Siete sicuri di voler vivere in una democrazia diretta?

Il nove agosto è stata una giornata speciale per il Movimento Cinque Stelle: la piattaforma Rousseau, strumento digitale di democrazia diretta, ha raggiunto i 100mila iscritti. Un traguardo importante per un sistema chiuso attraverso cui si votano leggi, si scelgono candidati e vengono coordinate le attività del partito. Per i Cinque Stelle, infatti, la democrazia diretta è il futuro. Basta parlamentari mangiasoldi che promettono tanto e poi restano incollati alla poltrona. È arrivato il momento di dire addio alla casta e dare il benvenuto a una nuova classe politica che si dimezzi gli stipendi, rinunci ai vitalizi e lavori per raggiungere un fine ultimo: mettere in soffitta quelle stesse istituzioni per cui lavora.

Qualche settimana fa, il guru pentastellato Davide Casaleggio ha detto che “In futuro il Parlamento non servirà più.” Nulla di nuovo: la messa in discussione dell’istituzione per eccellenza della democrazia rappresentativa è un cavallo di battaglia del partito, sin dalla sua nascita. Già lo scorso giugno, Beppe Grillo aveva proposto di introdurre l’estrazione dei parlamentari, mentre pochi giorni dopo Di Maio aveva dichiarato che presto si sarebbe potuto sostituire le Camere con “qualche altra cosa”. Al di fuori del M5S, ma restando nel governo, anche il sottosegretario leghista alla presidenza del consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha detto che “se continuiamo a difendere il feticcio della democrazia rappresentativa non facciamo un bene alla stessa democrazia”.

Davide Casaleggio presenta una nuova funzione della Piattaforma Rousseau al Senato della Repubblica, 11 maggio 2018, Roma

Se in passato la democrazia diretta era considerata una sorta di utopia perché non esistevano i mezzi per metterla in atto nel concreto, oggi la diffusione capillare di internet rappresenterebbe la chiave di volta per condurci verso questa grande rivoluzione. Eppure, le cose non sono così semplici come vorrebbero far apparire. La piattaforma Rousseau, sul blog del M5S, viene definita “Un sistema straordinario”. Non deve pensarla allo stesso modo il garante della Privacy, che nel maggio scorso ha ritenuto insufficienti le misure prese dal Movimento in risposta ai due attacchi hacker avvenuti nella sola prima settimana di agosto 2017, dimostrando la fragilità tecnica della rivoluzione della democrazia diretta pentastellata.

Inoltre, gli interrogativi riguardanti la trasparenza del sistema Rousseau sono stati molti sin dall’inizio. La piattaforma è in mano a Davide Casaleggio, capo della società di consulenza strategica Casaleggio Associati. I sondaggi che di frequente vengono pubblicati sul Blog delle Stelle servono per definire di volta in volta la direzione che dovrà prendere il Movimento su questo o quell’argomento, in una sorta di centrifuga politica alimentata dal sentimento degli iscritti. È questa, d’altronde, l’essenza della democrazia diretta. Il problema è che, nel caso di Rousseau, tutto il processo risiede nelle mani di un singolo, un imprenditore privato che non ha ruoli ufficiali all’interno del M5S. Come sottolineato da Il Post, Davide Casaleggio è in grado di influenzare la linea dei Cinque Stelle proprio attraverso questi strumenti informatici.  Lui e i tecnici della piattaforma hanno pieno accesso ai dati degli iscritti, comprese le votazioni: un fatto che viola i principi democratici della segretezza del voto e della protezione della privacy.  Ecco perché spesso si parla del Movimento Cinque Stelle come di un partito gestito da un Srl milanese, con tutto il conflitto di interessi che questo comporta.

I gestori della piattaforma esercitano anche un controllo sulla liquidità dei parlamentari pentastellati, che devono versare a Rousseau 300 euro al mese per il mantenimento della struttura e, quindi, dell’azienda privata da cui è amministrata. Come denunciato da Andrea Romano, direttore di Democratica, “ogni anno arriveranno nelle casse di Casaleggio 813mila euro, 4 milioni in 5 anni.”

