elezione a nemico designato di un’istituzione portante della nostra Repubblica. Chissà quanto ci vorrà prima che il nemico diventi la Repubblica stessa.

Segui Giuseppe su The Vision | Twitter | Facebook