Abbiamo letto le proposte per la crisi climatica dei vari partiti: siamo messi malissimo - THE VISION

A inizio agosto, la Società italiana per le Scienze del clima (SISC) ha indirizzato ai nostri politici una lettera aperta in cui chiedeva che la crisi climatica fosse posta urgentemente in cima all’agenda politica: un grido d’allarme rimasto per ora inascoltato. Certo, l’estate con temperature superiori ai 40 gradi e la siccità estrema hanno impedito ai partiti di ignorare del tutto l’emergenza al momento di stilare il programma elettorale; ma, purtroppo, non basta usare la parola “ambiente” per dimostrare di prendere sul serio il problema rappresentato dall’emergenza climatica. I comizi elettorali insistono su tasse, pensioni e bonus, che in una fase in cui il caro energia colpisce i portafogli di imprese e cittadini sembrano gli argomenti di maggiore presa. Ma questi fattori sono direttamente connessi alla crisi climatica e i candidati dovrebbero avere il dovere civico e politico di dirlo, anche perché solo nel 2020, per esempio, abbiamo speso quasi 35 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi, tra incentivi, sconti sulle tasse e finanziamenti diretti e indiretti ad attività impattanti.

L’unica agenda politica possibile è quella climatica, non solo perché l’ambiente rappresenta la nostra massima urgenza, ma anche perché intreccia una quantità di temi altrettanto importanti: dal costo della vita all’energia, alle migrazioni, come sottolineano i Fridays For Future. Eppure, sembra che i partiti non ci stiano pensando. Non che l’ambiente non appaia nei programmi elettorali: molti includono obiettivi ambiziosi, pure troppo, ma raramente pianificano strategie concrete o interventi strutturali per raggiungerli, e non indicano quasi mai la provenienza delle risorse per sostenerli.

Fratelli d’Italia, per esempio, ritiene che la difesa dei confini nazionali e della natalità siano più importanti della transizione energetica e delle energie rinnovabili, che appaiono nel programma solo molto più in fondo. L’ambiente, definito “una priorità” – pur essendo solo al 16esimo punto del programma – è interpretato attraverso la lente dell’“ecologismo conservatore”, per il quale l’ambiente più che in senso scientifico è visto in senso religioso, come “Creato”. Territorio, patria, confini sono termini ricorrenti nel linguaggio della destra, martellanti in campagna elettorale, ma della crisi climatica Giorgia Meloni e i suoi alleati finora si sono interessati poco – come dimostra l’opposizione fatta in Europa contro l’innalzamento dei tagli ai combustibili fossili. Nel programma di FdL, riguardo all’economia circolare, al riciclo dei rifiuti, alla tutela dei mari e al contrasto allo spreco idrico le dichiarazioni sono ambiziose, ma generiche. Altri punti molto importanti – come l’educazione ambientale, la salvaguardia della biodiversità e i trasporti pubblici – che meriterebbero un certo spazio, sono poi soltanto elencati.

Più approfondito, invece, è il tema dell’agricoltura, a cui è dedicato un paragrafo a parte (il 15esimo), nel quale, però, più che di transizione ecologica del settore, si parla solo di tutela delle eccellenze agricole italiane e garanzie di finanziamenti a imprese agricole, allevamenti e pesca. Questi settori, che hanno un elevato impatto ambientale, andrebbero sostenuti, sì, ma per essere accompagnati nella conversione. Il comparto agricolo, in particolare, assorbe oltre 3mila milioni di euro in sussidi ritenuti ambientalmente dannosi che, come sottolinea Legambiente, potrebbero essere usati per rendere l’agricoltura italiana più efficiente e sostenibile. Rivedere questi sussidi sarebbe già un bell’inizio, invece, nell’insieme, il centrodestra mette molte cose sul tavolo, ma non fa menzione degli – ingenti – investimenti necessari per realizzare certi obiettivi, e tra aumenti di pensioni e stipendi e tagli alle tasse, non viene mai spiegato come si finanzierà questa costosa difesa dell’ambiente, tanto più che Meloni, in nome di una posizione forte in Europa, vuole persino rinegoziare il PNRR.

Per quanto riguarda la Lega – che ha le sue radici tra i cacciatori della Lombardia profonda, legati al territorio, non necessariamente all’ambiente: di questo e delle sue tradizioni fa il suo cavallo di battaglia. Anche dopo la svolta “moderna” portata da Matteo Salvini, il partito non ha rinunciato a strizzare l’occhio ai cacciatori nel nome della tradizione, tra una sagra della salsiccia e la strenua difesa dello spiedo come vessillo culturale. Tra un’affermazione sull’importanza del riciclo dei rifiuti – una foglia di fico, in realtà, ma qualcosa che gli elettori possono figurarsi facilmente – e l’altra, infatti, ci si imbatte nella difesa della cucina tipica, un elemento a quanto pare molto caro a Salvini, poiché esprime “il radicamento identitario del nostro territorio”. La Lega ci tiene a parlare di agricoltura, per lo più criticando il Green Deal europeo e difendendo gli usi culinari locali, per poi parlare di mobilità sostenibile, affermando, senza pudore, l’importanza dell’automotive. Il punto del programma dedicato alla “transizione ecologica” parla poi di “vecchio ambientalismo ideologico di chi vorrebbe fermare il progresso, innescare uno Stato di Polizia e portare il Paese verso la decrescita”, ritenendo invece che progresso e tecnologia garantiranno la sostenibilità. Non ci sono però piani concreti e strutturati di transizione ecologica, conversione industriale e tagli alle emissioni. Forse Salvini pensa che prima o poi arrivi un generico “Ingegnere” archetipico a salvarci con qualche innovazione geniale e istantanea. Per non perdere poi il voto degli amanti degli animali – che ogni giorno se li mangiano e poi li coccolano sul divano – la Lega dedica un intero punto del programma alla “tutela e benessere degli animali”. Solo cane e gatto, ovvio.  D’altronde Berlusconi docet.