Andrea Romano, politico e direttore di Democratica, il giornale online del Partito Democratico

Nonostante le evidenti problematiche, sottolineate da inchieste e interrogazioni parlamentari, il Movimento Cinque Stelle sembra convinto della bontà del sistema Rousseau come strumento democratico. Nelle ultime settimane gli iscritti sono stati chiamati a votare online in più di un’occasione (con risultati deludenti in termini di affluenza): dai candidati del Cda Rai, a quelli in corsa per le elezioni provinciali di ottobre.

Questo genere di esperimento politico non è il primo al mondo. L’esperienza più nota è quella del Partito pirata tedesco, che nel 2010 ha iniziato a operare con il software LiquidFeedback, una piattaforma attraverso cui la comunità online poteva prendere parte alle discussioni e intervenire nei processi decisionali del partito. A livello teorico, si trattava di una forma di democrazia liquida, una via di mezzo tra la diretta e la rappresentativa. L’idea di fondo è che i membri possono decidere se votare o di delegare il proprio potere decisionale ad altri soggetti più preparati sul tema. Nel 2013 il partito tedesco, in una tre giorni di assemblea interna, si è espresso sull’introduzione della votazione digitale vincolante: la mozione non è passata perché la maggior parte degli iscritti temeva che questo potesse minare la loro privacy e il loro diritto all’anonimato. Gli stessi elementi che oggi più che mai portano a sollevare dubbi sul sistema Rousseau.

Giovani esponenti del Piratenpartei, il Partito Pirata tedesco, nel corso di una conferenza stampa

Al di là di questi aspetti, che riguardano strettamente la e-democracy teorizzata dal M5S, ci sono altre problematiche insite nel più ampio concetto di democrazia diretta. Il Parlamento è un luogo di discussione, di analisi e confronto, e le leggi su cui i politici sono chiamati a esprimersi sono il frutto di un lungo iter procedurale. Senza il principio della rappresentanza, la discussione politica diventa selvaggia e l’analisi ordinata di commissioni apposite viene sostituita da un dibattito che nasce e muore nelle piazze. Un contesto simile crea un terreno fertile per i gruppi di pressione, le lobby e tutto quel sottobosco di organismi che operano per indirizzare a proprio favore il processo legislativo. Pensiamo allo scandalo Cambridge Analytica, la società che ha collaborato, tra gli altri, con il team elettorale di Donald Trump raccogliendo i dati di oltre 50 milioni di utenti Facebook – perlopiù americani – per costruire un software in grado di influenzare le scelte di voto. Ne è nato un profondo scandalo per via della violazione massiva della privacy delle persone e perché è emerso quanto sia facile manipolare e influenzare il pensiero degli elettori. In un contesto di democrazia diretta, lo scandalo Cambidge Analytica diventerebbe la regola, più che l’eccezione: la campagna elettorale si trasformerebbe in una costante opera di mistificazione. In California, dove i cittadini sono chiamati frequentemente a esprimersi sulle proposte di legge, la manipolazione dell’opinione pubblica ha portato a risultati favorevoli a determinate corporazioni e categorie, a scapito dell’interesse della collettività – i fondi per le politiche di welfare ne sono un esempio.

Jerry Brown, Governatore della California dal 2011

“Espelleremo 600mila immigrati irregolari,” diceva Silvio Berlusconi nelle settimane precedenti alle elezioni italiane del 4 marzo. Una promessa irrealizzabile, che giocava però sulla suggestionabilità dell’elettorato per ottenere il suo voto. Il fatto che poi, una volta al governo, il rimpatrio sarebbe stato impossibile, era poco importante. Tutto questo puzza di marcio, in fin dei conti si tratta di un raggiro deliberato e consapevole, ma le alternative fanno ancora più spavento. Prendiamo la questione migranti in Italia: siamo quotidianamente bombardati dalla retorica dell’invasione, degli stranieri che ci rubano il lavoro e delinquono in massa. Un quadro scioccante, che soffia sulle paure delle persone e offre uno scenario nazionale che di veritiero ha ben poco. Basta infatti leggere gli ultimi dati disponibili per scoprire che gli sbarchi sono diminuiti dell’80% nel 2018, i reati sono in calo e gli stranieri nelle carceri continuano a calare anno dopo anno. Nonostante questo, a farla da padrone è la percezione del problema, quella di chi pensa che in Italia gli immigrati siano il 25% della popolazione, quando in realtà costituiscono un misero 8%. Una distorsione alimentata dall’alto, che finisce per divorare la realtà dei fatti, influenzando le scelte delle persone.

