La classe imprenditoriale va in paradiso

Fin qui è facile indovinare chi ha perso le elezioni, a partire da migranti e famiglie LGBT, ma per capire davvero chi le ha vinte occorre aspettare che si posi il polverone di promesse e false speranze. Dobbiamo ancora capire quante aliquote avrà davvero la flat tax e se il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle non si ridurrà a “una indennità di disoccupazione un poco rafforzata”, come l’aveva definita Giovanni Tria prima di diventare ministro dell’Economia.

È ancora presto per fare supposizioni, secondo me però hanno vinto i “padroncini”.

Si sa che i primi provvedimenti di un ministro hanno soprattutto un ruolo simbolico: Di Maio, arrivato al ministero del Lavoro per prima cosa ha mandato a chiamare Sergio Bramini, imprenditore brianzolo diventato famoso grazie al proprio fallimento, raccontato in particolare dalle Iene. La sua impresa di smaltimento rifiuti aveva come clienti lo Stato e altri enti pubblici; Stato ed enti tardavano a pagare, così Bramini, piuttosto di dichiarare bancarotta, ha ipotecato la casa, col risultato che la casa gliel’hanno portata via, che il suo cane è morto in un canile, e che lui adesso andrà a Roma ad assistere le piccole imprese. Appunto i “padroncini”, come li chiamiamo in Emilia-Romagna.

Sergio Bramini

Non solo perché dirigono aziende piccole, a volte più piccole delle automobili di rappresentanza intestate all’azienda, o perché spesso sono figli, o nipoti, dei fondatori, ma perché sono anche quelli che vivono ancora in ville contigue al loro capannone. Una siepe separa il giardino con piscina dal magazzino, dallo sguardo dei facchini extracomunitari.

Ecco, forse hanno vinto proprio loro. Il primo messaggio che Di Maio ha voluto dare dal suo ministero è: “Vi salveremo”. A Bramini e al piccolo-medio imprenditore piace la flat tax, ma servono le coperture economiche. Per il neoministro dell’Economia, Giovanni Tria, si può alzare l’IVA – che è già una delle più alte in Europa. Questa scelta di policy, ha spiegato Tria, sarebbe sostenuta “dalle raccomandazioni europee e dell’Ocse perché favorevole alla crescita”, e l’introduzione del sistema flat tax permetterebbe di attuare “un’operazione vantaggiosa nel suo complesso”. Misure volte a salvare la piccola e media impresa, visto che ogni giorno, dice Bramini, ne falliscono 320. Sono più di centomila imprese all’anno ed è incredibile non solo che chiudano, ma che in Italia ce ne siano così tante. Ma Eurostat conferma: ancora nel 2014 ne avevamo il doppio che in Germania. Siamo la nazione con più imprese in Europa, e siamo anche una delle nazioni che cresce meno.

Giovanni Tria

Forse non è una coincidenza: l’industria italiana potrebbe avere un serio “problema di nanismo”. Il caso di Bramini in fondo ci racconta che una piccola impresa che vive di commesse statali rischia di essere strangolata a causa di banali ritardi burocratici. Altrove è il mercato stesso a favorire la fusione e la creazione di imprese più grandi, in grado di far fronte con più efficienza a crisi di liquidità. Da noi invece occorre salvare quel tessuto sociale di capannoni e villette che era un chiodo fisso di Grillo, che è il Nord della bussola di Salvini e di Bossi prima di lui. Su tante cose Lega e Cinque Stelle non andavano d’accordo e probabilmente litigheranno presto; ma questo ecosistema di padroncini piace a entrambi. Uno dei primi obiettivi a cui i parlamentari Cinque Stelle cominciarono a destinare i loro stipendi fu proprio un fondo salva-piccole-imprese. È lecito domandarsi se ne valga la pena; se il modello di sviluppo della piccola impresa non sia per caso condannato dall’evoluzione, che in economia si chiama globalizzazione e che ultimamente premia chi riesce ad adattarsi a una tendenza mondiale di livellamento dei prezzi delle risorse e della manodopera.

La risposta è scontata: no, non ne vale la pena; la piccola impresa è spacciata, e i primi a rendersene conto sono gli stessi proprietari. I più previdenti hanno delocalizzato da anni, in Romania o in Cina; il capannone italiano lo tengono ancora per una questione di rappresentanza, e poi magari c’è ancora una decina di magazzinieri o qualche operaio che attacca l’etichetta Made in Italy fatta in Romania sul vestito confezionato in Cina. Nel frattempo il padroncino è al bar che si lamenta dei politici rapaci, dei migranti che rubano, dell’embargo contro la Russia, dei migranti che invece di rubare lavorano, ovvero rubano il lavoro; e soprattutto della piovra immonda che ha permesso tutto questo, l’Unione europea. Si stava meglio prima. Lui di solito votava Berlusconi, e quand’era deluso da Berlusconi passava a Bossi; adesso non c’è neanche bisogno di chiederglielo, bisogna rialzare gli steccati. Magari anche stampare le lire. Contro la Germania la lira era fantastica: bastava svalutarla un po’ e ti calavano anche i debiti. Bei tempi, Salvini potrebbe reintrodurli per decreto. Il piccolo imprenditore non è scemo, non sempre perlomeno; non crede per forza in tutto quello che dice, ma è bello credere anche solo per un momento che la Valpadana possa resistere ora e sempre contro l’avversario globale che si chiama Economia.

Il padroncino di solito non ha studiato tanto: non ne aveva motivo. Anche chi non era già instradato sull’asse ereditario si trovava comunque già in quella fascia generazionale in cui un laureato guadagnava a trent’anni la metà di un coetaneo che aveva cominciato a lavorare a diciotto. Studiare era semplicemente la scelta sbagliata, e anche oggi, che una laurea fa comodo anche per il concorso alla nettezza urbana, non è che la cultura offra le soluzioni: permette solo vedere meglio i problemi. Sei hai studiato Economia sai bene che la piccola impresa è ormai finita, con o senza euro: conviene scappare. Se invece hai studiato Storia sai, con una relativa sicurezza, che siamo spacciati com’era spacciata Venezia il giorno in cui Vasco da Gama vide le coste indiane: questo però non le impedì di vivere ancora secoli di meravigliosa decadenza, e forse anche noi ne abbiamo la possibilità. Forse l’Unesco potrebbe fare qualcosa per salvare i nostri capannoni, dichiarando il nostro cemento unico al mondo. La Padania, l’Italia, sorgerà come una piccola patria di officine: costruiremo tutto, un pezzo alla volta,  i carri armati e gli acquedotti, le mura intorno alle nostre Zone Industriali. Nessuno avrà il diritto di farci la guerra, o meglio, se ci attaccheranno dovranno farlo ad armi pari, con catapulte costruite secondo gli antichi progetti; i turisti verranno non solo a carnevale e saranno felici di travestirsi da cavalieri o Casanova; il cambio con la lira sarà favorevolissimo. E la legge Merlin, non c’è bisogno di dirlo, abolita.

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