Dal canto suo, anche il Partito Democratico – per Enrico Letta “il partito ambientalista più grande d’Europa” – ha un’agenda ambientale un po’ troppo vaga per fregiarsi di questo titolo. Vero è che il programma di partito mette “Sviluppo sostenibile e transizioni ecologica e digitale” al primo posto dei suoi “tre pilastri del Piano Italia 2027”: un inizio incoraggiante. Solo che poi si perde, dichiarando l’importanza di fissare obiettivi climatici realistici, ma ambiziosi, e di mettere in campo strumenti per attuare la transizione, cosa che poi però non fa, almeno nel programma. Uno dei punti su cui si insiste è la realizzazione di un “Forum nazionale per il lavoro e per il clima”, in grado di dar vita a un’intesa che realizzi patti ambientali territoriali per la piena “occupazione verde”, nel contesto di una transizione ecologica e digitale – ma anche qui mancano informazioni più precise. Quanto alla mobilità, il PD punta su trasporti pubblici efficienti, anche con sconti, e servizi integrati, mentre parla di un Piano nazionale per l’acqua, la siccità e il dissesto idrogeologico per sostenere la salvaguardia dei suoli e combattere la dispersione idrica, e di un fondo di rotazione di 500 milioni per sostenere progetti agricoli green.

Niente di radicale nemmeno per Azione e Italia Viva, che scelgono il gas come primo strumento di indipendenza energetica e di transizione, da affiancare al nucleare, invocato anche dal centrodestra. Com’è noto questa è una fonte energetica effettivamente sostenibile, ma che presenta non pochi problemi, non tanto di sicurezza, quanto di scorie e fattibilità, dato che servono in media sette anni (spesso molti di più), per costruire una centrale e farla funzionare, anni che non abbiamo per restare entro i limiti di aumento delle temperature medie considerati critici. Vi si oppone invece il Movimento 5 Stelle, che punta soprattutto sui superbonus edilizi e sullo stop a nuovi inceneritori e nuove trivellazioni; ma non presenta dati che concretizzino i propri obiettivi, né informazioni sugli stanziamenti necessari. Questi ultimi sono infatti oggetto di un punto successivo, interamente incentrato sulla mobilità smart, mentre l’ambizioso obiettivo di “riconversione del parco auto privato circolante” resta vago. Quanto all’agricoltura, i pentastellati puntano sulle tecnologie per razionalizzare acqua e fertilizzanti e sull’estensione del Piano Transizione 4.0, che prevede crediti d’imposta per gli investimenti fatti dalle imprese. Anche in questo caso nessun dettaglio aggiuntivo. In seguito si tratta di promozione dell’economia circolare, con proposte in favore del cosiddetto “vuoto a rendere” e del contrasto all’obsolescenza programmata, fattori indubbiamente importanti, ma anche molto specifici e non esattamente strutturali.

Come abbiamo visto, i maggiori partiti italiani fanno proposte vaghe e poco incisive, spesso altisonanti ma vuote, come quelle a cui ci ha abituati negli anni Berlusconi, che infatti non ha perso l’occasione di annunciare la messa a dimora di un milione di alberi all’anno, dimenticando che il PNNR  ne prevede ben 6,6. Per quanto gli alberi siano importanti, però, serve ben altro, a partire da interventi strutturali di riconversione industriale, agricola ed energetica. E invece su questo, a parte qualche eccezione, le proposte sono generiche e non coraggiose quanto ci si aspetterebbe. È l’alleanza tra Europa Verde e Sinistra Italiana a dedicare più spazio a temi come l’adattamento climatico e gli incentivi ai trasporti pubblici, oltre a essere l’unica a proporre una moratoria sull’apertura di nuovi allevamenti intensivi e sull’ampliamento di quelli esistenti e la riduzione del numero di animali allevati. Altri punti centrali del programma, insieme a una legge per fermare il consumo di suolo, sono la promozione delle scelte alimentari vegetali e della riconversione della produzione alimentare, a partire dal sostegno alle aziende che la intraprendono. Queste proposte urgenti e condivisibili, però non sembravano essere sufficienti per superare un misero 2,5% nelle intenzioni di voto a un mese dalle elezioni, a dimostrazione della scarsa attrazione che i Verdi (e loro varie sfumature) hanno in Italia, contrariamente al resto d’Europa.

Nel complesso, parole come “crisi climatica” ed “emergenza” sono assenti dal dibattito politico, come se agli elettori non interessassero. Anche ammesso che sia così, i politici avrebbero però il dovere etico di parlarne, di comunicarne l’importanza – anche economica, se davvero ci importa solo del nostro portafogli – e l’urgenza. Per ora, la strategia migliore per accaparrarsi i voti sembra quella di ripetere sempre le solite promesse che poi sistematicamente non vengono mantenute. Il rischio è che, finita la conta dei voti, sulla soglia dell’inverno, l’ambiente torni a essere ignorato come sempre, mentre le bollette saranno ingestibili, le temperature medie continueranno a crescere e i ghiacciai a sciogliersi.

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