Il principio di rappresentanza pone un filtro tra le paure della gente e le azioni della politica, anche se chi le sfrutta e le fomenta guadagna consensi. In un contesto di democrazia diretta lo scenario sarebbe invece quello di un referendum perenne, che ci metterebbe a rischio di vivere una sorta di dittatura della percezione. Le leggi del Paese diventerebbero perfetta rappresentazione delle emozioni della maggioranza, e la campagna elettorale si tradurrebbe in una quotidiana guerra di slogan volti a influenzare la percezione che le persone hanno delle cose. In fondo, parlando di immigrazione, lo stesso Davide Casaleggio ha dichiarato che “Quello che conta è la percezione che ne hanno i cittadini,” non la realtà dei fatti.

Davide Casaleggio

Le garanzie che la Costituzione prevede in difesa della democrazia rappresentativa sono un meccanismo necessario di lotta all’accentramento del potere e, in ultima istanza, al dispotismo. I fan della democrazia diretta considerano quest’ultima come il passo successivo, l’utopia, un gentismo che dovrebbe eliminare qualsiasi forma di accentramento, ma le cose non stanno così. A fare le spese di un sistema simile sarebbero soprattutto le minoranze. Oltre che dispotismo della percezione, la democrazia diretta è una dittatura della maggioranza, e questa non è una buona notizia. Daniel Lewis, professore della University of New Orleans, ha condotto uno studio sulle iniziative legislative contro i matrimoni omosessuali negli Stati Uniti, prendendo in considerazione sia gli Stati dove è più diffusa la democrazia diretta, sia quelli dove lo è di meno. Come sottolinea Lewis, quelli che prevedono meno intermediazione sono significativamente più propensi degli altri ad adottare divieti di matrimonio omosessuale. “I risultati,” continua, “supportano le critiche più diffuse alla democrazia diretta, suggerendo che i diritti dei gruppi di minoranza sono a rischio più elevato in questi sistemi.”

Chi auspica l’abolizione del principio di rappresentanza crede di farlo in nome del bene di tutti i cittadini, ma l’idea che esista un bene universale è quanto di più sbagliato si possa pensare. Come sottolinea Sergio Benvenuto su Doppiozero, “Quel che è bene per me cittadino può esser male per un altro cittadino, e viceversa. È impossibile fare il Bene universale, perché non ci sarà mai consenso universale su ciò che è bene.” La discussione parlamentare e il ruolo delle commissioni sono fondamentali per dare voce alle istanze di tutti, soprattutto di chi è poco rappresentato nella maggioranza di governo. Nel caso preso in esame da Lewis, ad esempio, il fatto che la gran parte delle persone sia contraria ai matrimoni omosessuali non è un buon motivo per negare ad altri un diritto civile che dovrebbe essere fondamentale. C’è un universo che va oltre il “volere del popolo”, che necessita di tutela istituzionale, un filtro di cui non possiamo fare a meno perché segna il confine tra democrazia e dispotismo.

Winston Churchill, 1948

La dittatura della maggioranza, fondata sui mal di pancia delle persone e sulla percezione dei problemi più che sui problemi stessi, non può essere la risposta alla crisi democratica che stiamo vivendo. Come diceva già Winston Churchill, d’altronde, “La democrazia rappresentativa è probabilmente il peggiore dei sistemi politici. A esclusione di tutti gli altri.”

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