No, non vi permettete: fascismo e comunismo non sono la stessa cosa, più che mai in Italia - THE VISION

Negli ultimi giorni in cui si è sentito parlare molto di ritorno di fascismo a causa della presenza di nostalgici in Fratelli d’Italia e dell’assalto alla sede nazionale della CGIL guidato da esponenti di Forza Nuova, si è ripresentata l’annosa questione di che cosa è lecito chiamare fascismo e cosa invece rappresenta una paranoia. “Il fascismo oggi non esiste più” è un mantra che funziona sempre bene quando si vuole fare del sano benaltrismo oppure quando non si vogliono chiamare le cose con il loro nome. Se “la sinistra vede fascisti ovunque”, però, la destra non è da meno, visto che vede proprio i fantasmi. 

Giuliano Castellino leader di Forza Nuova

Gli spettri del comunismo sono un’ossessione per i conservatori: Giorgia Meloni su Twitter si indigna per una foto di una bandiera dell’Urss sventolata nella manifestazione indetta a Piazza San Giovanni dalla CGIL dopo i fatti del 9 ottobre. Ma il meglio lo dà Libero commentando il Salone (anzi il Soviet) del Libro che si è appena concluso a Torino: per il quotidiano di Sallusti la fiera si trasforma nel “Salone del libretto rosso” che “ospita dittatori e terroristi”. Sgomento per la presenza di libri firmati da Mao, Lenin e Trotsky. Paura per una pericolosissima biografia di Che Guevara. Scandalo per le opere del fondatore di Potere Operaio Oreste Scalzone e di Toni Negri, con la precisazione della fedina penale di entrambi per partecipazione ad associazione sovversiva. Tutto – cioè una singola bandiera sventolata a una manifestazione e qualche casa editrice che non ha mai nascosto le proprie simpatie politiche – lascia intendere che il nostro Paese sia in balia dell’estremismo comunista, ben più pericoloso dei fascisti dichiarati che distruggono la sede del più grande sindacato italiano, e che per una ragione non del tutto comprensibile non possono essere chiamati con il loro nome: fascisti.

Giorgia Meloni

L’equiparazione di nazifascismo e comunismo non è di certo una novità. A settembre del 2019, in occasione degli 80 anni dall’inizio della Seconda guerra mondiale, il Parlamento europeo approvò una controversa risoluzione che equiparava non solo il regime nazista a quello comunista, ma anche le due ideologie, con un’impostazione che è stata aspramente criticata da molti storici e studiosi perché riduce la lunga storia del comunismo alla sola dittatura di Stalin. Questa teoria trova il suo fondamento nel concetto di totalitarismo, popolarizzato dalla filosofa Hannah Arendt nel libro del 1951 Le origini del totalitarismo, in cui si indagano le cause politiche del regime nazista e di quello stalinista con la tesi che non fossero poi così diversi. In anni più recenti, dopo la caduta del Muro e la conseguente disgregazione dell’Unione Sovietica (con la desecretazione dei suoi documenti), si è inoltre aperto il filone degli studi sui crimini del comunismo, un campo di studio molto controverso e criticato per le sue metodologie e conclusioni.

Nel 1997, Il libro nero del comunismo, un saggio a più mani curato dallo storico Stéphane Courtois, snocciolò i primi numeri delle vittime del comunismo, parola con la quale gli autori identificano diversi regimi, governi e generiche azioni compiute in nome di questa ideologia: 94 milioni, di cui 65 in Cina e 20 in Unione Sovietica. Il libro fu criticato da numerosi storici, giornalisti e intellettuali come Noam Chomsky e da alcuni sopravvissuti all’Olocausto, che accusarono Courtois di banalizzare la Shoah. Persino alcuni tra gli stessi autori del libro si dissociarono dalle conclusioni di Courtois e sostennero che lo storico era “ossessionato” dal far risultare 100 milioni le morti provocate dal comunismo, arrivando anche a modificare le cifre per far tornare i conti. Nonostante le numerose critiche metodologiche ed etiche, l’idea che “il comunismo” abbia provocato 100 milioni di morti è ormai data per assodata, in una macabra gara con il nazifascismo a chi ne ha causate il numero maggiore. Così, ogni volta che si parla di fascismo o nazismo, qualcuno si sente legittimato a fare paragoni con il comunismo nel suo insieme. 

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Noam Chomsky

Usare questa (dubbia) cifra come una clava annulla però qualsiasi differenza tra comunismo e stalinismo, tra un’ideologia che ha una storia lunga 173 anni e il regime di Stalin che ne è durato 26. Usarla in un Paese come l’Italia, poi, in cui il comunismo è stato represso politicamente sin dalle sue origini e non si è mai trasformato in nulla di nemmeno lontanamente paragonabile a un regime autoritario significa piegare la storia a proprio piacimento: la storia del comunismo italiano non può essere in nessun modo paragonata a quella dell’Unione Sovietica né allo stalinismo. L’unico regime che l’Italia ha conosciuto è quello fascista, responsabile diretto di migliaia di morti su cui non c’è alcuna incertezza storica. Per questo motivo il fascismo è oggetto della XII disposizione finale della Costituzione che vieta la riorganizzazione del partito fascista e di leggi come la Scelba e la Mancino. Niente di simile esiste per il comunismo, il socialismo o qualsiasi altra ideologia di sinistra.

Oltre a queste distinzioni storiche che appaiono sempre più necessarie in un periodo in cui il revisionismo è capace di farsi istituzione, è poi necessario guardarsi intorno con un po’ di realismo: non si capisce dove sarebbe questo comunismo sdoganato e sovversivo o questo clima da rivoluzione d’ottobre. Finita la stagione del partito comunista italiano, da decenni la sinistra del Paese è sempre più orientata verso un centrismo moderato dal punto di vista dei diritti civili e saldato con gli interessi di Confindustria dal punto di vista di quelli sociali. La falce e il martello che preoccupano Meloni sono scomparsi dal simbolo del più grande partito di centrosinistra dal 1998 e quelli che ancora ricorrono a questa simbologia non hanno seggi in parlamento dal 2006. Le lotte operaie e la questione di classe non sono più una priorità per il Paese e di certo non dettano l’agenda politica. 

Richiamarsi a questi spettri presentandoli come un’eventualità possibile o, in maniera ancora più grottesca, una minaccia può servire solo a distrarre dal fatto che questo Paese non ha fatto davvero i conti con il proprio passato. Fascisti dichiarati ricoprono incarichi politici di rilievo, chi minimizza la Shoah si candida a sindaco di Roma, organizzazioni come Forza Nuova e CasaPound operano alla luce del sole. Il partito in maggior crescita negli ultimi anni, guidato da Giorgia Meloni e nato dalle ceneri dell’MSI, non solo ha una chiara impostazione neofascista – anche se i legami con l’ideologia del ventennio vengono continuamente smentiti –, ma ha al suo interno esponenti condannati per apologia del fascismo, che ringraziano i camerati di averli eletti, che inneggiano esplicitamente al duce o che organizzano eventi culturali legati alla galassia nazifascista. Non si sa bene per quale motivo, ma nessuno di questi indizi dovrebbe farci sospettare che il fascismo sia ancora una realtà nel nostro Paese. Al contrario, la conclusione che dovremmo trarne è che il vero pericolo sono i comunisti. Se Meloni o Sallusti sanno dove sono nascosti, li preghiamo di dircelo. Li cerchiamo da almeno trent’anni.

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